SIFP: una società di studi o un sindacato di professori?

Rendo pubblica qui una parte di una mia lettera aperta al futuro presidente, in quanto candidato unico, della Società Italiana di Filosofia Politica, perché credo che sollevi questioni non particolari. La vertenza di cui si era discusso qui è stata risolta selezionando un presidente terzo e una giunta  con la peculiarità che, nel momento in cui scrivo,  tutte le candidature sono uniche. Per l’uso del lettore estraneo alla SIFP aggiungo che colui a cui scrivo è una persona che stimo e che la lettera non è intesa come una polemica con lui.

La modalità con cui si è giunti a una candidatura presidenziale unica e alle candidature altrettanto uniche dei componenti della giunta, nella quale, come nella conclusione di una guerra di successione dinastica, viene implicitamente celebrato il matrimonio fra le Elisabette di York e gli Enrichi Tudor del momento, mi lasciano perplessa: ci deve essere stata una discussione da qualche parte, ma certamente non pubblica e certamente non aperta a tutti.
Però, in un momento in cui la carriera accademica vede accentuata l’accidentalità che, non da oggi, la caratterizza, chiedere che la SIFP sia una società di studi e non una società di professori, chiedere, cioè, che diventi o ridiventi democratica se mai lo è stata significherebbe sia rendere giustizia ai molti studiosi che, accidentalmente, non sono professori, sia permettere che modi diversi di rappresentare il suo senso e il suo ruolo siano pubblicamente discussi e liberamente votati. Come mai c’era e continua a esserci il timore di lasciare alle persone la libertà di voto e di coscienza se – così ho sentito dire – chi accidentalmente non è professore vota comunque secondo le indicazioni del capo cordata?
È stato anche sostenuto che discutere è inutile perché siamo tutti d’accordo nel reclamare maggiore autonomia alla disciplina. Ma anche questo, secondo me, manca di rispetto sia a coloro che si sottomettono con piacere alla valutazione di stato della ricerca o addirittura vi collaborano, sia a coloro che invece cercano di criticarla teoreticamente e praticamente, e per ragioni più serie di quella particolaristica di ottenere per le proprie riviste preferite una sanzione governativa. Non è storicamente inevitabile che le società scientifiche siano sindacati gialli in cui alcuni professori accidentalmente ordinari perseguono, nel rapporto col padrone di turno, il potere servile ispirato esclusivamente al proprio “particulare” senza preoccuparsi di nient’altro.
La Società Italiana di Filosofia Teoretica, per presentare l’esempio di una disciplina affine, ha saputo comportarsi in modo ben diverso; ed esiste un Coordinamento di Riviste di Filosofia che, sia pure con alcune defezioni, è riuscito a porre alcune importanti questioni di principio.
Sulla base di queste considerazioni, essendo convinta che sia possibile creare comunità scientifiche più vigili e aperte di quella che nominalmente raccoglie gli studiosi di filosofia politica, ho deciso di votare per te esclusivamente per stima personale, ma di non votare per nessuno dei candidati del pacchetto della giunta: le modalità con cui sono stati designati, infatti, fanno temere che la SIFP continui a rimanere una società di professori, invece di essere o di ridiventare una società di studi.

 

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Cinquanta sfumature di giallo: le società scientifiche ai tempi della valutazione di stato

Quella che segue è una lettera che ho inviato alla mailing list interna della Società Italiana di Filosofia Politica, in seno al dibattito per l’elezione del nuovo presidente. Il testo non tratta propriamente di persone, ma si interroga sulla funzione delle società scientifiche ai tempi della valutazione di stato. Proprio per questo, fin dall’inizio, non conteneva nomi; e proprio per questo ho deciso di renderla pubblica così come è stata scritta, eliminando il poco che sarebbe risultato incomprensibile perché riferito al dibattito interno e correggendo un paio di errori di battitura.

Cari colleghi,

ho a suo tempo imparato che i voti della SIFP non sono da prendere sul serio, dopo che questa vecchia proposta, che era stata approvata dall’assemblea all’unanimità, è stata semplicemente messa da parte dalla giunta con la motivazione il ministero stava facendo qualcosa – un qualcosa che non mi risultava affatto, né è effettivamente risultato in futuro.

Mi limito quindi a dire che non posso sostenere nessuno dei due candidati, a dispetto della loro ineccepibile carriera accademica. La mia carriera è invece ministerialmente eccepibile sia perché boicotto le riviste di fascia A – che sono tali perché incluse in una lista stilata da autorità di indiretta nomina amministrativa, spesso pure in conflitto di interessi – e non voglio piegarmi all’idea che il contenitore di un testo determini il valore del suo contenuto, sia perché non sono stata gran che nemmeno come commissaria ASN, avendo avuto la sfortuna di essere sorteggiata mentre credevo di essere sotto soglia a causa dei miei boicottaggi.

Però non posso fare a meno di comunicarvi il mio disagio di fronte alla commistione, negli argomenti sulla candidabilità di questa o di quello, di generici appelli al loro valore scientifico e alla loro esperienza istituzionale. Qui, fra questa e quello, c’è in verità una piccola differenza: la prima è stata nominata da un’autorità governativa che procede secondo il Führerprinzip, e che non solo per me è profondamente incostituzionale, e il secondo è stato parte di un organo elettivo ora quasi esautorato. Cito dall’articolo di cui sopra:

Carla Barbati ha parlato del ruolo delle società scientifiche nelle procedure valutative. La Presidente del CUN ha evidenziato che fino ad oggi è l’ANVUR che seleziona i componenti delle comunità scientifiche legittimati a effettuare valutazioni sia nell’ambito dei GEV sia in quello del Gruppo Libri e Riviste. La prof.ssa Barbati ha raccontato di come l’ANVUR rifiuti di considerare l’elettività di queste cariche da parte della comunità scientifica un modello decisionale virtuoso. Ha concluso sostenendo che se le società scientifiche non riescono a far sentire la propria voce e a reclamare un ruolo, il vuoto viene colmato dalle decisioni dell’ANVUR.

Non mi sembra di aver mai sentito il secondo – mi corregga se sbaglio – prendere una qualche posizione pubblica netta sulla valutazione di stato.

Come sicuramente saprete, l’ANVUR parla con chi vuole e dialoga con le società scientifiche solo per suo concessione. Nel caso della SIFP, più che un dialogo si è avuta spesso un’identità: la penultima presidente era membro del cosiddetto GEV, l’attuale presidente si è sempre professato neutrale – e quindi ininfluente – e ora una dei candidati ha coordinato il GEV. Le stesse persone che facevano parte del GEV, data l’esiguità dei docenti della nostra disciplina, sono state spesso anche parte delle commissioni ASN. Per non parlare della loro presenza negli organi delle riviste di classe A, per la quale rinvio allo studio che avevo fatto a suo tempo con Brunella Casalini. È “pluralismo”, questo, o, piuttosto, in un’epoca di ferocissimi tagli alla finanze e alle libertà accademiche, un “si salvi chi può”, nell’illusione che il “particulare” possa restare a galla mentre l’universale cola a picco?

Come commissaria ASN, cercando, nei limiti del possibile, di leggere i titoli presentati, mi sono resa conto che gli effetti di questo “pluralismo” sono i seguenti: una volta che è noto dove un candidato ha studiato è possibile prevedere non solo che cosa scriverà, ma anche come lo scriverà. Se si dovesse prendere alla lettera il requisito dell’originalità non si dovrebbe abilitare quasi nessuno. E, naturalmente, è assai più facile essere idonei all’abilitazione, almeno in termini di volume di pubblicazioni., se si è benedetti dall’appartenenza a uno dei gruppi i cui caposcuola praticano una scienza ministeriale, avendo fatto una scelta diversa da quella del sociologo Pier Paolo Giglioli e fanno pubblicare su riviste di classe A. Incidentalmente, il sistema di valorizzare il contenitore a scapito del contenuto – a proposito di “internazionalizzazione” – isolerà sempre più l’Italia in Europa e nel mondo. Qui racconto quello che ho sentito con i miei orecchi a Berlino, essendo invitata alla conferenza come rappresentante dell’AISA.

Come sapete trovo controproducente chiedere che questa o quella rivista sia assunta nella lista, se non per provocazione allo scopo di discuterne poi nella sede appropriata – che non è quella amministrativa -, quando si dovrebbe contestare il principio stesso della lista: le virtù amministrative del contenitore non si trasmettono, infatti, alle eventuali virtù scientifiche del contenuto e l’unica “collocazione editoriale” scientificamente rilevante è quella che permette l’accessibilità dei testi sia in lettura sia in scrittura. Andare dall’ANVUR o dal suo genitore, il MIUR, col cappello in mano a chiedere mercé significa legittimare, tramite il riconoscimento del principio delle liste con i suoi effetti oligopolistici e oligarchici,  una valutazione di stato intrinsecamente dispotica e retrograda.

Le società scientifiche, rinate in età moderna per scopi diversi da quelli ora prevalenti, sono attualmente ridotte a poco più di un sindacato per la rivendicazione degli interessi di discipline – o di alcuni dei docenti che le professano – i cui confini sono amministrativamente definiti. Qual è il colore di questo sindacato? A me sembra che non si vada oltre un certo numero di sfumature di giallo.

Per questo, al momento, non sentendomi rappresentata da nessuno neppure per quel minimo sindacale che dovrebbe essere la difesa dei miei diritti costituzionali, nessuno posso sostenere.

Buon anno, buona notte e buona fortuna.

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