Open peer review: un esperimento

Come abbiamo scritto anche su queste pagine, la revisione paritaria tradizionale è da tempo in discussione. Perché dei giudici anonimi, scelti segretamente dalla direzione di una rivista, dovrebbero garantire una valutazione accurata e imparziale dei testi loro sottoposti?

Quando le comunità disciplinari sono piccole, coese e concordi sui paradigmi il loro controllo sugli esiti visibili del processo ne tempera i limiti. Questo, però, è più difficile quando la comunità si allarga, è plurale nei paradigmi ed esposta all’influenza di attori, come le multinazionali dell’editoria commerciale e i loro agenti non umani, il cui interesse primario è  lontano dall’ethos della ricerca. La rete ci rende possibile ampliare i nostri collegi invisibili ma ci espone, nello stesso tempo, al rischio di trovarci a lavorare in ambienti più simili a catene di montaggio o a piste da competizione che a comunità di dialogo e di sapere.

Usare la rete per aprire la peer review, trasformando gli aristocratici Pari in democratici uguali che si fanno valere sul campo, potrebbe essere una soluzione non nuova, anche se non semplice. La discussione libera – l’uso pubblico della ragione – è sempre stata il metodo dichiarato delle scienze, umane e no. Naturalmente, come sapeva il Socrate del Gorgia, la sua misura sta nel grado di adesione effettiva alle regole che ciascuna comunità riconosce a parole. In un sistema complesso ma  non gerarchico in cui ogni nodo è facilmente accessibile e collegabile, la trasparenza sulle procedure e sulle fonti può fare le veci dell’autorità.

I vincoli tecnologici ed economici del sistema della stampa imponevano di risolvere il problema della complessità del sapere con un metodo opaco, pericolosamente simile alla censura. D’altra parte, la revisione paritaria aperta può essere facilitata dalla rete, ma non ne è il frutto spontaneo. Può funzionare solo entro una comunità indipendente e motivata, che sappia riconoscere il valore della cooperazione e del dialogo critico e desideri proporre una conversazione scientifica in grado di ritrasformare l’informazione in sapere, tracciando piste per percorrere una foresta sempre più indefinita nei suoi confini e intricata nei suoi nessi.

Sperimentare.la revisione paritaria aperta in questo momento, in Italia, è difficile, non solo per i limiti interni di un mondo della ricerca decimato e impoverito, ma soprattutto perché si oppone a quanto sta cercando di imporci lo stato tramite l’Anvur, che è un’autorità di diretta nomina governativa. Il modello dell’Anvur è arretratissimo e tendenzialmente chiuso sia perché privilegia database proprietari o comunque inaccessibili, sia perché è costruito prevalentemente sul presupposto della mediazione editoriale commerciale. Proprio per questo è importante dimostrare che un’alternativa è possibile: piegarsi ai criteri dell’Anvur significa rinchiudersi in un recinto, oggi, ed esporsi al rischio di venir tagliati senza che nessuno se ne accorga, domani.

Si tratta, quindi, di un esperimento incerto, ma indispensabile, per sottrarsi a un destino in cui l’inaccessibilità conduce all’irrilevanza sociale e questa, a sua volta, facilita la cancellazione. Non dobbiamo, dunque, temere la rete, dobbiamo diventare la rete. 

In questo spirito, il bftp mette a disposizione le sue pagine per provare, come si sta facendo in paesi in cui la ricerca è più libera, la revisione paritaria aperta. 

Il primo articolo che proponiamo all’open peer review è una traduzione di un saggio di Fichte molto importante per la storia della proprietà intellettuale Prova dell’illegittimità della ristampa dei libri. Un ragionamento e una parabola. Alla fine del processo, una sua copia verrà donata a Wikisource, entro un’operazione più ampia i cuoi dettagli spiegheremo nei prossimi giorni.

Lo strumento del nostro esperimento è un plugin di WordPress. Commentpress, che permette di commentare un testo paragrafo per paragrafo. Le istruzioni per commentare l’articolo sono qui. Chi non fosse familiare con l’interfaccia può consultare anche la nostra guida per immagini.

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L’accademia dei morti viventi, parte terza: i testi

[Segue da Parte seconda: il fantasma dell’autore]

Kevin Kelly, license CC-by-nc-saLa rete fa interagire i testi tramite i link. Li fa interagire fra loro ma soprattutto con il lettore e fra i lettori. Gli autori scrivono frasi, i tipografi stampano pagine, mentre i libri sono fatti dai rilegatori. Le loro proprietà formali non derivano dalla stampa, ma dalla loro organizzazione in forma di codice, che condiziona il modo in cui essi comunicano – tanto è vero che lo scrolling dei documenti sul web ci fa regredire all’esperienza del rotolo

Le tecnologie digitali, con gli ebook e i documenti PDF, hanno trasformato la stampa su carta in pixel sullo schermo, ma non sono andate oltre l’intento, retrospettivo, di rifare il libro con altri mezzi, senza indagare sulla possibilità di accrescere le funzionalità della comunicazione scritta. Per non restare prigionieri dell’età della stampa non basta copiare sul web l’organizzazione del codice aggiungendovi  la flessibilità e riproducibilità del digitale: occorre allargare il nostro senso del testo.

Lipertesto è uno dei pochi esperimenti  radicali finora prodotti dalle tecnologie digitali, con la sua capacità di mettere i testi in rete, liberandoli dalla schiavitù della sequenza, collegandoli internamente ed esternamente e rendendo finalmente chiaro che la loro vita dipende dall’attività del lettore. Gli ipertesti, però, disorientano gli utenti e non sono veramente interattivi, perché, pensati in origine come strumenti di ricerca, rappresentano le associazioni dell’autore e non le loro. Occorre trovare il modo di inserirli in una rete sociale che sia davvero interattiva, permettendo comunicazioni  multidirezionali non solo fra autore e lettore, bensì anche fra lettori.

I media digitali sono modulari, possono essere connessi tramite procedimenti automatici e la loro combinazione produce oggetti di natura variabile. A partire dal progetto Gutenberg, gli informatici umanisti hanno creato grandi database, e, per superare il loro carattere atomico, sistemi di contestualizzazione, revisione ed esposizione come quelli del progetto Nines. Questi strumenti, però, sono usati, di solito, da ben pochi studiosi al di là del gruppo che li ha promossi. Se rimaniamo in una prospettiva centrata sull’autore,  non si capisce perché ci si debba affaticare a cooperare, condividere e annotare.

L’atto della lettura si è spostato dagli spazi aperti dell’antichità a quelli chiusi del medioevo, in una progressiva privatizzazione. Per quanto si siano conservati – nella sfera pubblica moderna – momenti comunitari, la tecnologia del libro favorisce l’idea di un testo come un prodotto unico, discreto, autentico di un singolo individuo e suggerisce una lettura isolata, in particolare quando compiuta da studiosi. Nel loro isolamento, però, gli studiosi partecipano a una conversazione lentissima con gli autori di altri libri e ad altre forme di interazione, dalle lezioni alle conferenze. La fortuna dei blog accademici testimonia il desiderio di alcuni di uscire dalla propria stanzetta, o dalla biblioteca-silos della propria istituzione, rivitalizzando la conversazioni fra pari.

“Le nostre nuove tecnologie testuali ed editoriali devono riconoscere da una parte che pubblicare semplicemente i testi on-line e riuscire a riprodurre le strutture del libro in forma digitale non basta, in quanto la rete non può e non deve replicare il codice; e,  dall’altra, che spostarsi semplicemente a una forma editoriale più connessa internamente non rivoluzionerà parimenti la circolazione dei testi, perché l’accento resta sul testo individuale, l’autore individuale, la mente individuale.

Commentpress è un plugin di WordPress che divide i testi in porzioni linkabili fra loro e dall’esterno, e li rende puntualmente e paritariamente commentabili.  E’ stato usato per scrivere l’opera di cui sto parlando. Sto approfittando delle sue potenzialità per diffondere idee affini alle mie arricchendole di nuovi nessi, esponendole in modo che il loro senso sia comprensibile a un lettore di lingua italiana, ma aperto all’approfondimento di chi conosce l’inglese. Una traduzione integrale pubblicata in forma di codice,. digitale o cartaceo, non potrebbe fare niente di simile: tradizionalmente, i traduttori sono traditori perché scrivono – come aveva capito bene Kant – un nuovo libro completamente separato dal testo originale. Naturalmente, perché tutto questo funzioni, io devo essere più interessata a discutere e diffondere delle idee che a far sfoggio della mia originalità, o del prestigio dell’editore a cui ho scelto di regalare i miei diritti rendendo il  mio lavoro inaccessibile.

“Ogni pubblicazione è parte di una serie progrediente di conversazioni pubbliche, condotte  in molteplici registri temporali e attraverso molteplici testi. Rendere questo conversazioni il più possibile accessibili e invitanti dovrebbe essere lo scopo di chi immagina il corso delle comunicazioni testuali del futuro.

[continua in Parte quarta: la conservazione]

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