Daniela Tafani, La libertà di stampa come contropotere in Kant

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La publicité est la sauvegarde du peuple Daniela Tafani, studiosa di filosofia politica e morale, entra a far parte della redazione del Bollettino telematico di filosofia politica proponendo alla revisione paritaria aperta l’articolo Il palladio dei diritti del popolo. La libertà di stampa come contropotere in Kant e negli scritti rivoluzionari.

Quando Kant scriveva che la libertà della penna è l’unico palladio dei diritti del popolo non stava – come potrebbe pensare un lettore europeo o americano poco attento alla costituzione materiale che oggi si trova a subire – facendo retorica. Stava riecheggiando non solo il motto della medaglia dei venditori ambulanti di giornali (colporteurs) all’inizio della Rivoluzione francese, ma anche un’ampia letteratura repubblicana che rappresentava la libertà della stampa come un diritto a salvaguardia degli altri diritti, perfino contro il potere costituito.

La posizione di Kant, fondata sul carattere strutturalmente pubblico della giustificazione morale, era già chiara prima della rivoluzione francese quando, nel saggio sull’Illuminismo, scrive che ogni essere umano ha la vocazione a pensare da sé, contro il ministro Zedlitz che invece la riconosceva a una minoranza. E il suo senso politico diventa ancora più accentuato quando, nel 1793, la libertà della penna, che è libertà spirituale dell’autore invece che mera libertà economica dell’editore, funge da spartiacque fra un regime che contiene leggi ingiuste a cui si può ancora por rimedio tramite il dibattito pubblico e un regime basato sulla mera forza contro il quale è invece lecito fare la rivoluzione.

Il collegamento fra i testi di Kant e il contesto storico dà forza a una lettura non condivisa da tutti gli interpreti, che, anche come tale, merita di essere sottoposta a una revisione paritaria aperta – nella convinzione che promozioni e bocciature in mano a tribunali segreti e arbitrariamente nominati siano ben più vicine a forme di potere politicamente o economicamente dispotico che all’uso pubblico della ragione.

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