La filosofia politica moderna, a partire da Hobbes, ha impiegato il concetto di sovranità statale con un’ambiguità peculiare: da una parte, essa si giustifica come la forma di un ordine politico a garanzia delle libertà individuali, dall’altra, però, la sua stessa assolutezza produce un potere smisurato, assai più pericoloso di quelli degli singoli immaginati nel disordine pre-statuale dello stato di natura. Sull’arena internazionale, così, si replica l’alternativa fra stato di natura e assolutismo nella forma potenziata di una contrapposizione fra disordine mondiale e dispotismo internazionale, a proposito della quale, paradossalmente, difensori della sovranità quali C. Schmitt si schierano a favore del primo per timore del secondo.
Nico De Federicis, nel suo articolo “Kant e la filosofia politica moderna“, sostiene che Kant sfugge da questa ambiguità perché:
- la sua repubblica mondiale non supera lo stato di natura fra stati fondendoli in un superstato, secondo una visione monista della sovranità, bensì tramite un federalismo che non la scinde solo orizzontalmente, con la divisione dei poteri, ma anche verticalmente;
- la fondazione ultima della repubblica, o, meglio, ciò che la rende possibile, è una legittimazione morale, vale a dire il diritto degli esseri umani intesi come agenti razionali liberi e uguali.
In altre parole, mentre Hobbes e i teorici della sovranità monista propongono un aut aut fra guerra civile e dispotismo, Kant sostiene che proprio la sovranità in quanto concentrazione di potere basata sulla forza produce e guerra civile e dispotismo, e che l’unico modo per uscirne sia distribuire il potere, in luogo di concentrarlo, e prendere sul serio la questione della sua legittimazione morale.