Category Archives: Valutazione della ricerca

Una questione di potere: la discussione scientifica nel Protagora

Relief from Sarcophagus of a Philosopher Chi stabilisce le regole della discussione scientifica? Chi ha titolo a criticarle?

Nel Protagora Socrate si scontra con una scuola umanistica e retorica che ha uno stile di discussione molto diverso dal suo. Perfino la sua strategia consueta – dichiararsi sconfitto per mutare inavvertitamente le norme implicite della competizione retorica – appare inefficace. Quando Socrate gli chiede di soccorrere la sua smemoratezza con un dialogo che consenta l’interazione critica, invece di diffondersi in lunghi monologhi o macrologie,  Protagora gli risponde così:

Socrate, già con molti ho fatto gare di discorsi e se mi fossi comportato come tu mi domandi, discutendo come mi chiedeva il mio contraddittore, non sarei apparso migliore di nessuno, né il nome di Protagora si sarebbe diffuso fra i Greci (335a).

Se si può imporre un discorso dominante solo invadendo retoricamente lo spazio limitato dell’attenzione collettiva, chi acconsente a discutere accetta di cedere terreno alla concorrenza, facendosi perdente.

Socrate, non condividendo né lo scopo né le regole del dibattito, si alza per andarsene. Non è, questo, un gesto semplice: se la ricerca è la tua professione  sei sempre dentro uno spazio di discussione le cui regole ti possono essere aliene. Da cittadino di una democrazia diretta in cui chiunque era immediatamente esposto alla politica, Socrate ne fece le spese: così rischia di pagare, anche solo in termini di carriera, chi sfida i paradigmi dominanti,  le leggi non scritte dell’accademia o,  nei paesi autoritari, i regolamenti scritti dal governo.

Socrate, però, è un rivoluzionario proprio perché sa che non ha senso aver paura. Il suo accenno di congedo rende esplicita una discussione sulle regole da cui sono ricavabili almeno tre “filosofie” delle comunità scientifiche.

1. Il relativismo accademico

Callia, ammiratore e ospite di Protagora, cerca di trattenere Socrate. Non ci può essere una competizione senza competitori che consentano almeno sul competere stesso: ma che fare se gli interlocutori professano metodi talmente diversi da rendere la discussione impossibile? Secondo Callia, ciascuno ha il diritto di usare  la propria misura. Non esiste, dunque, discussione che risolva il conflitto – o, meglio, il dissenso viene  superato solo dalla potenza di un discorso dominante nel fatto.  Avremo, dunque, gruppi disciplinari separati, chiusi nei propri paradigmi, che cercano di prevalere l’uno sull’altro con le armi, extrascientifiche, dell’invasione retorica dello spazio pubblico.

2.  L’etica dell’adattamento

Anche Alcibiade vede la discussione esclusivamente come una competizione.  La macrologia di Protagora serve a intorpidire le menti e a eludere le possibili obiezioni; il dialegesthai di Socrate – sostenuto da un’ironica professione di smemoratezza –  a sventare il suo espediente. Chi vuol discutere deve stare alle regole delle diverse specialità dell’arte della discussione.  Socrate non può sfidare Protagora sulla macrologia, proprio come Protagora non può sfidare Socrate sulla dialettica: ma se il sofista vuole competere con il suo interlocutore dopo che questo si è dichiarato sconfitto nella macrologia,  deve sottostare alle regole della sua specialità agonistica d’elezione. Vincere nella discussione significa sapersi adattare alle norme del gioco, senza discuterle. Questa, di fatto,  è l’etica della maggior parte dei ricercatori: le regole della discussione sono un dato ambientale, a cui ci si adatta per il proprio successo personale, indifferenti al loro effetto sul complesso del sistema. Che l’etica dell’adattamento sia rappresentata da un politico spregiudicato come Alcibiade non è solo un paradosso platonico.

3. La burocrazia

Il sofista Ippia, che contrappone la comunità scientifica,  naturale e aristocratica,  a quella politica, convenzionale e costretta dalla legge, suggerisce una soluzione contraddittoria: far entrare la convenzione nel mondo dei migliori, con l’elezione di un presidente che regoli il dibattito, controllando i tempi degli interventi.  Socrate si oppone. Gabriele Giannantoni riassume il suo argomento così:

Socrate respinge questa idea con l’argomento che un personaggio del genere, non potendo essere certo inferiore ai contendenti (perché non sarebbe all’altezza del compito), né loro pari (perché sarebbe inutile), dovrebbe essere superiore: ma chi è più “sapiente” di Protagora o a lui superiore? In realtà un arbitro non ha senso in una libera e comune indagine  (p. 66, corsivo mio),

Il modello di Ippia prefigura i sistemi contemporanei di istituzionalizzazione burocratica del potere accademico, con dei vertici eletti all’interno della comunità o nominati dall’esterno. Socrate, che aveva contestato Protagora sulle regole della discussione, si comporta in questo caso come se le norme non contassero nulla. Qui, infatti, tratta come decisiva l’eccellenza impossibile del presidente – come se tutto si riducesse a una questione di governo degli uomini, e non di governo delle leggi.

Le regole della discussione toccano una questione pregiudiziale di metodo. Non sono un dato esterno alla ricerca, ma una sua parte:  per questo sono di competenza dei ricercatori e devono essere esposte alla confutazione, come ogni – provvisoria – verità scientifica. Non rendersene conto e considerarle intoccabili significa trasformare se stessi in arrivisti, politicanti e burocrati – cioè in ricercatori soltanto accidentali.

Il Novecento ha accusato Platone di totalitarismo, per aver trattato il governo delle leggi come un ripiego. Ma quando il testo platonico teorizza, come nel Protagora, una sorta di governo degli uomini, lo fa con una consapevolezza articolata.

Socrate sa benissimo che rinunciare alla burocrazia significa lasciare uno spazio enorme alla retorica, del quale egli stesso approfitta per rubare la scena a Protagora in una macrologia capziosa:  il suo interlocutore, infatti, si è reso vulnerabile alla sua stessa arma, avendo negato che le regole della discussione sono una questione scientificamente pertinente.

L’ideale dell’uso pubblico della ragione non si specchia necessariamente nella sfera pubblica della nostra esperienza quotidiana. Se, però, l’alternativa è la burocratizzazione autoritaria della ricerca e della sua comunicazione, la libertà rimane un rischio meritevole di essere affrontato.

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Abilitazione nazionale: sentenza TAR sulle riviste. Tutto da rifare per le aree 11 e 14?

Il Tar del Lazio ha accolto un ricorso contro la classificazione Anvur a favore di una rivista di area 11,  la “Nuova Rivista Storica”,  disponendo il

conseguente annullamento delle valutazioni operate dall’ANVUR – gruppi di lavoro Area CUN 11 e Area CUN 14 – riviste e libri scientifici, pubblicate sul sito internet di ANVUR in data 6 settembre 2012.

Rinviamo, per i dettagli, all’articolo  pubblicato su Roars.  Avevamo già messo in luce, in tempi non sospetti,  la problematicità del sistema delle liste. Per noi questa notizia, anche se può tarpare le speranze di carriera di molti, è tutto tranne che un fulmine a ciel sereno.

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Open peer review: un esperimento

Come abbiamo scritto anche su queste pagine, la revisione paritaria tradizionale è da tempo in discussione. Perché dei giudici anonimi, scelti segretamente dalla direzione di una rivista, dovrebbero garantire una valutazione accurata e imparziale dei testi loro sottoposti?

Quando le comunità disciplinari sono piccole, coese e concordi sui paradigmi il loro controllo sugli esiti visibili del processo ne tempera i limiti. Questo, però, è più difficile quando la comunità si allarga, è plurale nei paradigmi ed esposta all’influenza di attori, come le multinazionali dell’editoria commerciale e i loro agenti non umani, il cui interesse primario è  lontano dall’ethos della ricerca. La rete ci rende possibile ampliare i nostri collegi invisibili ma ci espone, nello stesso tempo, al rischio di trovarci a lavorare in ambienti più simili a catene di montaggio o a piste da competizione che a comunità di dialogo e di sapere.

Usare la rete per aprire la peer review, trasformando gli aristocratici Pari in democratici uguali che si fanno valere sul campo, potrebbe essere una soluzione non nuova, anche se non semplice. La discussione libera – l’uso pubblico della ragione – è sempre stata il metodo dichiarato delle scienze, umane e no. Naturalmente, come sapeva il Socrate del Gorgia, la sua misura sta nel grado di adesione effettiva alle regole che ciascuna comunità riconosce a parole. In un sistema complesso ma  non gerarchico in cui ogni nodo è facilmente accessibile e collegabile, la trasparenza sulle procedure e sulle fonti può fare le veci dell’autorità.

I vincoli tecnologici ed economici del sistema della stampa imponevano di risolvere il problema della complessità del sapere con un metodo opaco, pericolosamente simile alla censura. D’altra parte, la revisione paritaria aperta può essere facilitata dalla rete, ma non ne è il frutto spontaneo. Può funzionare solo entro una comunità indipendente e motivata, che sappia riconoscere il valore della cooperazione e del dialogo critico e desideri proporre una conversazione scientifica in grado di ritrasformare l’informazione in sapere, tracciando piste per percorrere una foresta sempre più indefinita nei suoi confini e intricata nei suoi nessi.

Sperimentare.la revisione paritaria aperta in questo momento, in Italia, è difficile, non solo per i limiti interni di un mondo della ricerca decimato e impoverito, ma soprattutto perché si oppone a quanto sta cercando di imporci lo stato tramite l’Anvur, che è un’autorità di diretta nomina governativa. Il modello dell’Anvur è arretratissimo e tendenzialmente chiuso sia perché privilegia database proprietari o comunque inaccessibili, sia perché è costruito prevalentemente sul presupposto della mediazione editoriale commerciale. Proprio per questo è importante dimostrare che un’alternativa è possibile: piegarsi ai criteri dell’Anvur significa rinchiudersi in un recinto, oggi, ed esporsi al rischio di venir tagliati senza che nessuno se ne accorga, domani.

Si tratta, quindi, di un esperimento incerto, ma indispensabile, per sottrarsi a un destino in cui l’inaccessibilità conduce all’irrilevanza sociale e questa, a sua volta, facilita la cancellazione. Non dobbiamo, dunque, temere la rete, dobbiamo diventare la rete. 

In questo spirito, il bftp mette a disposizione le sue pagine per provare, come si sta facendo in paesi in cui la ricerca è più libera, la revisione paritaria aperta. 

Il primo articolo che proponiamo all’open peer review è una traduzione di un saggio di Fichte molto importante per la storia della proprietà intellettuale Prova dell’illegittimità della ristampa dei libri. Un ragionamento e una parabola. Alla fine del processo, una sua copia verrà donata a Wikisource, entro un’operazione più ampia i cuoi dettagli spiegheremo nei prossimi giorni.

Lo strumento del nostro esperimento è un plugin di WordPress. Commentpress, che permette di commentare un testo paragrafo per paragrafo. Le istruzioni per commentare l’articolo sono qui. Chi non fosse familiare con l’interfaccia può consultare anche la nostra guida per immagini.

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La Società italiana di filosofia politica prende posizione sulla VQR

Mettiamo a disposizione di tutti, qui, il documento approvato dall’assemblea dei soci così come l’abbiamo ricevuto, con la sola aggiunta di un paio di link illustrativi. E’ un testo pensato per essere diffuso: chiunque abbia interesse a distribuirlo può dunque riprodurlo liberamente.

Di mio aggiungo solo un’osservazione che ho scritto altrove, per non confondere le voci, a proposito di un combinato disposto non immediato, ma i cui esiti, una volta messi in luce, mi sembrano davvero vergognosi.

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Anvur: criteri, parametri e liste

Il decreto “Criteri e parametri”, appena uscito sul sito del Miur, dovrebbe indicare i criteri per valutare i candidati che aspirano a ottenere l’abilitazione scientifica nazionale – in modo da poter sperare di passare accademicamente di grado, diventando professori associati se ricercatori e professori ordinari se associati – e per accertare la qualificazione dei commissari che dovrebbero attribuirla.

Agli umanisti, provvisoriamente al riparo dalla bibliometria, interessa in particolare l’allegato B. Riporto qui sotto il secondo comma, per l’uso di chi, a causa dell’esperienza pregressa, conservi una passione insana per le liste. I grassetti sono, naturalmente, miei.

2. Per ciascun settore concorsuale di cui al numero 1 l’ANVUR, anche avvalendosi dei gruppi di esperti della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e delle società scientifiche nazionali, effettua una suddivisione delle riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani in tre classi di merito:

a) le riviste di classe A sono quelle, dotate di ISSN, riconosciute come eccellenti a livello internazionale per il rigore delle procedure di revisione e per la diffusione, stima e impatto nelle comunità degli studiosi del settore, indicati anche dalla presenza delle riviste stesse nelle maggiori banche dati nazionali e internazionali;

b) le riviste di classe B sono quelle, dotate di ISSN, che godono di buona reputazione presso la comunità scientifica di riferimento e hanno diffusione almeno nazionale;

c) tutte le altre riviste scientifiche appartengono alla classe C.

Per quanto l’Anvur continui a pensare alla ricerca come se fosse il campionato di calcio, con le sue serie A, B e C, è relativamente confortante vedere che ha almeno rinunciato a definire la scientificità d’autorità. La serie C – “tutte le altre” riviste su cui hanno pubblicato gli studiosi italiani – sembra infatti una classe aperta.

Humpty DumptyLa classifica sarà compilata dall’Anvur, “anche avvalendosi dei gruppi di esperti della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) e delle società scientifiche nazionali”. Ora, che cosa significa “anche”? “Anche sì” ma “anche no”? Se il senso della frase è che l’Anvur consulterà gli esperti dei gruppi di valutazione e le società di studi e poi farà di testa sua, ci troveremmo, ancora, di fronte a un nuovo esempio di riviste all’indice, designate incostituzionalmente da un organo di diretta nomina governativa.

Inoltre, i criteri veramente discriminanti (*) presentati nell’allegato sono tutti “reputazionali”. Perfino la selezione dei database di riferimento è consegnata all’aggettivo “maggiori”. Se “maggiori” non è un eufemismo per indicare i database proprietari WoS e Scopus – e non invece, per avventura, il Doaj – quali saranno queste banche dati verrà stabilito dal vertice dell’Anvur, cioè, ancora, incostituzionalmente, da un organo di diretta nomina governativa.

Che titolo ha – se lo chiedeva, per esempio, Pier Paolo Giglioli – l’Anvur per fotografare reputazioni in nome di tutti noi? Se la “reputazione” rispecchia una conoscenza diffusa nella comunità scientifica in modo analogo a quello in cui la consapevolezza del significato delle parole è diffusa in una comunità linguistica, non c’è per l’Anvur altra legittimazione se non quella che Humpty Dumpty invocava per sé:

“When I use a word,” Humpty Dumpty said, in rather a scornful tone, “it means just what I choose it to mean—neither more nor less.”

Ossia, tradotto, pur senza la vidimazione dall’Anvur: “Quando io uso una parola” – disse Tombolo Dondolo in tono piuttosto sprezzante – “significa esattamente quello che io scelgo che significhi, né più né meno”.

(*) Il criterio della diffusione è misurato, con una certa arretratezza, sul sistema della stampa cartacea. Chiunque abbia una rivista on-line ad accesso aperto con qualche consuetudine di presenza in rete e guardi i log del suo server può constatare di essere letto internazionalmente. Tutte le riviste di questo tipo meritano la serie A? Per quanto, in conflitto d’interessi, la cosa ci possa apparire attraente, non crediamo che questo fosse l’intendimento del decreto.

Per il resto, quante sono le riviste accademiche che, pur avendo una certa continuità di pubblicazione, sono prive di ISSN e non sono presenti in nessun database?

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Roars: sette proposte per la valutazione della ricerca

L’articolo uscito oggi su Roars, Sette proposte per la VQR, propone sette soluzioni facilmente praticabili per correggere gli aspetti più discutibili della valutazione della ricerca in corso in Italia.  In queste pagine abbiamo discusso molto della classificazioni non bibliometriche delle riviste e abbiamo presentato una nostra soluzione a lungo termine. Nel breve termine pensiamo però che il rimedio suggerito da Roars sia assolutamente condivisibile:

4. Classifiche di riviste non bibliometriche. Sterilizzare l’uso delle classifiche di riviste per i GEV 10-12 e 14: le classifiche delle riviste messe a punto dai GEV non devono entrare formalmente nei processi di valutazione dei prodotti da parte dei revisori. In particolare  i rankings di riviste non devono essere utilizzati per dirimere i conflitti tra revisori, come previsto da alcuni GEV.

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