Category Archives: Valutazione della ricerca

Classificazione delle riviste: un breve confronto fra l’ANVUR e la Directory of Open Access Journals

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La Cassazione a Sezioni Unite, con una recentissima sentenza (Cass., sez. un., 28 febbraio 2017, n. 5058), analizzata su “Roars“, a conferma di quanto già stabilito dal Consiglio di Stato, indica con chiarezza qual è il vizio giuridico delle classificazioni ANVUR:

la mancata predeterminazione di criteri ex ante da porre a fondamento delle determinazioni dell’amministrazione.

In altre parole, le decisioni classificatorie dell’ANVUR in merito alle riviste, a dispetto dell’importanza che hanno per la valutazione della ricerca e l’accesso all’abilitazione scientifica nazionale, sono, eufemisticamente, arbitrarie. Per essere più chiari – si tratta pur sempre di deliberazioni amministrative in uno stato che vorrebbe essere di diritto – possiamo anche dire: le decisioni classificatorie dell’ANVUR sono, francamente,  dispotiche.

Immagine: bilancia della giustiziaIl DOAJ, da parte sua, pur non essendo un indice stilato da un’autorità amministrativa e non danneggiando chi preferisce percorrere altre strade, predetermina i suoi criteri ex ante. Qui, per esempio, uno dei redattori italiani del DOAJ li spiega in modo chiaro e dettagliato. Anche se non si tratta di un giudizio, chi fa domanda d’inclusione sa con quale metro la sua rivista verrà misurata.

Il DOAJ è debole, perché tiene in mano solo una bilancia mentre l’ANVUR è armata della spada del potere amministrativo. Chi ha l’onore di contribuirvi come redattore volontario sa che, per quanto i criteri siano stati affinati nel tempo, non potranno mai interamente catturare, nel bene e nel male, le molte cose in cielo e in terra che non riusciamo a sognare con  la nostra filosofia. Ma proprio questo è il suo pregio: il suo tentativo di costruire e di argomentare collettivamente una catalogazione di una parte del mondo della comunicazione scientifica non può diventare dispotico. A sostenerlo, infatti, c’è la debolezza di una bilancia e non la forza di una spada che fatica, a quanto pare, a contenersi  nei limiti del diritto.

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“Sono i [meta]dati, stupido”: perché Elsevier ha comprato SSRN

Queen Mary’s Psalter, Wikimedia commons A riprova di quanto sia pericoloso confondere un social medium accademico proprietario, ancorché relativamente accessibile, con un archivio ad accesso aperto, vale il recentissimo annuncio dell’acquisto di SSRN da parte della multinazionale dell’editoria scientifica Elsevier.  Anche se molti autori temono che i testi da loro depositati vengano resi meno accessibili, il rischio più serio non è questo. Elsevier, infatti, grazie a SSRN, e alla possibilità di connetterlo a Mendeley, di cui si era già impadronita in precedenza, metterà le mani su un’enorme quantità di metadati.
Come spiega Christopher M. Kelty in It’s the Data, Stupid: What Elsevier’s purchase of SSRN also means, SSRN in realtà non dispone di metadati particolarmente sofisticati: il numero degli autori, il numero di articoli per autore, il numero di scaricamenti e il numero di citazioni per articolo. Queste cifre, tuttavia, sono preziose perché vengono da un grande archivio accessibile, anche se non propriamente ad accesso aperto, e interdisciplinare, non connesso a nessuna aggregazione editoriale e a nessun sistema di metrica proprietario. La sua prospettiva, dunque, è molto più ampia di quella accessibile non soltanto a una singola riviste, ma anche a un singolo editore, per quanto grande possa essere.
Quindi: se le burocrazie accademiche e gli studiosi stessi continueranno a valutare e far valutare la loro ricerca con statistiche d’impatto, Elsevier potrà aiutarli a farlo – presumibilmente non a titolo gratuito.
Kelty suggerisce che il comunicato stampa di Elsevier:

Elsevier is actively linking data and analytics to its vast content base in ways no other potential SSRN partner can match. By connecting Mendeley, Scopus, ScienceDirect and its editorial systems, they’re helping researchers get a more complete picture of their research landscape. Institutions will also benefit with a better view of their researchers’ impact [corsivi miei].

debba essere tradotto così:

  • “helping researchers get a more complete picture” significa: “saremo in grado di produrre statistiche d’impatto applicabili al singolo ricercatore”;
  • “Institutions will also benefit” significa: “per queste statistiche le università saranno disposte a pagare un sacco di soldi”.

I metadati di SSRN erano già proprietari; con il suo acquisto si aggregheranno ad altri metadati entro un più ampio e pervasivo sistema editoriale proprietario, che, con tutta probabilità, pianifica di spostarsi dalla contestata e vulnerabile pubblicazione ad accesso chiuso a forme più avanzate di feudalesimo digitale.   Chi li comprerà accetterà, ancora una volta, che alla formazione dei criteri di valutazione della ricerca contribuiscano oligopoli il cui interesse è molto lontano da quello della scienza. Il mondo accademico che ci siamo costruiti, scrive Kelty, è un mondo in cui “un gran quantità di giudizi su qualità, reclutamento, avanzamento di carriera, conferimento di cattedre e premi è decisa da metriche poco trasparenti offerte da aziende a scopo di lucro.”

Ci va bene così? Se sì, possiamo lasciare i nostri articoli su SSRN avendo probabilmente poco da temere per la loro accessibilità. Se no, non è difficile spostarli  su un vero archivio ad accesso aperto.  Basta farlo.

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Uscire di minorità: una proposta radicale di Björn Brembs

Björn Brembs,  in un articolo importante,  si chiede se i ricercatori possano davvero considerarsi soltanto vittime dell’attuale malattia della comunicazione scientifica – la privatizzazione dei suoi archivi e del suo sistema di valutazione – o se non ci sia anche il concorso di colpa di una loro condizione di minorità divenuta seconda natura. Per guarire, suggerisce una soluzione tanto semplice quanto radicale: se ne può leggere un resoconto dettagliato sul sito dell’Aisa, qui.

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La scienza aperta come questione sociale

Logo AisaIl primo convegno annuale dell’Aisa onlus – la nuova associazione italiana per la promozione della scienza aperta – si terrà a Pisa il 22 e il 23 ottobre 2015. Il  programma è qui. Passate a dare un’occhiata se capitate nei paraggi: sono fatti nostri.

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Cambiamo stile? La citazione accademica nell’età della rete

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Il nostro stile di citazione canonico risale all’età della stampa e consiste nell’elencazione ordinata dei metadati che identificano univocamente un’opera indicata come riferimento, per poterla chiedere in biblioteca o acquistare in libreria. L’accesso ai testi di riferimento, non immediato, impone al lettore un dispendio di tempo e talvolta di denaro.

In rete l’accesso potrebbe essere immediato, se l’inclusione dell’indirizzo che rende disponibile il testo completo diventasse parte del nostro canone.  Lo scopo non bibliometrico delle citazioni – rendere universalmente controllabili le basi degli argomenti scientifici e riconoscere i meriti o i demeriti altrui –  sarebbe in questo modo più agevolmente soddisfatto.

Si era già parlato, in  italiano e in inglese,  delle citazioni nei e dei testi ad accesso aperto in un ambiente accademico che privilegia l’accesso chiuso, per proporre un sistema che minimizzasse l’asimmetria fra chi colloca il dibattito scientifico nell’uso pubblico della ragione e chi invece si adatta al suo uso privato.   Patrick Dunleavy, in un articolo ospitato dal blog Impact of Social Sciences, affronta la questione in un orizzonte più ampio: alcuni parametri che nell’età della stampa erano essenziali, perché i testi si potevano reperire solo nelle biblioteche pubbliche o sul mercato librario, ora divengono secondari.  Il cuore della citazione deve essere l’accessibilità al testo completo:

  • se il testo è un volume ad accesso aperto, o un articolo uscito in una rivista ad accesso aperto, occorre includere un link al suo url;
  • se il testo è un articolo uscito ad accesso aperto in una rivista ad accesso generalmente chiuso, occorre includerne il link, ma con l’indicazione [Open access] in modo da non fuorviare il lettore:
  • se il testo è un articolo uscito in una rivista ad accesso chiuso, occorre includere il link della versione liberamente disponibile presso l’archivio elettronico istituzionale dell’autore, o presso un archivio disciplinare della sua comunità scientifica di riferimento,  anche qualora sia difforme dalla versione dell’editore. La versione ad accesso chiuso deve essere trattata come secondaria: il link al suo url deve essere contrassegnato dal simbolo ($) in modo da non far perdere tempo al lettore;
  • rispettivamente per una maggior comodità di citazione e per una maggiore tracciabilità bibliometrica, si può inoltre inserire una abbreviazione dell’url tramite un servizio affidabile di url shortening  e un digital object identifier.

Questi indicazioni sono frutto di una rielaborazione delle proposte di Dunleavy, che non menziona gli archivi disciplinari e suggerisce di citare,  in mancanza di meglio,  i testi caricati in reti sociali, anche accademiche,  sulle quali converrebbe nutrire una certa diffidenza  –  soprattutto in considerazione del fatto che i ricercatori, anche indipendenti, possono approfittare del bellissimo Zenodo.  Sarebbe anzi opportuno aggiungere al simbolo ($) un simbolo proprietary social media (PSM) per avvisare il lettore che il testo citato è accessibile solo a utenti che accettano di registrarsi e di regalare i propri dati a un medium sociale proprietario.

È invece molto interessante l’idea di sostituire i riferimenti alle pagine con una brevissima porzione del punto del testo che si intende citare, ottenibile facilmente con un copia-e-incolla. Questa soluzione assicurerebbe uno stile uniforme e metterebbe le versioni ad accesso aperto di articoli usciti ad accesso chiuso allo stesso livello della loro incarnazione  editoriale:  il lettore, per ritrovare la parte dell’opera a cui la citazione si riferisce, non avrebbe più bisogno di dipendere dall’impaginazione dell’editore.

Se uno stile di citazione di questo genere venisse affinato e codificato, otterremo una rete della scienza i cui nodi sarebbero testi ad accesso aperto e in cui le opere ad accesso chiuso sarebbero messe – giustamente – ai margini. Vale la pena di discuterne.

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Le statue di Dedalo: le riviste di filosofia politica italiane di serie A

Roars ha puntualmente segnalato l’ancipite vicenda delle nuove liste di riviste last minute per l’abilitazione scientifica nazionale. E’ cambiato qualcosa fra le riviste di filosofia politica italiane di serie A, di cui avevamo già avuto modo di discutere? A quanto pare, la sola novità è data da Filosofia politica, che, scomparsa dalla lista precedente, è ora ritornata in tutta la sua gloria.  Per il resto, rimane saldo quanto avevamo già scritto a suo tempo.

Quanto a noi, in questo movimento di  statue di Dedalo,  conserviamo il nostro marchio di scientificità,  sia per l’area 14 sia per l’area 11.

L’Anvur ha spiegato che lo scopo delle nuove liste è correggere gli errori. Però la lista dell’area 14 continua a negare la scientificità sia all’Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie sia alle Hegel Studien.  Dobbiamo dunque concludere che per l’Anvur, persistentemente, studiare  Kant, Hobbes e Tocqueville è segno d’eccellenza scientifica nella filosofia politica, mentre ragionare su Hegel o pubblicare su un’importante rivista di filosofia sociale e del diritto tedesca e internazionale è meno fruttuoso della suinicultura.

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