Secondo alcune fonti antiche il sofista Protagora, ormai anziano, fu accusato, come Socrate, di empietà e trovò la morte lasciando Atene, forse per sfuggire al processo o forse perché bandito dalla città. Contro questa tradizione sembra militare la testimonianza di Platone, secondo la quale, almeno in apparenza, Protagora, a differenza di altri intellettuali, non si imbatté mai in questo tipo di difficoltà. L’autore, però, osserva che Platone disponeva e padroneggiava degli strumenti letterari dell’antifrasi ironica e dell’allusione mitologica malevola, e poteva presupporre un pubblico in grado di raccogliere i suoi spunti perché ben informato dei fatti. Se leggiamo il testo platonico secondo questo registro, otteniamo una conferma – e non una smentita – della tradizione.
L’articolo, uscito su “Acme” (53:2, 2000, pp. 19-37), è disponibile ad accesso aperto e pieno presso l’archivio istituzionale dell’università di Milano. Il problema interpretativo che affronta può essere letto come una conseguenza di una caratteristica del testo scritto che lo stesso Platone aveva messo in luce nel Fedro: quella stessa rigidità e mancanza di interattività che gli consente di superare i limiti spaziali e temporali della comunicazione orale, può farlo sopravvivere senza il suo contesto, cioè senza la comunità di conoscenza nella quale e per la quale era stato composto. Quanto per gli ascoltatori di Platone era o un ovvio riferimento a un dato storico, o un’ironia altrettanto evidente, per noi è solo l’esito di una congettura filologica, che non può andare oltre la verosimiglianza, perché non possiamo più accedere alle conversazioni quotidiane dell’Atene di due millenni e mezzo fa.
Quanto più i testi sono slegati dai contesti, tanto più diventano rigidi, enigmatici, e sostanzialmente inutili. Chi pubblica ad accesso aperto offre il suo lavoro alla rete, cioè a una molteplicità di interazioni e legami (link), e quindi alla possibilità di far vivere il senso del suo testo più intensamente e più a lungo.
Ho voluto che la prima segnalazione del nuovo Btfp fosse quella di un articolo uscito e depositato altrove per rendere chiara la differenza fra una rivista tradizionale – anche ad accesso aperto, anche in rete – e questa nuova impresa. Un overlay journal non è una cassaforte, né una vetrina, ma uno spazio aperto di legami, di interazioni e di contesti che danno sensi ai testi.