L’onore degli ambasciatori: citazioni ad accesso aperto

Chi pubblica i propri lavori ad accesso aperto fa un uso pubblico della ragione. Chi preferisce l’accesso chiuso ne fa un uso privato: anziché rivolgersi ai cittadini del mondo valendosi della miglior tecnologia di comunicazione disponibile al momento, parla a un gruppo ristretto, selezionato con criteri economici. La scelta dell’accesso chiuso è di solito dovuta o a un’adesione d’abitudine alla prassi della comunità accademica di riferimento, o alla cura per la propria carriera e al timore che una pubblicazione ancora percepita come poco tradizionale possa condurre a valutazioni negative. Qui il teatro dell’azione non è una sfera pubblica virtualmente universale, bensì istituzioni particolari.

La citazione è “la moneta corrente nel commercio della comunicazione scientifica ufficiale“. Serve, quando costruisco tesi su idee altrui, sia a pagare dei debiti, sia a esibire la solidità del mio credito: la mia voce suona più forte, sostenuta dal patrimonio di letteratura che ho prelevato dalla banca del sapere.

La citazione è anche la materia prima degli indici bibliometrici, che possono essere decisivi per la valutazione della ricerca, gli avanzamenti nella carriera e le politiche d’acquisto delle riviste nelle biblioteche. In questa seconda funzione, le citazioni non sono moneta soltanto metaforicamente, ma anche in un senso assai letterale.

In un’opera pubblicata in rete le citazioni, in forma di link, sono moneta anche nel senso dell’economia dell’attenzione: tutte le volte che faccio un collegamento a una risorsa, migliorando il suo ranking nei motori di ricerca e rendendola più visibile, aumento il suo valore. E dato che i testi ad accesso aperto sono citati di più, ottenervi citazioni significa ricevere un bellissimo regalo.

Se le risorse citate sono a loro volta ad accesso aperto, la citazione è un segno di gratitudine per il dono della loro presenza. Ma se sono ad accesso chiuso si può dire lo stesso?

George Monbiot, in un recente articolo sul Guardian, ha chiamato gli oligopolisti dell’editoria scientifica “i capitalisti più spietati del mondo occidentale”, perché sfruttano il lavoro, per loro gratuito, di ricercatori e revisori finanziati con fondi pubblici, privatizzandone il prodotto e imponendogli un prezzo esorbitante. Che senso ha, per chi sceglie l’accesso aperto, far loro pubblicità gratis e senza reciprocità, per il loro profitto?

Potremmo raccomandare a chi pubblica ad accesso aperto la soluzione radicale, ma ingiusta, di citare esclusivamente risorse ad accesso aperto. Il marketing dell’attuale oligopolio della comunicazione scientifica tende a farci credere che la validità di un contenuto dipenda dal luogo in cui viene pubblicato (Björn Brembs, What’s wrong with scholarly publishing today? slide 87): se escludessimo la possibilità che un’idea veramente buona appaia in una rivista ad accesso chiuso commetteremmo lo stesso errore. Si può allora pensare a una politica di riduzione del danno, con alcune innovazioni rispetto alla consuetudine.

1. Preferire sistematicamente la letteratura ad accesso aperto;

2. citare i documenti ad accesso aperto depositati negli archivi istituzionali e disciplinari anche quando ne è stata pubblicata una versione ad accesso chiuso;

3, quando il testo da citare è rilevante per le idee che contiene e non per l’autore, cercare un documento ad accesso aperto che riporti tesi analoghe, anche quando questo significhi menzionare il lavoro di un dottorando in luogo di quello di un’academic star;

4. se il testo ad accesso chiuso è insostituibile, non citarlo direttamente, ma citare le risorse ad accesso aperto che lo segnalano e lo schedano; se mancano, produrre una sua breve presentazione ad accesso aperto per l’uso della citazione, avendo cura di sottolineare, quando è il caso, che la risorsa è ad accesso chiuso e a pagamento, mentre avrebbe potuto non esserlo.

La citazione di seconda mano non solo lascia quasi invariato l’impatto citazionale del testo ma ha un altro, importante, pregio.

In un ambiente in cui l’informazione è fin troppo abbondante il curatore – o il battitore di piste alla Vannevar Bush – ha un ruolo creativo; indica da che parte voltarsi, riduce la complessità con criteri più raffinati e umani degli algoritmi basati sulla popolarità, produce idee nuove da nuove combinazioni di concetti già noti. Già soltanto per questo merita di essere riconosciuto.

Ma il curatore che segnala in accesso aperto una risorsa ad accesso chiuso, esponendone il contenuto, fa qualcosa di ancora più significativo: libera per l’uso pubblico della ragione una risorsa che era a uso privato, dice nella luce quanto è stato detto nelle tenebre, grida sui tetti quanto gli è stato sussurrato all’orecchio. In questo senso il vero studioso è lui: perché è lui che racconta ai cittadini del mondo quanto l’autore aveva riservato agli eletti selezionati da un carisma economico.

A tutti noi, quando abbiamo scritto la nostra tesi di laurea, è stato detto non era bello fare citazioni di seconda mano, perché ci si esponeva al sospetto di non aver letto i testi citati e al rischio di recepire le eventuali inesattezze della citazione copiata. La politica di citazione qui proposta innova questa regola, indicando una situazione in cui la citazione di seconda mano è doverosa, perché non è un segno della pigrizia del citante, ma di una scelta – spesso non del tutto consapevole – del citato, che parla a pochi e per interessi particolari quando potrebbe parlare a tutti e per interessi universali. La citazione di seconda mano renderebbe evidente che chi rinuncia a entrare in prima persona nella sfera pubblica deve rassegnarsi alla mediazione – non necessariamente benevola e accurata – di qualcun altro che si prende il suo merito. E che oggi l’uso pubblico della ragione, superati i limiti tecnologici ed economici dell’età della stampa, si fa nell’accesso aperto.

Questa proposta nasce dall’esperienza della comunicazione ancora prevalente nell’ambito umanistico e tenta di affrontare il problema della mancanza di reciprocità nel rapporto fra accesso aperto e accesso chiuso, in un mondo in cui buona parte della ricerca mainstream continua ad adottare la seconda opzione, spesso soltanto per mancanza di consapevolezza. Ci possono essere soluzioni migliori? La discussione è aperta.

–dnt

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8 thoughts on “L’onore degli ambasciatori: citazioni ad accesso aperto”

  1. La proposta mi sembra corretta e anzi sacrosanta. Complimenti vivissimi! Cercherò di seguirla, anche se non sempre sarà facile nei miei campi di studi. Sarebbe bene fare di questa proposta una breve sintesi pratica (diciamo: una specie di decalogo) da proporre alla nuova generazione di studios, e, per cominciare, ai/lle nostri/e laureandi/e, in modo che diventi una buona abitudine.

  2. Grande MariaChiara! Questo tuo pezzo così diretto e razionale dovrebbe essere respirato come l’aria… antonella

  3. Complimenti per la lucidità dell’analisi! Il vero problema, a mio avviso, sta proprio nella mancanza di consapevolezza, unito alla necessità di trovare nuove metriche di valutazione slegate dalle banche dati citazionali (fra l’altro, carissime).
    Questo significa necessità di uno sforzo enorme a ogni livello: CRUI, atenei, sistemi bibliotecari, nuclei di valutazione.
    Contributi come questo sono fondamentali!

  4. Lo sta traducendo in inglese per ricevere un feed-back più ampio e per vedere se qualcuno nel modo ha già affrontato la questione di come si fanno le citazioni nell’accesso aperto. Non sono per ora riuscita a trovare nulla di sistematico, ma può anche darsi che abbia cercato male.

    Poi bisogna anche valutare se produrre delle vere e proprie linee guida (come chiede Raul Mordenti) sulla materia. Ma sarebbe bene non provenissero da MCP, che è solo uno sputo in un mare 🙂

  5. La proposta sembra ottima anche a me, ed e’ ottima anche l’idea di stendere delle sintetiche linee guida per gli autori, che diano indicazioni a chi fa ricerca su come praticare una politica OA. Il momento della pubblicazione, infatti, e’ solo l’ultimo passaggio di una catena: prima si cercano, si selezionano e si studiano le fonti; poi si scrive; e solo dopo si pubblica. Per questo a mio avviso e’ fondamentale riflettere, anche in termini pratici, sui singoli passaggi.

    Volevo anche aggiungere che su spaghetti open data, una delle mailing list italiane dedicate agli open data, e’ stata lanciata l’idea di scrivere un manuale dedicato all’Open Science, sulla scia di quanto fatto per l’Open Data manual. Si tratterebbe in sostanza di pensare a un manualetto pratico che potrebbe coincidere, o sovrapporsi almeno in parte, al decalogo proposto da Raul Mordenti.

    C’e’ qualcuno disposto a collaborare?

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