Tetradrakmaton

I Greci tra oralità e scrittura

Bollettino telematico di filosofia politica
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Ultimo aggiornamento 13 aprile 2003

La questione omerica:

Chi è Omero?

Se lo storico Erodoto di Alicarnasso data l'epoca dell'attività di Omero intorno all'850 a.C., la tradizione antica non aveva dubbi sull'effettiva esistenza storica del poeta, autore, oltre che dei due poemi Iliade e Odissea, degli Inni omerici e del cosiddetto Ciclo epico. I poemi omerici, da cui ha origine la letteratura greca, furono sin da principio noti e rispettati, e considerati la fonte della conoscenza sulla storia, sui costumi e sulle organizzazioni politiche, e sulla religione delle epoche precedenti. La critica ha progressivamente messo in dubbio l'esistenza di Omero, e ha posto in luce che la stessa questione dell'origine presuppone una transizione da un'epoca priva della scrittura ad un momento in cui il nuovo mezzo si diffonde tra i popoli greci. La questione omerica diviene particolarmente importante per la ricostruzione delle tappe del momento del passaggio tra oralità e scrittura, della cui memoria i poemi stessi sono in parte portatori.

Per secoli si è ritenuto che la redazione dei poemi fosse avvenuta ad Atene sotto la tirannide di Pisistrato (VI a.C.), tuttavia la prima edizione filologica certa a noi pervenuta è ad opera dei grammatici alessandrini del III e II secolo a.C. Zenodoto di Efeso, Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia. Ad essi si deve la fissazione del numero dei versi dei poemi e la suddivisione in 24 canti, oltre che l'attribuzione della paternità dei soli poemi (e non degli Inni e del Ciclo) ad un unico autore, Omero.
Poiché i libri cominciano a circolare ad Atene dal V secolo a.C. e non esiste in Grecia un concetto di proprietà letteraria, vale a dire che è consueto rimaneggiare e rivedere le opere altrui, è possibile ritenere che esistessero redazioni precedenti l'edizione alessandrina, prodotto di diverse stratificazioni.
I grammatici Senone ed Ellenico, detti separatisti (corizontes), ipotizzarono una diversa paternità dei due poemi. Omero avrebbe creato la sola Iliade, mentre l'Odissea sarebbe stata opera di un altro poeta. La loro ipotesi anticipatrice si rivelò minoritaria e fu confutata da Aristarco. Tuttavia la differenza strutturale tra i due poemi incoraggia i sostenitori dell'ipotesi dei separatisti; nel I secolo d.C. lo Pseudo Longino, autore del trattato del Sublime, attribuisce l'Iliade all'età della giovinezza di Omero; l'Odissea al contrario sarebbe opera di un Omero già vecchio.

La questione di chi sia l'autore dell'Iliade e dell'Odissea continua ad essere al centro di vivaci dispute per secoli. Dopo il Rinascimento e fino a tutto il Seicento, vi si legano tanto la critica alla rozzezza poetica di Omero quanto le interpretazioni relative alle modalità di composizione e di trasmissione dei poemi. Il dibattito complesso riguarda sia l'ambito proprio della critica letteraria, sia un discorso, più ampio, che interessa la genesi della cultura e del pensiero occidentali. È utile ricordare alcune posizioni che, nel Settecento, anticipano le successive conferme della filologia e dell'archeologia, e legano alla questione dell'origine dei poemi omerici importanti problemi filosofici.
Il primo ad affermare la non unicità del poeta Omero è François Hédelin, abate d'Aubignac, nelle Conjectures académeiques ou Dissertation sur l'Iliade, pubblicate nel 1715. Raccogliendo le ipotesi formulate dai suoi contemporanei, Hédelin afferma che l'Iliade e l'Odissea sono inorganiche raccolte di canti, originariamente indipendenti e composti da vari poeti. La composizione tardiva dei poemi dimostrerebbe che l'Omero tradizionalmente identificato come autore dell'Iliade e dell'Odissea, è in realtà un personaggio immaginario.
Le due principali voci ricordate in questa fase della storia della questione omerica sono dei filosofi Giambattista Vico (1668-1744) e Jean-Jacques Rousseau (1712-78).

Nei Principi di scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (1744), Vico affronta la questione dell'identità di Omero all'interno della problematica, più ampia, della ricerca dei caratteri del mondo degli eroi. Il filosofo napoletano distingue tre età, degli dei, degli eroi e degli uomini. Alle diverse epoche storiche fa corrispondere tre sistemi politici e tre sistemi di scrittura. Nel terzo libro dell'opera, Sulla Discoverta di Omero, Vico prende in esame la scrittura simbolica, ovvero poetica, sostenendo la necessità di recuperare il significato del vero Omero a partire dal testo di Omero stesso. Le contrastanti descrizioni dei costumi dei Greci presenti nei poemi dimostrano che i poemi sono stati composti da più autori subendo, nella trasmissione, rimaneggiamenti; il linguaggio poetico non è frutto della convenzione, ma nasce dalla fantasia ed è un discorso orale. Perciò Vico sostiene che un poeta Omero non è mai esistito, e che Iliade ed Odissea sono frutto di una creazione collettiva; Omero non è che il simbolo degli uomini greci, che narravano, cantando, la propria storia: "Essi popoli greci furono quest'Omero". Su tali basi propone una riscoperta del vero Omero, e confuta le tesi che ne sottolineano le incongruenze e pesantezze espositive.

Nel Saggio sull'origine delle lingue (1761), Rousseau coniuga il problema del linguaggio alla sua natura verbale e sonora, dedicando gli ultimi capitoli dell'opera (XII-XIX) al tema della melodia e della musica. Nei primi capitoli, come Vico, rinviene l'origine del linguaggio orale nel canto dei poeti. Il linguaggio secondo il filosofo ginevrino deriva dalle passioni, e in prima istanza da un elemento istintuale che viene dai sensi e non dalla ragione. Sono le passioni e non i bisogni la forza morale che ha spinto gli uomini a voler comunicare. Rousseau recupera la concezione del linguaggio come suono, e ne sottolinea la natura essenzialmente fonetica, contrapposta alla natura pittorica della scrittura, cui dedica un capitolo, il quinto.
"La scrittura, che dovrebbe fissare la lingua, la altera"; la scrittura, inoltre, è fredda, meno viva e creativa del linguaggio verbale. Il sesto capitolo, dedicato al problema Se è probabile che Omero abbia saputo scrivere, risponde negativamente. Oggetto della riflessione di Rousseau non è tanto l'identità del poeta quanto la natura del sapere poetico e le modalità della sua espressione.

Le teorie di Vico e di Rousseau sono state accomunate (E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia 1961-96, p. 108), e ampiamente studiate a partire dal loro recupero da parte di Jacques Derrida nella Grammatologia. Alcuni punti comuni destano particolare interesse ove si osserva che sia Vico sia Rousseau riconoscono nella questione omerica un nodo centrale per la ricerca relativa al passaggio da una civiltà orale ad una società che fa uso della scrittura. Ed entrambi riconoscono la natura politica del linguaggio, legando le modalità delle forme espressive ad una teoria delle forme di governo.
In Inghilterra Robert Wood (An Essay of the Original Genius of Homer, 1796), mette in luce la grande distanza storica tra l'ambiente di Omero e il mondo della Grecia classica. Wood anticipa più esplicitamente di Vico e di Rousseau l'ipotesi oralista, affermando che per comprendere la poesia epica è necessario dimenticare tutto quanto è legato all'uso della scrittura e tornare alla poesia come forma orale.

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La composizione e la struttura dei poemi
  





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