La
questione omerica:
Chi è Omero?
Se lo
storico Erodoto di Alicarnasso data
l'epoca dell'attività di Omero intorno all'850 a.C., la tradizione antica
non aveva dubbi sull'effettiva esistenza storica del poeta, autore,
oltre che dei due poemi Iliade
e Odissea, degli Inni
omerici e del cosiddetto Ciclo
epico. I poemi omerici, da cui ha origine la letteratura greca, furono
sin da principio noti e rispettati, e considerati la fonte della conoscenza
sulla storia, sui costumi e sulle organizzazioni politiche, e sulla
religione delle epoche precedenti. La critica ha progressivamente messo
in dubbio l'esistenza di Omero, e ha posto in luce che la stessa questione
dell'origine presuppone una transizione da un'epoca priva della scrittura
ad un momento in cui il nuovo mezzo si diffonde tra i popoli greci.
La questione omerica diviene particolarmente importante per la ricostruzione
delle tappe del momento del passaggio tra oralità e scrittura, della
cui memoria i poemi stessi sono in parte portatori.
Per secoli
si è ritenuto che la redazione dei poemi fosse avvenuta ad Atene sotto
la tirannide di Pisistrato (VI a.C.), tuttavia la prima
edizione filologica certa a noi pervenuta è ad opera dei
grammatici alessandrini del III
e II secolo a.C. Zenodoto di Efeso,
Aristofane di Bisanzio e Aristarco
di Samotracia. Ad essi si deve la fissazione del numero dei versi dei
poemi e la suddivisione in 24 canti, oltre che l'attribuzione della
paternità dei soli poemi (e non degli Inni e del Ciclo)
ad un unico autore, Omero.
Poiché i libri cominciano a circolare ad Atene dal V secolo a.C. e non
esiste in Grecia un concetto di proprietà letteraria, vale a dire che
è consueto rimaneggiare e rivedere le opere altrui, è possibile ritenere
che esistessero redazioni precedenti l'edizione alessandrina, prodotto
di diverse stratificazioni.
I grammatici Senone ed Ellenico, detti separatisti
(corizontes), ipotizzarono una diversa paternità dei due poemi.
Omero avrebbe creato la sola Iliade, mentre l'Odissea sarebbe stata
opera di un altro poeta. La loro ipotesi anticipatrice si rivelò minoritaria
e fu confutata da Aristarco. Tuttavia la differenza strutturale tra
i due poemi incoraggia i sostenitori dell'ipotesi dei separatisti; nel
I secolo d.C. lo Pseudo Longino, autore del trattato del Sublime,
attribuisce l'Iliade all'età della giovinezza di Omero; l'Odissea
al contrario sarebbe opera di un Omero già vecchio.
La questione
di chi sia l'autore dell'Iliade e dell'Odissea continua
ad essere al centro di vivaci dispute per secoli. Dopo il Rinascimento
e fino a tutto il Seicento, vi si legano tanto la critica alla rozzezza
poetica di Omero quanto le interpretazioni relative alle modalità di
composizione e di trasmissione dei poemi. Il dibattito complesso riguarda
sia l'ambito proprio della critica letteraria, sia un discorso, più
ampio, che interessa la genesi della cultura e del pensiero occidentali.
È utile ricordare alcune posizioni che, nel Settecento, anticipano le
successive conferme della filologia e dell'archeologia, e legano alla
questione dell'origine dei poemi omerici importanti problemi filosofici.
Il primo ad affermare la non unicità del poeta Omero è François Hédelin,
abate d'Aubignac, nelle Conjectures académeiques
ou Dissertation sur l'Iliade, pubblicate nel 1715. Raccogliendo
le ipotesi formulate dai suoi contemporanei, Hédelin afferma che l'Iliade
e l'Odissea sono inorganiche raccolte di canti, originariamente
indipendenti e composti da vari poeti. La composizione tardiva dei poemi
dimostrerebbe che l'Omero tradizionalmente identificato come autore
dell'Iliade e dell'Odissea, è in realtà un personaggio
immaginario.
Le due principali voci ricordate in questa fase della storia della questione
omerica sono dei filosofi Giambattista Vico
(1668-1744) e Jean-Jacques Rousseau
(1712-78).
Nei Principi
di scienza nuova intorno alla comune natura delle nazioni (1744),
Vico affronta la questione dell'identità di Omero all'interno della
problematica, più ampia, della ricerca dei caratteri del mondo degli
eroi. Il filosofo napoletano distingue tre età, degli dei, degli eroi
e degli uomini. Alle diverse epoche storiche fa corrispondere tre sistemi
politici e tre sistemi di scrittura. Nel terzo libro dell'opera, Sulla
Discoverta di Omero, Vico prende in esame la scrittura
simbolica, ovvero poetica, sostenendo la necessità di recuperare il
significato del vero Omero a partire dal testo di Omero stesso. Le contrastanti
descrizioni dei costumi dei Greci presenti nei poemi dimostrano che
i poemi sono stati composti da più autori subendo, nella trasmissione,
rimaneggiamenti; il linguaggio poetico non è frutto della convenzione,
ma nasce dalla fantasia ed è un discorso orale. Perciò
Vico sostiene che un poeta Omero non è mai esistito, e che Iliade
ed Odissea sono frutto di una creazione collettiva; Omero non
è che il simbolo degli uomini greci, che narravano, cantando, la propria
storia: "Essi popoli greci furono quest'Omero". Su tali basi propone
una riscoperta del vero Omero, e confuta le tesi che ne sottolineano
le incongruenze e pesantezze espositive.
Nel Saggio
sull'origine delle lingue (1761), Rousseau coniuga il
problema del linguaggio alla sua natura verbale e sonora, dedicando
gli ultimi capitoli dell'opera (XII-XIX) al tema della melodia e della
musica. Nei primi capitoli, come Vico, rinviene l'origine del linguaggio
orale nel canto dei poeti. Il linguaggio secondo il filosofo ginevrino
deriva dalle passioni, e in prima istanza da un elemento istintuale
che viene dai sensi e non dalla ragione. Sono le passioni e non i bisogni
la forza morale che ha spinto gli uomini a voler comunicare. Rousseau
recupera la concezione del linguaggio come suono, e ne sottolinea la
natura essenzialmente fonetica, contrapposta alla natura pittorica della
scrittura, cui dedica un capitolo, il quinto.
"La scrittura, che dovrebbe fissare la lingua, la altera"; la scrittura,
inoltre, è fredda, meno viva e creativa del linguaggio verbale. Il sesto
capitolo, dedicato al problema Se è probabile
che Omero abbia saputo scrivere, risponde negativamente.
Oggetto della riflessione di Rousseau non è tanto l'identità del poeta
quanto la natura del sapere poetico e le modalità della sua espressione.
Le teorie
di Vico e di Rousseau sono state accomunate (E. Cassirer, Filosofia
delle forme simboliche, La Nuova Italia 1961-96, p. 108), e ampiamente
studiate a partire dal loro recupero da parte di Jacques Derrida nella
Grammatologia. Alcuni punti comuni destano particolare interesse
ove si osserva che sia Vico sia Rousseau riconoscono nella questione
omerica un nodo centrale per la ricerca relativa al passaggio da una
civiltà orale ad una società che fa uso della scrittura. Ed entrambi
riconoscono la natura politica del linguaggio, legando le modalità
delle forme espressive ad una teoria delle forme di governo.
In Inghilterra Robert Wood
(An Essay of the Original Genius
of Homer, 1796), mette in luce la grande distanza storica
tra l'ambiente di Omero e il mondo della Grecia classica. Wood anticipa
più esplicitamente di Vico e di Rousseau l'ipotesi oralista,
affermando che per comprendere la poesia epica è necessario dimenticare
tutto quanto è legato all'uso della scrittura e tornare alla poesia
come forma orale.
Prosegui:
La questione omerica:
La composizione e la struttura dei poemi