Tetradrakmaton

L'invenzione della politica

Bollettino telematico di filosofia politica
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Ultimo aggiornamento 31 ottobre 2002

Una teoria della democrazia:
il logos epitaphios di Pericle

Per quanto Eschilo, nelle Supplici, alluda a questa parola con perifrasi trasparenti (v. 604: demou kratousa cheir - "la mano dominante del popolo"), il testo più antico in cui viene usato il termine demokratia è il VI libro delle Storie di Erodoto. In VI.43.3 si narra che il generale persiano Mardonio, nel 492, instaurò nelle città ioniche la democrazia in luogo dei tiranni; in VI.131.1 si riferisce che Clistene fu colui che istituì le tribù territoriali e la democrazia. Nel dibattito sulle costituzioni (III.80.2) Erodoto aveva messo in bocca al pur "democratico" Otane la locuzione "governo del plethos", cioè della moltitudine come totalità o come maggioranza, per evitare di aggiungere un anacronismo al resoconto di una vicenda che egli stesso sapeva poco credibile.

Che cosa si debba intendere per demokratia viene chiarito - non essendoci rimasto nessun testo teorico esplicitamente democratico - dalla testimonianza di un altro storico, Tucidide, nell'orazione sopra i caduti, pronunciata da Pericle all'inizio della guerra del Peloponneso, nell'inverno 431-430. Tucidide è incline, più che ad ideali democratici, a una posizione di realismo politico: è dunque verosimile che quanto egli mette in bocca a Pericle sia il vero pensiero di quest'ultimo. L'epitafio, se è così, può essere letto come l'abbozzo di una teoria della democrazia.

Pericle, da abile oratore, propone una concezione prescrittiva della democrazia facendola passare come una descrizione di quello che "noi" siamo, in modo da trasmettere dei valori senza assumere un atteggiamento pedagogico. Il suo elogio comincia dagli antenati:
Infatti, abitando sempre i medesimi la regione nella successione di coloro che sono sopravvenuti nel corso del tempo, fino ad ora la trasmisero libera per il loro valore (arete). E quelli sono degni di lode, ma ancora più i nostri padri, perché, avendo acquistato, oltre a ciò che avevano ricevuto, quell'impero (arché) lo lasciarono, accresciuto, non senza fatica, a noi di ora. Ma la maggior parte di questa arché l'accrescemmo noi che siamo ora nell'età assestata e la città l'abbiamo resa, per tutti gli aspetti, il più possibile autosufficiente (autarkestaten) per la pace e per la guerra.
Una polis è fatta da una continuità generazionale e territoriale che perdura fino al presente. Sebbene la città possa conquistare un grande potere, la sua struttura, il suo ideale di autarchia - autogoverno e autosufficienza - la tiene lontana da mire imperialistiche globalizzanti. Ma a Pericle interessa qualcosa di più della mera celebrazione del passato: partendo della questione della pratica (epitedeusis) che ha reso possibile tali imprese, vuole esporre la politeia - la costituzione in senso materiale e formale - e i modi di vivere che stanno alla sua base. (II.36.4) Notevole in questo discorso è la circostanza che Pericle, in maniera innovativa rispetto alla cultura cui appartiene, non si limita a fare un bilancio del passato, ma vede i principi democratici come un progetto aperto al futuro - qualcosa che si può celebrare, dunque, prima che sia concluso e nella speranza che non si concluda.
Ci valiamo di una politeia che non imita le leggi (nomoi) dei vicini, ma siamo noi modello (paradeigma) ad alcuni, più di quanto imitiamo gli altri. E poiché non si regge a pochi, ma a maggioranza, quanto a nome si chiama democrazia; di fronte alle leggi, però, tutti hanno parte uguale, in ordine alle divergenze private; e, secondo la valutazione che si riceve (kata ten axiosin), se qualcuno in qualcosa eccelle, non viene scelto per le funzioni comuni in base alla sua parte di ricchezza più che in base alla sua arete. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango (axiomatos).
La democrazia ha la dignità di un paradigma politico, i cui capisaldi sono:
  • il governo della maggioranza
  • l'uguaglianza di fronte alla legge
  • l'uguaglianza di opportunità: l'accesso alle cariche sulla base di una valutazione (axiosis) aperta e processuale e non sulla base di una valore (axioma) statico, di un rango, come è tipico delle aristocrazie

Ma in modo libero amministriamo politicamente quanto riguarda ciò che è comune (koinon), senza avere in ira il vicino, se fa qualcosa a suo piacere (kath'hedonen)e senza un reciproco sospetto sulle nostre pratiche quotidiane.
La democrazia permette una armonia fra pubblico e privato, e per questo si oppone alla tirannide che monopolizza il pubblico nelle mani di uno solo e confina tutti gli altri nel privato. Il cittadino democratico, di contro, può comportarsi, privatamente, addirittura a proprio piacere, senza produrre conflittualità. Questo aspetto contraddistingue l'ottimismo democratico del discorso di Pericle rispetto alle posizioni antidemocratiche, che, dal Vecchio Oligarca autore della Costituzione degli Ateniesi fino a Platone, stigmatizzano il carattere disordinato, informe e arbitrario - assemblearistico - del governo della moltitudine. Il regime celebrato da Pericle si esponeva a questa critica perché era pur sempre una democrazia diretta, con un carattere comunitario e partecipativo e con la tendenza a decidere a maggioranze molto ampie. Questo richiedeva un consenso molto più profondo del consenso meramente istituzionale e procedurale delle democrazie moderne, e dunque una continuità fra politica e morale. Pericle, tuttavia, crede che la democrazia di Atene realizzi una struttura istituzionale stabile e per questo sia in grado di proteggere la vita pubblica dall'arbitrio garantito alla vita privata.
Trattando gli affari privati non violiamo però i principi delle istituzioni pubbliche (ta demosia) innanzi tutto per timore, ascoltando quanti di volta in volta sono al potere, ma anche dando ascolto alle leggi, soprattutto quelle che giacciono [negli archivi] in aiuto degli offesi, e anche a quante, pur non essendo scritte, portano a chi le infrange una vergogna riconosciuta.
La democrazia è un fattore importante della rivoluzione mediatica del V secolo, che assiste al passaggio dall'oralità alla scrittura. Un regime basato sui principi della pubblicità e della rendicontazione ha bisogno di scrivere le leggi in modo tale che siano visibili a chi lo desidera, per assicurare trasparenza e certezza del diritto. Tucidide stesso riconosce che Pericle poteva permettersi di guidare il popolo in libertà perché era "trasparentemente incorruttibilissimo in fatto di denaro" (chrematon diaphanos adorotatos) (II.65.8). D'altra parte, la comunità politica non può fare a meno dei nomoi (leggi, convenzioni, costumi) non scritti. La democrazia antica, per il suo carattere comunitario, non può intendere se stessa come meramente procedurale, ma richiede una concordia sostanziale sui valori etici fondamentali.
Pertanto, sebbene la democrazia periclea protegga la sfera privata come sfera dell'arbitrio, essa non può sopravvivere senza la partecipazione e la pratica della discussione. La democrazia degli antichi è una scelta a un tempo procedurale, giuridica, politica, culturale e religiosa.
Siamo i soli a considerare chi non partecipa [agli affari pubblici] non già senza preoccupazioni (apragmon) ma inetto (achreios).




Testo consigliato:
Domenico Musti, Demokratía. Origini di un'idea, Roma-Bari, Laterza, 1995.



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