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Le distinzioni suggerite da Socrate e da Kant sembrano dimostrare che è possibile costruire la vita teoretica su diritti collettivi e non individuali senza cadere nel totalitarismo. Tuttavia, il tentativo di riproporre libertà collettive potrebbe andare incontro ad una obiezione di natura storica. Come si può pretendere di ricostruire una libertà degli antichi in un mondo dominato dalla libertà dei moderni?
La divulgazione della distinzione fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni risale allo scrittore liberale francese Benjamin Constant, che la espose nella celebre conferenza parigina del 1819, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. 83 Le tesi principali di questa conferenza, che ha luogo in epoca di Restaurazione, sono le seguenti:
la libertà degli antichi è autonomia politica collettiva; quella dei moderni libertà privata individuale;
l'errore fondamentale della Rivoluzione francese fu la pretesa di realizzare la libertà degli antichi in una situazione ove era attuabile solo quella dei moderni. 84
Secondo Constant, una delle differenze più importanti fra la politica antica e la politica moderna, è il carattere rappresentativo dei nostri governi, che era del tutto assente nelle poleis greche, democratiche o aristocratiche che fossero, e negli altri regimi dell'antichità. 85 Essendo il potere politico gestito senza mediazioni, la libertà degli antichi consisteva nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità. Questa libertà collettiva era compatibile con l'asservimento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme, che si manifestava con istituti come l'ostracismo ateniese e il controllo censorio della vita privata spartana per opera degli efori. Gli antichi erano «macchine di cui la legge regolava le molle e faceva scattare i congegni». 86
Di contro, oggi - dice Constant - per libertà s'intende il diritto di essere sottoposto soltanto alla legge, di non essere arrestato, né tenuto in carcere, né condannato a morte, né maltrattato per la volontà arbitraria di uno o più individui, il diritto di esprimere la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo, di disporre ed usare della propria proprietà, di associarsi con chi si preferisce, di esercitare la propria influenza sull'amministrazione del governo. In breve, la nostra libertà è il «pacifico godimento dell'indipendenza privata».
Solo ad Atene, secondo Constant, ci sono tracce di questa libertà privata: Atene, infatti, era una città di commercianti. E interesse del commercio è la libertà dall'interferenza del potere pubblico, che ostacola i traffici con pastoie autoritarie, in nome di fini diversi dal guadagno e dalla soddisfazione dei desideri individuali. Lo scrittore francese arriva a dire, identificando evidentemente la libertà delle donne con la loro libera accessibilità sessuale, che gli Ateniesi erano tolleranti con le loro mogli in materia di adulterio 87 - quando, a voler credere ad Aristotele (Politica, II.9, 1269b), una simile tolleranza aveva luogo nell'aristocratica Sparta e non certo nella democratica Atene, ove la dipendenza delle donne era totale. Non necessariamente la libertà della sfera privata comporta anche la libertà di coloro che in questa sfera vivono, soprattutto se si tratta di donne e di bambini.
Secondo Constant, l'autodeterminazione politica continua ad avere un grande valore, perché è un mezzo essenziale per conoscere e migliorare noi stessi tramite la discussione pubblica; ma la libertà degli antichi non è più praticabile per quattro motivi fondamentali:
maggiore è l'estensione dello stato, minore l'importanza politica del singolo cittadino: questo rende poco proponibile il sacrificio della libertà privata alla partecipazione politica.
l'abolizione della schiavitù ha eliminato il tempo libero da dedicare alla politica: oggi tutti devono lavorare.
il commercio, che pervade capillarmente la vita delle nazioni, non lascia, come la guerra, intervalli d'inattività: gli individui preferiscono dedicarsi alle speculazioni (economiche) piuttosto che alla discussione politica.
il commercio ispira un amore intenso per la libertà individuale di soddisfare i propri desideri, che mal si concilia con la sophrosyne (dominio di sé) richiesta al cittadino antico. 88
Molto probabilmente, più di un Greco antico avrebbe visto la libertà dei moderni, nel suo tipo ideale, come una libertà degli idioti, cioè, etimologicamente, dei privati o degli scemi. Le cose che hanno veramente un valore sono quelle compiute gratuitamente e liberamente: solo i poveri e gli schiavi sono legati dalla necessità al lavoro. E solo un idiota può vivere in questo modo per propria volontà, senza esserne costretto dalla violenza o dalla fame. In particolare, la democrazia ateniese del V secolo attribuiva un grande valore all'attività politica, a giudicare da quanto Tucidide mette in bocca a Pericle, che commemora i caduti della guerra del Peloponneso: «Siamo i soli a considerare chi non partecipa [agli affari pubblici] non già senza preoccupazioni (apràgmon) ma inetto (achréios)». (II, 40,2)
Inoltre, un Greco avrebbe probabilmente messo in dubbio che le mere libertà civili siano davvero al sicuro in un regime con una partecipazione politica limitata, ritualizzata, elitistica: 89 un potere nei confronti del quale sono passivo, definisce anche le mie libertà private a suo arbitrio. Lo stesso Constant era, d'altra parte, consapevole che la libertà politica è comunque indispensabile, in quanto garanzia delle libertà individuali.
L'efficacia della distinzione di Constant è stata messa in discussione da Norberto Bobbio, 90 nella prospettiva della storia delle idee. La storia della formazione dello stato costituzionale moderno dimostra che la richiesta della libertà politica è andata di pari passo con la rivendicazione delle libertà civili, anche se il conseguimento delle seconde spesso precede la conquista della prima: né Locke né Kant separano il principio della protezione delle libertà civili da quello della partecipazione del popolo alla formazione delle leggi. Non è dunque corretto - neppure storicamente - distinguere la libertà dell'individuo, in quanto privato, dalla libertà collettiva di chi partecipa ad una comunità che si autodetermina.
A difesa di Constant, si potrebbe sostenere che la sua distinzione non trova il suo miglior fondamento nelle idee e nella storia delle idee, bensì nella sociologia. La libertà dei moderni, in un mondo dominato così profondamente dalle esigenze del «commercio», non è, né può essere, la libertà nella sua interezza, ma è, per così dire, la libertà di cui dobbiamo accontentarci, perché è rimasta l'unica possibile. L'argomento più forte a favore del primato della libertà dei moderni, in questa prospettiva, si può ritrovare in un celebre passo di Max Weber:
[...] Il motivo ascetico fondamentale dello stile di vita borghese [è] che il limitarsi al lavoro professionale colla rinuncia alla universalità faustiana, che questa limitazione comporta, sia nel mondo moderno il presupposto di ogni azione degna di stima, che azione dunque e rinuncia si condizionano inevitabilmente a vicenda. Per [Goethe] questo riconoscimento significava rinuncia ed un addio a un tempo di piena e bella umanità, che non si rinnoverà più, nel corso della nostra civiltà, come nellìantichità non si rinnovò il fiorire di Atene. Il Puritano volle essere un professionista; noi dobbiamo esserlo. Perché in quanto l'ascesi fu portata dalla celle dei monaci nella vita professionale e cominciò a dominare nella moralità laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l'ultimo quintale di carbon fossile, lo stile di vita di ogni individuo, che nasce da questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all'attività puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via, secondo la concezione del Baxter, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli «eletti». Ma il destino fece del mantello una gabbia d'acciaio. Mentre l'ascesi imprendeva a trasformare il mondo e ad operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre più grande nella storia. Oggi lo spirito dell'ascesi è sparito, chissà se per sempre, da questa gabbia. 91
La libertà dei moderni è dunque la libertà del mercato e dei privati nel mercato - la libertà, cioè, di muoversi entro i limiti di una gabbia che altri, in un passato ormai remoto, hanno scelto e definito, e nella quale ormai ci troviamo rinchiusi. Il prezzo di questa semilibertà è la limitazione della partecipazione politica e la rinuncia all'autonomia del tempo libero. Tuttavia, se è vero che i presupposti del primato della libertà dei moderni sono soltanto sociologici - nemmeno Constant nega l'interdipendenza ideale fra le libertà private e la libertà pubblica -, allora un mutamento o una differente comprensione delle condizioni sociali potrebbe ripristinare il corretto rapporto di interdipendenza fra libertà personali e libertà collettive. La distinzione di Constant, in altre parole, è valida soltanto provvisoriamente, nella misura in cui riusciamo a riconoscerci nella vocazione e professione (Beruf) del borghese.
Nelle comunità di conoscenza, l'interdipendenza fra le libertà personali e collettive è indispensabile ed evidente: la libertà individuale di Socrate - la sua possibilità di produrre e di condividere informazione - non potrebbe sussistere senza la libertà collettiva del pubblico di accedere e di interagire con quanto egli dice e diffonde. Viceversa, non potrebbe esserci autodeterminazione della comunità di conoscenza se non fosse riconosciuta e garantita la libertà individuale di produrre e di condividere informazione. L'esperienza di queste comunità, che prima della diffusione della rete è stata marginale, potrebbe diventare sociologicamente importante.
Oggi, infatti, si potrebbero mettere in dubbio gli aspetti dell'argomentazione dello scrittore francese connessi alla pervasività del lavoro e del commercio. Come ha sostenuto Jeremy Rifkin, 92 il mondo del lavoro di massa e della conseguente scarsezza di tempo libero sta mutando in una maniera tale, almeno nei paesi sviluppati, da riproporre, sia pure in altri termini, la questione del senso dell'esistenza umana al di là della professione e dell'economia.
Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana. Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro di massa nell'economia di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza. 93
Inoltre, la circostanza stessa che nelle società industriali avanzate la conoscenza sia diventata merce e mezzo di produzione, fa sì che molte più persone vengano a contatto con i valori e le procedure della vita teoretica. Capire se essa possa davvero venir parcellizzata e privatizzata è una questione vitale, se non per la libertà dei moderni, per quella dei contemporanei. Ci troviamo infatti dinanzi ad una libertà collettiva metapolitica, che, a differenza della libertà degli antichi, non consiste «nel partecipare direttamente alle decisioni dello Stato» 94 bensì nel prender parte direttamente a una sfera pubblica diversa da quella politica, e intrinsecamente non coercitiva.
[83] Trad. it. dall'originale francese di G. Zanfarino-Bonacci, in A. Zanfarino (a cura di), Antologia degli scritti politici, Bologna, il Mulino, 1962, pp. 36-38.
[84] Ibidem, pp. pp. 37-40 trad. it.
[89] M. Finley, Democracy Ancient and Modern, 1972 (trad. it. La democrazia degli antichi e dei moderni, Milano, Mondadori, 1992).
[90] Norberto Bobbio, Eguaglianza e libertà, Torino, Einaudi, 1995, pp. 60- 62. Negli anni '50 del secolo scorso lo stesso Bobbio (Politica e cultura, Torino, Einaudi, 1974, pp. 160-194 e 269-82) aveva posto la libertà in quanto facoltà come concetto complementare, e non concorrente, alla libertà in quanto potere: non avrebbe infatti senso dare un permesso a qualcosa che non si autodetermina, esattamente come non si potrebbe parlare di autodeterminazione per qualcuno cui è permesso essere solo in un certo modo.
[91] M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, pp. 203- 204 in Gesammelte Aufsätze zur Religiophilosophie, I, Tübingen, Mohr, 1978, trad. it. di P. Burresi, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1977, pp. 304-305.
[92] J. Rifkin, The End of Work, New York, Tarcher/Putnam, 1995 (trad. it. di P. Canton, La fine del lavoro, Milano, Baldini & Castoldi, 1997).
[93] Ibidem, p. 23 (trad. it.).
[94] Su questo vedi S. De Luca, «Benjamin Constant teorico della modernità politica».
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