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Sommario
Nella tradizione occidentale, la libertà viene pensata in modo diverso, a seconda che la si intenda in una prospettiva teoretica o in una prospettiva pratica. La prospettiva teoretica prende le mosse da una descrizione del soggetto che ha libertà, per indicare quali sono i contenuti tipici dell'azione libera: la libertà, in più di un senso, è una proprietà, qualcosa che è in potere di qualcuno, il cui essere e le cui aspirazioni sono definite in anticipo o, più semplicemente, date per scontate. La prospettiva pratica, che in epoca moderna è stata sviluppata per merito di Kant, tratta la libertà non come una proprietà descrittiva ed evidente, bensì come una condizione del discorso morale, giuridico e politico: qualcosa che non si ha in proprio potere, perché non si può né possedere come una proprietà, né scegliere, ma che si deve presupporre, se si vuole parlare di bene e di male. 1
L'impostazione descrittiva ha il pregio di apparire radicata nell'esperienza e politicamente realistica, ma la sua stessa forza la condanna a pagare un pedaggio sia filosofico, sia politico: la libertà come proprietà reale, la libertà realizzata - uno stato di fatto di cui alcuni godono e altri no - è qualcosa di statico, che è solo se ed in quanto presente e in atto e non in quanto possibile. Diventa difficile pensare la libertà proprio nella sua dimensione storico-politica, come emancipazione.
L'impostazione pratico-postulatoria ha, di contro, la sua forza proprio nella sua debolezza: se abbiamo bisogno di pensare un agente come libero, pur senza essere in grado di vederlo come tale, per potergli indirizzare imperativi etici, giuridici e politici, questi è fin dall'inizio un soggetto soltanto possibile, e non un libero possidente recintato in una sua rigida identità descrittiva. Se la libertà è frutto di una costruzione e di una postulazione speculativa, tutti i motivi descrittivi per escludere una creatura dal novero dei soggetti virtualmente liberi animale e non uomo, intelligenza artificiale e non uomo, alieno e non uomo, donna e non uomo, straniero e non cittadino, altro e non me sono discutibili e possono valere, tutt al più, soltanto in modo incerto e provvisorio.
La prospettiva pratico-postulatoria sulla libertà e sul suo soggetto propone immediatamente il problema dello statuto politico, giuridico e morale dell'informazione. In questa prospettiva, infatti, essere libero non significa essere un certo tipo di persona, che fa alcune cose e gode di alcune proprietà; significa, piuttosto, essere virtualmente partecipe, come oggetto e come soggetto, di un discorso pratico - di un discorso sul bene e sul male - che presuppone la libertà come sua condizione di possibilità. In un mondo in cui la libertà è una proprietà assegnata, descrittivamente, ad una certa categoria di creature, la condivisione della conoscenza può ridursi a un passatempo liberale, almeno finché non si scontra con interessi ritenuti più importanti; ma in un mondo in cui la libertà - il diventare liberi - è una virtualità che si può conoscere direttamente solo nella costruzione di un discorso sul bene e sul male, lo statuto morale, giuridico, politico di questo discorso diventa una questione essenziale. Se il soggetto morale è pensato come una potenzialità indeterminata, ma il discorso ha dei padroni, questi saranno anche i suoi padroni. Serve a poco affidarsi, sociologicamente, alle virtù strutturali dell'agire comunicativo: visto che è possibile scegliere a chi dare la parola e a chi negarla, quando dire la verità e quando no, come e a chi regalare, vendere o precludere informazione, si deve ricorrere giocoforza a quella che oggi viene detta filosofia politica normativa.
Se lo statuto dell'informazione - e della conoscenza che essa presuppone - è un tema essenziale per chi crede nel primato della ragione pratica, è tuttavia vitale anche per le filosofie fondate sul primato della ragione teoretica: per quanto la razionalità si voglia profondamente identificata col reale, la ragione che rende conto della realtà deve godere della libertà dello spirito, al di là di ogni controllo individuale. Non ci possono essere padroni del discorso, perché ad essere padrone è soltanto il discorso. Ecco, per esempio, quanto scrive Hegel, a proposito della distinzione fra filosofia esoterica ed essoterica, per materia e forma, nel pensiero di Platone, contro l'opinione che il filosofo sia in possesso delle idee come di cose esteriori e possa decidere a chi trasmetterle e a chi no:
Viceversa è l'idea filosofica che possiede l'uomo. Allorché i filosofi si spiegano su oggetti filosofici, devono orientarsi secondo le loro idee e non possono mica tenersele in borsa. Se anche con qualcuno si parla in maniera esteriore, tuttavia nel discorso è sempre contenuta l'idea, per poco che la cosa di cui si tratta abbia un contenuto. Per la comunicazione come trasmissione di un oggetto esteriore non ci vuole gran che, ma per la comunicazione dell'idea ci vuole capacità. Essa rimane sempre alcunché di esoterico. 2
[1] Rimando, per una argomentazione più ampia a proposito di questo tema, al mio La giustizia degli invisibili. L'identificazione del soggetto morale a ripartire da Kant, Roma, Carocci, 1999.
[2] G.W.F. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, II, Werke in zwanzig Bänden, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, p. 21.
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