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L'invenzione della politica |
Ultimo aggiornamento 16 ottobre 2002
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La sophrosyne come virtù politica
Come ricorda Silvia Gastaldi (Sophrosyne, in Platone, La Repubblica, trad. e commento di M. Vegetti, Napoli, Bibliopolis, 1998, vol. II pp. 205-237), sophrosyne, nel mondo omerico, designa la prudenza come capacità di autocontrollo e di riflessione. La parola - come si può vedere consultando il lemma sophron nel Liddell-Scott - è composta da sos (sano) e da phren (letteralmente: diaframma). Nel linguaggio omerico il phren è connesso ora alle emozioni, ora - come nel caso della sophrosyne - alle capacità intellettuali. Apollo si dice saophron perché ha evitato di scontarsi con Poseidone, per il bene degli uomini [Il. XXI 462]; Penelope parla di sophrosyne nel senso di discernimento e sanità di mente [Od. 23.13]. Sophrosyne, dunque, è originariamente prudenza e consapevolezza dei propri limiti: in un mondo aristocratico fondato su un ideale competitivo dell'eccellenza, non può che essere una virtù marginale e subordinata.
Solo a partire dal VII secolo la sophrosyne comincia ad essere apprezzata: la transizione da una società aristocratica a una società "politica" comporta che la capacità di autolimitazione e di autocontrollo divenga una virtù civica e militare di fondamentale importanza. I sette sapienti (Biante, Chilone, Cleobulo, Pittaco, Solone, Periandro, Talete) sono autori di massime come "la misura è la cosa migliore" e "conosci te stesso" e vengono associati ad Apollo, divinità depositaria della sophrosyne. Una simile concomitanza fa capire che sarebbe riduttivo interpretare questa evoluzione "apollinea" come una prevaricazione dell'elemento intellettualistico su quello istintuale: la costruzione della polis richiedeva che l'intero spazio vitale della tradizione venisse ripensato e riorganizzato, per sostituire all'etica della competizione quella della collaborazione. |
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