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L'invenzione della politica |
Ultimo aggiornamento 7 gennaio 2003
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L'accusa
L'orazione di Lisia rispecchia la struttura delle orazioni pronunciate nel foro per promuovere una causa dinanzi a un tribunale. Si presenta pertanto con una argomentazione di esordio, un resoconto degli avvenimenti (narratio), una argomentazione della parte in causa, che comprende l'esposizione delle prove e la replica della difesa, infine una arringa conclusiva (peroratio).
La tesi centrale del discorso di accusa di Lisia è incentrata sulla confutazione della tesi dei difensori di Eratostene secondo la quale egli avrebbe agito in favore del bene della città, attraverso la ricerca di una prudente azione di mediazione che tentasse di favorire la democrazia senza cercare lo scontro diretto con la parte estrema dei trenta, per non cadere nelle persecuzioni che sarebbero state inevitabili. Lisia confuta puntualmente ognuno degli argomenti di Eratostene, e in modo particolare ricordando (nell'argomentazione extra causam) come il paragone che egli aveva posto tra la propria azione e quella di Teramene in verità non li salva, ma li condanna entrambi. Svelato l'opportunismo che ha sempre guidato la condotta di Eratostene, Lisia passa nella peroratio ad un discorso generale rivolto alla città, nella quale è possibile ritrovare la sensibilità specifica del pensiero politico della democrazia antica. Infatti, il bene pubblico della città, che dev'essere difeso dall'arbitrio del tiranno, e la sensibilià verso la comunità di destini, che lega la cittadinanza alle proprie istituzioni politiche libere sono un tratto distintivo dell'argomentazione. Un secondo punto di interesse, è quella della non distinzione tra il concetto di colpa e quello della giusta pena. Il diritto penale della città antica era legato intimamente ad una teoria retribuzionista, e le argomentazioni di Lisia, nel richiedere la pena capitale nei confronti del tiranno, sono incentrate sul concetto di vendetta. Egli chiede che la città deliberi un "risarcimento" per le sofferenze subite da lui in prima persona, per via dell'omicidio del fratello, e dai cittadini nel loro complesso, per le persecuzioni e le violenze che hanno caratterizzato il breve ma duro regime dei Trenta. L'Orazione di Lisia contro Eratostene rappresenta uno degli esempi maggiori della lotta della democrazia ateniese contro la figura politica del tiranno, considerato non solo il nemico della città, ma anche un carattere individuale che esprime i più gravi difetti dell'uomo. Contro la virtù propria del buon cittadino, l'anima tirannica rappresenta una caduta dai criteri di temperanza e di misura che distinguono l'ideale etico della polis di Atene nell'età classica. Per questa ragione Platone nella Repubblica descrive la costituzione tirannica all'insegna della decadenza e della corruzione (Resp., IX, 571ss.). Il processo tuttavia non avviene a pari condizioni per Eratòstene e per la città; costui, infatti, era a un tempo accusatore e giudice delle sue azioni (tôn ghinoménon); noi invece svolgiamo il processo per accusa e per difesa. Essi condannarono a morte uomini innocenti senza sottoporli a regolare processo; voi invece ritenete giusto giudicare a norma di legge i distruggitori della città contro i quali non potreste pretendere vendetta adeguata ai mali che fecero ad essa, neppure se voleste infliggerla contro la legge. Con qual pena, infatti, pagherebbero giusto fio delle loro azioni? Forse che, se condannaste a morte loro e i loro figli, prenderemmo vendetta proporzionata alle stragi, noi che avemmo da loro condannati a morte senza processo i padri, i figli, i fratelli? [81-83] Nico De Federicis |