Tetradrakmaton

L'invenzione della politica

Bollettino telematico di filosofia politica
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Ultimo aggiornamento 7 gennaio 2003

L'ambiguità del realismo politico

Il filosofo neokantiano Ernst Cassirer, nell'opera Il mito dello stato (1945), ha illustrato come la filosofia politica di Platone dovesse essere interpretata non solo come una lotta contro il pensiero mitico, derivato dalla tradizione letteraria e religiosa della Grecia, ma anche come una lotta conto l'atteggiamento del 'primato della potenza', nel quale poteva essere tradotto il metodo retorico proprio della scuola sofistica:

[Platone] non doveva soltanto dibattersi contro il potere della tradizione, ma anche col potere diametralmente opposto: cioè con la teoria che ripudiava i criteri convenzionali e tradizionali, e cercava di costruire il mondo politico e sociale su un fondamento del tutto nuovo. La concezione dello "stato di potenza", aveva acquistato il predominio in tutte le scuole sofistiche.
[...]
La tesi che "il potere è diritto" forniva la formula più semplice, più plausibile e più radicale. Essa tornava gradita non soltanto ai "sapienti", o sofisti, ma anche agli uomini pratici, ai capi della politica ateniese.
[...]
Ma la libidine del potere non tollera nessuna soddisfazione possibile. È nel carattere stesso e nell'essenza della volontà di potenza il fatto di essere inesauribile. Non può mai placarsi; è una sete che non può mai venire estinta. Coloro che consumano la loro vita sotto il dominio di una tale passione sono paragonabili alle Danaidi. Cercano di versare acqua in una botte che perde. L'appetito del potere è il più chiaro esempio di quel vizio fondamentale che, nel linguaggio di Platone, è descritto come pleonexia ossia "la fame di aver sempre di più". Questa ingordigia senza confine eccede ogni misura e distrugge ogni misura [...].

[E. Cassirer, Il mito dello stato, VI, trad. it. pp. 136-138].


L'errore radicale dei capi della politica ateniese era proprio quello di non riuscire menomamente a vedere questo punto. Identificavano il benessere dello stato con le sue fortune materiali. Persino le anime più grandi e più nobili, uomini come Milziade o Pericle, andavano soggette a questo errore. Non erano all'altezza del vero compito dello stato e della guida politica; non coglievano nel segno perché non riuscivano mai a "rendere migliori le anime dei cittadini" (Gorg., 503 b ss.).
[...]
La fortuna dello stato non consiste nell'accrescimento della sua potenza materiale. Il desidero di avere "sempre di più" è altrettanto disastroso nella vita di uno stato quanto nella vita di un individuo. [...] L'ingrandimento del suo territorio, la supremazia sui vicini, l'accrescimento del potere militare o economico, tutto questo non può impedire la rovina dello stato, ma anzi la affretta.
[...]
[Bandire] questo potere dissoluto dal mondo umano e politico fu uno degli intenti principali della Repubblica.

[Ibid., pp. 140-142]


L'interpretazione di Cassirer si sposa con una lunga tradizione del platonismo, la quale ha riproposto la razionalità come la via per l'identificazione della migliore costituzione (politeia), cioè delle giuste leggi (dikaia nomoi) della città. La trattazione del problema della giustizia rappresenta dunque il tentativo di fondare l'ordine politico su una razionalità che sappia evitare l'ambiguità del realismo politico.

Come aveva chiarito Tucidide riportando il discorso degli ateniesi ai melii, l'atteggiomento improntato al realismo politico si fa sostenitore di una concezione della politica come potenza, un concetto che può essere ricondotto alla forza. Come Platone fa dire a Trasimaco nel I libro della Repubblica, un tale atteggiamente sposa la definizione della giustizia come "utile del più forte" [Resp., I, 338 c], e dunque fa decadere il discorso sulla politica da una teoria razionale della giustizia ad una teoria irrazionalistica, che apre la strada al conflitto. Infatti, secondo Platone la pleonexia, che costituisce l'atteggiamento proprio della concezione del primato della potenza, rappresenta il tratto distintivo dell'anima tirannica. Il tiranno si caratterizza dunque per la tracotanza (hybris) e per il fatto di scavalcare il campo delle argomentazioni facendo ricorso alla violenza (bía).

C'è soltanto una cosa che [Platone] assolutamente respinge e condanna: l'anima tirannica e lo stato tirannico. Essi costituiscono per lui la peggiore corruzione e degenerazione.
[Il mito cit., p. 131]


Per governare altri [lo stato] deve governare se stesso. Ma questo è un fine etico che non può essere raggiunto mediante lo sfoggio di una pura forza fisica.
[Ibid., pp. 139-140]


La democrazia ateniese aveva un ambiguo atteggiamento nei confronti del realismo politico. Pericle aveva già descritto come proprio della democrazia la ricerca del consenso e l'uguaglianza di fronte alla legge, ma aveva anche sancito il primato del modello ateniese e la volontà di renderlo egemone.

Una ulteriore testimonianza sul realismo politico di Pericle è il discorso tra quest'ultimo e il proprio pupillo Alcibiade, riportato da Senofonte:

Alc.: "Dimmi, o Pericle, potresti insegnarmi che cosa è nomos? ..."

Per.: "... Tutte queste che il popolo in assemblea approva e scrive, indicando quel che bisogna e quel che non bisogna fare, sono leggi"

[...]

Alc.: "E se non è il popolo, ma, come nei regimi oligarchici, sono i pochi, raccolti, che scrivono quel che bisogna fare, che cosa è questo?"

Per.: "Tutto ciò che abbia deliberato e scritto doversi fare la parte politica che domina la città si suol chiamare legge (nomos kaleîtai)"

Alc.: "E se un tiranno domina la città, quel che egli scrive che i cittadini debbono fare, è pure legge?"

Per.: "Anche ciò che scrive il tiranno dominante si suol chiamare legge"

Alc.: "E, o Pericle, la violenza e l'anomia, che cosa è? Non è forse, quando il più forte imponga a il più debole di fare quel che a lui sembri non con la persuasione, ma con la violenza?"

Per.: "Pare di sì"

Alc.: "... nego allora che sia legge quanto il tiranno ordina e scrive, non con la parsuasione"

[...]

Per.: "Certo, o Alcibiade, anche noi alla tua età eravamo bravi in siffatte dispute; così come anche tu sembri esercitarti, anche noi ci esercitavamo e disputavamo alla maniera dei Sofisti"

Alc.: "Magari fossi stato, o Pericle, tuo compagno allorquando tu eri alla cima estrema della tua bravura".

[Xen., Mem., 1.2, 40 ss.]


Il fatto che la concezione della democrazia di Pericle possa essere ascritta all'interno della dottrina del realismo politico è attestata anche da un riferimento del grande storico tedesco Friedrich Meinecke, il quale del realismo, nella sua versione contemporanea, è stato uno dei maggiori teorici. Secondo la propria teoria, tutti gli avvenimenti storici sono governati da due grandi potenze (Mächte), tra loro antagonistiche: l'eticità (ethos) e la forza (kratos).
Dalla dialettica tra questi due elementi all'interno delle individualità storiche che le interpretano concretamente avrebbero origine tutti i fatti della storia universale.

Meinecke evoca il dialogo tra Pericle e Alcibiade a testimonianza del fatto che la concezione realista ha dominato una parte almeno del pensiero politico dell'antichità.

Contro una tale visione, la quale sottoscrive una forma di primato dell'elemento irrazionale che sancisce la necessità del conflitto, Cassirer ricordava come Platone avesse stabilito un diverso primato all'interno del mondo politico, quello dell'etica. Il concetto di giustizia si può realizzare attraverso l'educazione dei cittadini.

Nico De Federicis





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