Dalla critica al Cristianesimo al Cristianesimo
critico
L’abbandono della pretesa di pervenire ad una
definizione del sacro per via puramente dimostrativa, promuove
una concezione della sapienza cristiana come memoria,
trasmissione di una tradizione che, criticamente depurata, viene
ad assumere un valore decisivo.
Latitudinarismo (ampliamento cioè dello spazio
dell’ortodossia in ragione inversa alla riduzione
dell’ambito delle verità dogmatiche), e tolleranza
sono le salutari conseguenze della cautela critica circa i limiti
della conoscenza, della tesi circa la non dimostrabilità
delle verità di fede e dell’acquisita consapevolezza
di una loro polisemia che Grozio non esita a pensare come
costitutiva, voluta da Dio quale riflesso dell’infinita
molteplicità di sensi di quella verità
ch’egli stesso è.
“Verità” continua nondimeno a significare
anche “certezza”, ma nessuna certezza può
valere quale criterio assoluto di verità e, dunque, di
quanto in una verità può vivere di
“assoluto”, poiché ogni certezza è
possesso per sua natura relativo, che non può essere
acquisito e mantenuto come tale se non in un ambito specifico di
indagine.
Non può esservi infatti procedimento universalmente
cogente là dove naturalmente diversa si rivela la natura
delle cose e l’irriducibile distanza tra linguaggio divino
e linguaggio umano altra mediazione non consente se non quella,
in linea di principio inesauribile, che può essere offerta
dall’infinita ampiezza della naturale diversificazione
storica della fede.
Nella tipica prospettiva dell’irenismo erasmiano e
melantoniano, e all’interno di una tematica segnata dai
profondi mutamenti della Riforma, vengono pertanto introdotte le
principali questioni teologico-giuridico-politiche postesi alle
soglie dell’Assolutismo moderno.
Tale è lo sfondo onto-teologico del problema politico, che
si riflette in un’idea dello Stato come suprema
“invarianza”, unità sovranamente coesiva del
diverso, quale organismo, ovvero seconda natura che l’uomo
costruisce a somiglianza della propria. Da ciò anche la
necessità di mediare costantemente stabilità e
vitalità, compattezza e varietà. Ricorrente
è la risposta: per ciascuna cosa è bene ciò
che la assume e conserva nella varietà del tutto del quale
strutturalmente partecipa. In tal senso il sapere etico-
politico può e deve dirsi sapere religioso e più
radicalmente ancora “teologico”, in quanto nel suo
costante sforzo di unificazione “esprime”
l’originaria e divina potenza dell’esistenza, la sua
ricchezza, la sua infinità”. E tanto più la
esprime quante più vie sa indicare, quante più
connessioni è capace di mostrare. Ma teologico
nell’ottica groziana, il sapere etico-politico (sapere che
organizza e autorizza) lo è anche rispetto al fine
precipuo che assume, ovvero la salvezza dei sudditi”. Se il
pericolo di abusi da parte del potere statale non può
essere escluso, resta tuttavia a far da criterio razionale di
distinzione la misura umanistica che in Grozio si esprime
attraverso la dottrina della modica theologia.
Un insieme di vincoli teologici e razionali si pone dunque a
condizione e limite dell’Autorità Sovrana, per
garantire che il suo potere, pur universale in quanto unitario,
non si proponga come arbitrario o dispotico. Carattere costante
di questi vincoli è la riaffermazione di una duplice
dimensione dell’esperienza politica e religiosa, attraverso
le corrispondenti distinzioni di pubblico e privato, di esterno e
interno, di necessario e non necessario. Si può leggere in
questa duplicità l’intenzione umanistica di
replicare al gomarismo: all’unità intesa secondo il
modello settario, al modo cioè di una identità
esclusiva, si oppone il progetto di una unità
politico-religiosa costruita conservando, col distinguere, anche
la dimensione del differente. Così lo Stato nel De
Imperio Summarum Potestatum circa sacra – appunto
costituisce l’opera più importante della riflessione
giovanile di Grozio – può essere intesa, da questo
punto di vista, come la riposta decisiva al problema della
limitazione del tollerare. L’Autorità Sovrana
è bensì il soggetto che impone il limite; questa
sua imposizione non è tuttavia incondizionata, ma è
invece limitata da vincolo che gli sono propri e che rinviano
alla necessità di garantire con la pace anche la
diversità ordinata delle opinioni. Unità collettiva
e differenza del particolare rinviano in tal modo l’una
all’altra e determinano, con questo rinviarsi, un ambiguo
equilibrio di potere e ragione.