Ontologia e
metodo in Galileo Galilei. Proprietà sensibili e
geometriche: l’intervento della ragione nella spiegazione
scientifica.
Con il Saggiatore,pubblicato a Roma nel 1624
per iniziativa dell’Accademia dei Lincei, Galilei
interviene in una discussione che impegnava gli astronomi dal
1618, da quando cioè erano apparse in cielo tre comete. Il
gesuita Orazio Crassi (sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi)
aveva sostenuto, in polemica con Galilei e riprendendo la tesi
sull’argomento dell’astronomo danese Tycho Brahe, che
le comete sono veri e propri corpi celesti.
Polemizzando in maniera aspra con il gesuita, Galilei afferma
invece erroneamente che il fenomeno delle comete debba essere
spiegato con i riflessi della luce solare sui vapori
dell’atmosfera terrestre. L’errore sulle comete non
pregiudica tuttavia l’importanza del Saggiatore.
L’opera, dedicata al neoeletto papa Urbano VIII, è
infatti ricca di intuizioni metodologiche e filosofiche, che
anticipano le acquisizioni del Dialogo e dei
Discorsi e rappresentano una premessa ai successivi
sviluppi del pensiero moderno.
In questo senso un particolare rilievo assumono due passi del
Saggiatore. Nel primo, attraverso la celebre metafora
del “libro” dell’universo, che deve sostituire
i libri di carta sui quali si affaticano gli aristotelici, viene
rivendicata la necessità che la filosofia si accosti
direttamente alla realtà naturale e ne colga la struttura
matematica.
All’idea che per filosofare sia necessario appoggiarsi
all’opinione di qualche celebre autore, Galilei oppone il
convincimento che la conoscenza della realtà non richieda
il supporto di una sterminata erudizione, ma la
disponibilità ad accostarsi con mente libera da pregiudizi
all’immenso libro che continuamente ci sta aperto davanti
agli occhi. Più esattamente così recita tale
celebre passo: “La filosofia è scritta in questo
grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi agli
occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere
se prima non s’impara a intendere la lingua, e conoscer i
caratteri , ne’ quali è scritto. Egli è
scritto in lingua matematica , e i caratteri son triangoli,
cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è
impossibile a intenderne umanamente parola”. Cfr.Il
Saggiatore, in Opere,cit., vol. VI, p. 232.
Nel secondo passo, l’approccio matematico e quantitativo ai
fenomeni naturali trova fondamento in una riflessione sulla
natura stessa della sostanza. Galilei vi enuncia infatti la
distinzione tra proprietà oggettive della
sostanza, le quali le appartengono a prescindere
dall’attività percettiva del soggetto senziente, e
qualità sensibili o accidentali .Mentre le prime
hanno lo stesso statuto ontologico delle proprietà
geometrico-matematiche (cioè figura, grandezza,
numero, posizione nel tempo e nello
spazio) e sono da considerarsi assolute, le seconde sono
variabili e dipendono dall’incontro tra il nostro apparato
percettivo e la struttura della sostanza. Questa concezione,che
troverà sviluppo sistematico in John Locke (nella
distinzione tra qualità primarie e
secondarie), possiede un notevole rilievo in quanto
segna la fine della dottrina aristotelica degli accidenti
reali, secondo la quale anche le proprietà sensibili
sono dati oggettivi, alla stregua di enti che
appartengono alla realtà.
Nuovo significato vengono del resto ad acquistare anche le due
cause tradizionali, la efficiente e la materiale. Nella
prospettiva dell’indagine galileiana la causa efficiente
non è più ricondotta, come invece in Aristotele,
alla causa formale come a suo principio; bensì è
risolta in un rapporto universale e necessario di elementi
quantitativi. Mentre la materia, o causa materiale, diversamente
da come veniva concepita dallo stagirita, lungi dall’essere
intesa come un sostrato anomalo e accidentale, viene assunta come
la condizione prima dei rapporti meccanico-matematici; e
perciò stesso come quantità
intelligibile.
Per dar ragione e spiegare i fenomeni naturali, osservazione ed
esperienza non risultano tuttavia sufficienti. L’istanza
scientifica di una ragione che sia tale da “filtrare”
il materiale osservativo, superando l’indeterminatezza e
l’intrinseca soggettività della percezione
sensibile, ossia la .“formalizzazione”
dell’esperienza attraverso la matematica, viene in Galilei
a connettersi con la questione ontologica. In che senso
ciò ha luogo?
Nello scienziato pisano la spiegazione fisica, la quale ha come
presupposti i principi di regolarità,
uniformità e semplicità della natura
postula infatti anche un intervento costruttivo della
ragione che si esplica nella formulazione di teorie e
modelli matematici. La scienza galileianamente intesa non tende
cioè a fornire soltanto una descrizione del fatto
scientifico, o fenomeno, ma mira anche a determinare la
legge naturale, in base alla quale esso si genera e si
sviluppa, così da rendere possibile anche una
previsione quanto al suo possibile svolgimento
futuro.
Non per questo Galilei concepisce che la spiegazione scientifica
debba implicare un’affermazione definitiva circa la causa
ultima di un fenomeno come appunto voleva Aristotele. Ma
considera invece sufficiente la determinazione quanto più
possibile rigorosa del come un dato fenomeno si produca.
In tal senso nella scienza galileiana il concetto-funzione
subentra al concetto-sostanza: esso viene a definire una maniera
d’essere che è propria del fenomeno nel suo
manifestarsi in rapporto ad altro.
E ciò, sia per quanto concerne la forma
accidentale o estrinseca di esso(determinata dalle condizioni
spazio-temporali), sia per quanto attiene alla sua forma
sostanziale o intrinseca. Questa distinzione non è
tuttavia esente da problemi: come infatti poter intendere una
maniera d’essere per la quale il fenomeno giunge a
definirsi in se stesso, assumendosi come fondamento e parametro
della verità di ogni altra estrinseca manifestazione
fenomenica? Ciò è forse da intendersi come una
ipostatizzazione indebita che trasforma iniziali assunti
ipotetici in reali condizioni strutturali?
A tal proposito si è parlato di un Galilei platonico che
entificherebbe la nozione platonica
dell'eidos;, determinando
così una sorta di ricaduta della scienza moderna in un
acritico sostanzialismo metafisico; cfr. A. KOYRÈ,
Studi galileiani,Torino, Einaudi, 1979, p.290:
“Galilei nega il carattere “astratto” delle
nozioni matematiche; e nega il privilegio ontologico delle figure
regolari. Una sfera non è meno sfera perché è
reale: i suoi raggi non sono inuguali per questo; altrimenti non
sarebbe una sfera. Un piani reale - se è un piano –
è tanto piano quanto un piano geometrico: altrimenti non
sarebbe un piano[…]. La forma geometrica è omogenea
alla materia: ecco perché le leggi geometriche hanno un
valore reale, e dominano la fisica. Ecco perché in un
passo famoso del Saggiatore (in Opere, cit.,
vol. IV, p.232), Galileo dice che la natura parla con linguaggio
matematico, un linguaggio le cui lettere e le cui sillabe sono
triangoli, cerchi e rette. Perciò è in questo
linguaggio che bisogna porre le domande: la teoria matematica
precede l’esperienza.
Questa concezione implica, com’è ovvio, una visione
completamente nuova della materia: questa non sarà
più sostrato del divenire e della qualità; ma, al
contrario, sostrato dell’essere inalterabile ed eterno. Si
potrebbe dire che la materia terrestre è ormai promossa al
rango di quella celeste. Così abbiamo visto la nuova
scienza fisico-geometrica, la geometria fisica, nascere nei
cieli, per discendere alla terra e risalire ai cieli. Dunque, per
l’epoca galileiana, matematismo significa
platonismo […]. Del resto che Galileo sia un platonico,
è cosa che il Dialogo si preoccupa di rivelarci
sin dall’inizio”.
Ora se è fuor di dubbio che in contrapposizione al
concetto aristotelico di ousia,
Galilei valorizzi la più genuina concezione platonica
dell’ente che è tale solo nell’orizzonte
dell’essere, ciò tuttavia non è nel senso di
rinviare, come apparenza, ad un nucleo ontologico sostanziale che
racchiuda in sé e fondi la verità
dell’essere. Ma pur recuperando, sulla scorta di Platone,
una scienza della natura costruita col linguaggio delle
relazioni, delle proporzioni, dei numeri, delle figure, nondimeno
il concetto geometrico-matematico di fenomeno presente
in Galilei, non ha nulla in realtà a che vedere con
l’entificazione del medesimo.
Pertanto nel far proprio l’asserto dell’idealismo
platonico che tematizza l’essere come maniera
d’essere, come relazione, proporzione, Galilei non giunge a
ipostatizzarlo, ma intende rilevarne, in termini scientificamente
rigorosi, le condizioni per cui esso risulta compatibile con le
possibilità d’esperienza: solo entro tali limiti i
fenomeni risultano infatti matematizzabili, secondo
regole (ossia caratteristiche funzionali) costanti.
In Galilei l’essenza del fenomeno non rinvia dunque oltre
di esso, ma cade nei limiti del fenomeno e consiste in regole di
correlazione e determinazione geometrica e quantitativa,
funzionali alla descrizione del fenomeno stesso. In tale
prospettiva metodologica, la distinzione tra proprietà
sensibili o accidentali e proprietà geometriche o
sostanziali non assume perciò valore dicotomico, ma rinvia
ad un’unica e medesima ratio essendi del fenomeno,
che non viene pensata oltre di esso. Essa risponde piuttosto a
istanze prettamente scientifiche che trovano in re un
fondamento razionale da cui derivano la loro stessa specifica e
particolare ragionevolezza così come la loro coerenza.
Così osserva al riguardo BARALE, in Immagini della
ragione, cit., p.50: “Nel caso di Galilei,
[…]la teoria dell’essere non risponde ad una
vocazione metafisica estranea alle ragioni della scienza, ma a
istanze che nascono nell’ambito stesso di un programma
scientifico: istanze di coerenza e fondatezza. Istanze di
ragionevolezza e di razionalità.
Poiché è difficile ritenersi ragionevoli senza
porsi il problema di un fondamento in re della propria
ragionevolezza: il problema della ratio, di ciò
che una determinata ratio ci fa apparire come
ragionevole. Proprio Galilei insegna che il problema di un
fondamento in re non è necessariamente il
problema di ciò che è oltre il fenomeno, di un
essere da ricercare e riconoscere oltre ciò che appare. Il
suo programma scientifico insegna che il problema
dell’essere che l’ente è, il problema di una
conformità dell’ente (il fenomeno) al
proprio essere, si può porre anche nell’orizzonte
dell’ente, del fenomeno, senza uscirne. La questione
ontologica, di qua dalle opposizioni metafisiche che generalmente
induce, ha una sua specifica dimensione epistemologica. Risponde
innanzitutto ad una domanda di razionalità che la
ratio della scienza classica non ha voluto
eludere"