Tetradrakmaton

Il Simposio di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Elogio di Socrate (215a-222b)

Un tesoro nascosto (215a-216c)

Alcibiade loda Socrate per immagini, paragonandolo a una di quelle statuette di Sileno (215a), che, sgraziate all'esterno, contengono al loro interno simulacri di dei. 40 Lo paragona, inoltre, al satiro flautista Marsia, come lui hybristes - aveva rivaleggiato con Apollo nella musica - e incantatore (215b-c). A differenza di Marsia, Socrate non ha bisogno di strumenti: gli bastano i «nudi discorsi» - non si vale, cioè, della poesia e della sua manipolazione emotiva - per produrre lo stesso effetto (215c).

Ascoltando Pericle o qualche altro bravo retore, Alcibiade ne ammira l'eloquenza; ascoltando Socrate, si sente l'anima in tumulto e si irrita perché si rende conto di trovarsi in una condizione simile a quella di uno schiavo (215e) e viene indotto a pensare che non valga la pena vivere così, trascurando se stesso per occuparsi degli affari degli Ateniesi. Cerca dunque di evitarlo, come ci si sottrae al canto delle Sirene, anche perché - cosa straordinaria per una persona già nota per la sua spregiudicatezza - egli, davanti a Socrate, prova vergogna (216b).

Il contrasto fra l'eros ordinario e quello filosofico, fra l'aspirazione per il potere e la ricerca del sapere, che rimaneva irrisolto nel Gorgia e sembrava superato nella retorica filosofica di Diotima, si ripresenta in tutta la sua virulenza nel racconto di Alcibiade. Alcibiade sa che la vita del politico è una vita da schiavo, al servizio di chi gli offre il potere che persegue. Se ne vergogna, perché i discorsi di Socrate gli mostrano che si potrebbe essere più liberi - ma non è in grado di risolvere il conflitto, se non tentando di ricorrere al suo fascino per sottomettere il filosofo.

Scambiare bronzo con oro (216c-219e)

All'esterno, come un sileno, Socrate sembra eroticamente inclinato verso chi è bello, e ne appare rapito, ignora tutto e non sa nulla; ma, se lo si apre, ci si accorge che è pieno di sophrosyne (216d). Non gli importa dell'aspetto, né della ricchezza, né degli onori che rappresentano la felicità per la moltitudine, né di quanti gli stanno intorno, che fa oggetto di ironie 41 e scherzi. Alcibiade, però, aveva visto che dietro la sua dissimulazione c'era qualcosa di divino (216e). Convinto che Socrate lo corteggiasse per la sua bellezza, volle approfittarne per mettere le mani su tutto quello che sapeva (217a).

Cominciò dunque a rimanere solo con lui, sperando che si proponesse, lo invitò a fare ginnastica insieme, e poi anche a cena, senza riuscire a ottenere nessuna soddisfazione (217b-c). Alla fine, dopo una cena a casa sua, protrasse la conversazione in modo da trattenerlo per la notte, e, quando si furono accese le lucerne e gli schiavi si furono ritirati, si dichiarò (218b-c), dicendogli che era il suo unico erastes di valore e che, poiché il suo scopo era migliorare se stesso, sarebbe stato poco intelligente - e anzi vergognoso di fronte alle persone assennate, a dispetto dell'opposto parere della moltitudine - non compiacerlo in tutto (218c). Socrate gli rispose con la sua consueta ironia:

Caro Alcibiade, forse non sei uno sciocco, se quanto dici di me è effettivamente vero e in me c'è una qualche potenza in grado di farti diventare migliore: in me devi vedere una bellezza irresistibile, di gran lunga superiore alla tua grazia. E se tu, considerandola, metti mano a far comunità con me e scambiare bellezza contro bellezza, intendi approfittare (pleonektein) non poco di me, cercando di acquistare bellezza vera in cambio di bellezza opinabile e di scambiare il bronzo con l'oro. Ma guarda meglio, benedetto amico: ti potrebbe sfuggire che io non sono nessuno. E' vero che la vista dell'intelligenza comincia a diventare acuta quando quella del corpo inizia a declinare: ma tu sei ancora lontano da quel momento (218d-219a).

Alcibiade ribadì la sua offerta. Socrate replicò che l'avrebbe considerata con attenzione (219b), differendo la risposta a un futuro indeterminato.

L'immagine dello scambio del bronzo con l'oro viene da un episodio dell'Iliade (6.220-295): Glauco e Diomede, che combattono in campi avversi, dopo aver scoperto che le loro famiglie sono legate da un vincolo ospitale, si astengono dallo scontrarsi e si scambiano - non avendo altri doni a portata di mano - le armi. Omero non manca di osservare che la transazione di Glauco - regalare a Diomede armi d'oro per riceverne di bronzo - è piuttosto svantaggiosa. Nella metafora di Socrate, le grazie corporee fanno la parte delle armi di bronzo, il sapere quella delle armi d'oro: lo scambio è impari perché le prime - particolari, contingenti, effimere, soggettive - stanno molto più in basso della ricerca della sapienza, nella progressione esposta dal discorso di Diotima.

Il sapere, inoltre, non è una proprietà delle persone, su cui sia possibile mettere le mani in cambio di un compenso adeguato. Quando Socrate dice di non essere nessuno, non sta esibendo una modestia ironica: il suo sapere non può essere oggetto di scambio perché non è un possesso personale, bensì un processo di cui è parte il trascendimento delle individualità, nella forma della confutazione. La filosofia non può essere oggetto di commercio senza tradire se stessa.

Alcibiade, che non aveva capito di essere stato respinto, avvolse Socrate col suo mantello e si sdraiò vicino a lui. Rimase così tutta la notte, senza ottenere niente. Solo allora si rese conto di essere stato disdegnato (219b-c). Si sentì disonorato, ma non poté fare a meno di ammirare Socrate per la sua sophrosyne e il suo coraggio, e di continuare a frequentarlo (219d).

Ci sono cose che non si possono né possedere, né comprare, né trasmettere per contatto: il distacco di Socrate misura la distanza fra l'eros ordinario e quello filosofico, rivelando il segreto della retorica di Diotima. Questa rivelazione - come risulta chiaro nel Fedro - marca la differenza fra la retorica ordinaria e quella filosofica.

Alcibiade racconta il suo fallito tentativo di seduzione a danno di Socrate con espressioni prese dal linguaggio forense, rivolgendosi a immaginari giudici. Fra i capi d'accusa presentati contro Socrate al suo processo, davanti a giudici non più immaginari, c'era anche la corruzione dei giovani. Il racconto di Alcibiade rivela in qual modo li corrompesse: non praticando la pederastia, con il suo scambio pedagogico, come rappresentata nel discorso di Pausania, bensì eludendola.

L' atopia di Socrate (219e-222b)

Alcibiade ebbe modo di capire di che tempra fosse Socrate anche dalla campagna di Potidea - tutti i cittadini ateniesi erano tenuti a prestare il servizio militare - dove diede prova di eccezionale resistenza in tutto (219e-220b); come gli era consueto, un giorno si astrasse per rimanere immobile a pensare, da alba a alba, fra la meraviglia dei presenti (220c). Durante un combattimento, Socrate salvò la vita e l'onore di Alcibiade, ferito, e insistette perché il riconoscimento per il suo valore andasse a lui (220e). E si comportò coraggiosamente anche in occasione della sconfitta di Delio, quando gli Ateniesi dovettero ritirarsi inseguiti dai Tebani (221a).

A causa della sua atopia Socrate non può essere paragonato a nulla di umano, se non ai sileni e ai satiri, per il suo modo di essere e per i suoi discorsi (221d). L'aggettivo atopos - fuori luogo, sia nel senso, positivo, di straordinario o originale, sia in quello, negativo, di strano, assurdo, innaturale - era già stato usato da Polo nel Gorgia per qualificare le tesi di Socrate. Socrate è "strano" perché ragiona da sé e non si fa manipolare tramite i piaceri e i dolori che indirizzano le persone ordinarie. Socrate è originale perché è un uomo libero.

Anche i suoi discorsi somigliano a sileni: a prima vista sembrano ridicoli e degni di un satiro insolente (hybristes). Parla apparentemente di quisquilie, come asini, fabbri, calzolai e conciatori: ma se i suoi ragionamenti vengono aperti, ci si accorge che sono gli unici dotati di intelletto, e in più divini, pieni di immagini di virtù e di argomento così nobile, da renderli appropriati per chiunque voglia diventare una persona perbene (kalos kagathos) (222a).

Nel Gorgia, Callicle critica la vita filosofica perché incapace di formare kaloi kagathoi o gentiluomini, cioè, dal suo punto di vista, cittadini in grado di affermare se stessi nel perseguimento del potere. Alcibiade, politico altrettanto spregiudicato, ma sensibile al fascino di un ideale filosofico per lui irraggiungibile, afferma esattamente l'opposto. Così si conclude il suo elogio - l'elogio di una persona che l'ha umiliato e che sistematicamente inganna quelli che frequenta, fingendosi loro erastes per trasformarsi nel loro - elusivo, inafferrabile - eromenos (222b).

Un termine di confronto



[ 40 ] Mentre per Aristofane l'eros è ricerca di se stessi negli altri, Alcibiade cerca negli altri la divinità, cioè un sapere che trascende la contingenza umana. Anche nel Fedro il "conosci te stesso" è indirizzato a scoprire in se stessi non la propria individualità, cioè quanto ci distingue dagli altri, ma che cosa siamo - se creature mostruosa o divine - in relazione all'ordine del mondo.

[ 41 ] Anche in bocca ad Alcibiade eironeoumenos è ancora connesso al significato - presocratico - di ironia come dissimulazione volta a ingannare.

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