Tetradrakmaton

Il Simposio di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Il discorso di Diotima (201d-212c)

Una volta confutato Agatone, Socrate aggiunge un'ulteriore cornice narrativa, riferendo un discorso non suo ma di una donna di Mantinea 26 di nome Diotima (201d).

Le donne erano state fatte uscire dalla stanza all'inizio della discussione: Socrate, trasgressivamente, si fa narratore del discorso di una donna, sapiente su Eros e su molto altro (201d). 27 La filosofia non è una conversazione esclusiva, 28 né - com'era stato appena spiegato ad Agatone - una creazione individuale. Socrate può e deve essere confutato: non la verità che trascende lui e tutti noi.

Diotima confuta Socrate (201e-202d)

A partire dalla confutazione di Agatone, o, come dice dialetticamente Socrate, da ciò su cui lui e Agatone si sono trovati d'accordo, si tratta di esaminare che cosa sia Eros, quali siano le sue qualità e quale sia la sua funzione o ergon. Il modo più semplice di farlo è riferire il dialogo di Socrate con la forestiera (xene), che replica la confutazione di Agatone, ma con Socrate nella parte del confutato. Se si riconosce che Eros non è né bello né buono, bisogna ammettere che è brutto e cattivo (201e)?Il quadrato di Aristotele

Diotima fa notare a Socrate che essere non-bello non significa necessariamente essere brutto. In termini logici, fra "bello" e "brutto" c'è una relazione di contrarietà e non di contraddittorietà. Mentre non si può essere contemporaneamente belli e non belli senza violare il principio di non contraddizione è invece possibile essere allo stesso tempo non-belli e non-brutti. Fra l'estremo del bello e quello del brutto c'è una gradazione: possiamo dunque dire che chi è brutto non è bello e chi è bello non è brutto, ma l'essere non-bello di un termine non implica affatto che esso sia brutto: potrebbe infatti trovarsi, nella scala della piacevolezza estetica, a un grado intermedio, diverso da quello, estremo, della bruttezza.

Similmente, prosegue Diotima, chi non è sapiente non è necessariamente ignorante. C'è, infatti, un grado intermedio fra sapienza e ignoranza: l'opinione corretta. L'opinione corretta non è scienza, perché chi la professa non è in grado di darne ragione, ma neppure ignoranza perché s'imbatte in ciò che è: 29 è, dunque, una via di mezzo (202a).

Eros, analogamente, non è né bello né brutto, né buono né cattivo, ma una via di mezzo. "Eppure" - obietta Socrate, cadendo nella fallacia dell'argumentum ad populum - "tutti dicono che sia un gran dio".

"Tutti chi?" -chiede Diotima, riecheggiando una distinzione già fatta da Socrate con Agatone e presente anche nel Critone - "quelli che non sanno o quelli che sanno?" "Proprio tutti" - risponde Socrate (202b). Ma - gli spiega Diotima - se si ammette che gli dei sono felici e belli e che la felicità consiste nel possedere cose belle e buone (202c), allora Eros non può essere un dio, perché, desiderandole, manca di bellezza e bontà e - a differenza degli dei - non è né bello né felice (202d).

Il mito di Eros (202e-204b)

Eros non è un dio né un mortale. E' qualcosa di intermedio: un grande daimon (202e). I demoni interpretano e trasmettono agli dei quanto viene dagli esseri umani, e agli esseri umani quanto viene dagli dei - sacrifici e appelli in un senso, e ordini e ricompense nell'altro - completandoli reciprocamente, in modo che il tutto sia interconnesso. Presiedono alla divinazione e all'arte sacerdotale (202e) dei sacrifici, dei rituali e degli incantesimi. La divinità non si mescola con l'uomo: ogni mediazione avviene tramite i demoni. Chi ne ha competenza è un uomo demonico; chi è esperto solo di technai e di artigianato è un mero meccanico ( banausos) (203a).

I demoni sono entità divine di rango inferiore che presiedono ai destini individuali: in questa funzione compaiono, alla conclusione della Repubblica, nel mito di Er e nell'Apologia, quando Socrate parla di un «qualcosa di divino e demonico» che interviene a trattenerlo se è sul punto di fare qualcosa di sbagliato. Noi, per descrivere una simile esperienza, useremmo la metafora della voce della coscienza: i testi platonici ricorrono, retoricamente, al patrimonio mitico della religione tradizionale per comunicare, entro le vecchie forme, una nuova visione del mondo.

Diotima racconta che, alla nascita di Afrodite, gli dei fecero una festa. Tra gli invitati c'era Poros, l'espediente, figlio di Metis, la saggezza. Penia, la povertà, che chiedeva l'elemosina al banchetto, approfittò - a causa della sua propria aporia (203b) - dello stato di ebrezza di Poros per concepire un figlio con lui. Il termine aporia designa tanto la difficoltà, materiale, di chi è indigente, quanto l'imbarazzo, spirituale, di chi dubita. Nel Menone, il dubbio prodotto dall'aporia è una fase essenziale del processo dell'apprendimento.

Fu così che venne concepito Eros, compagno e ministro di Afrodite in virtù della sua origine, erastes del bello a causa della sua nascita (203c). Non è però né ricco né bello, ma, grazie alla madre, è duro, scalzo e senza casa, e convive con l'indigenza. Grazie al padre, persegue il bello e il buono, è coraggioso e ingegnoso, filosofo - perché cerca la sapienza - e cacciatore, mago, incantatore e sophistes, esperto di ogni genere di trucchi (203d). Non è né mortale né immortale, perché vive e muore a intermittenza. Si trova anche in una condizione intermedia tra sapienza e ignoranza: proprio in questo senso è filosofo. Gli dei non lo sono, perché, essendo già sapienti, non possono cercare il sapere (203e); né lo è chi è completamente ignorante. L'ignoranza è soddisfatta di sé: solo chi è indigente si sente bisognoso (204a).

Il mito di Eros ripropone il paradosso di Menone - chi sa non cerca, e chi non sa non può cercare quanto ignora - e ripropone anche la sua soluzione: chi cerca, chi fa, genericamente, filosofia, si trova in una posizione intermedia fra sapienza e ignoranza, per il solo fatto di appartenere a una cultura. I collegamenti al corpus platonico aiutano a capire che Socrate sta accompagnando i suoi interlocutori dalla retorica alla filosofia, anche tramite versioni mitiche di temi discussi altrove.

"Chi sono dunque" - chiede Socrate - "quelli che amano la sapienza (oi philosophountes). se non sono né sapienti né ignoranti?" (204a)

"Sono" - risponde Diotima - "quelli che si trovano a metà strada fa le due: e fra di loro c'è anche Eros". La sapienza, infatti, è fra le cose più belle: Eros, quindi, amando il bello, è necessariamente amico della sapienza (philosophos). Ne è causa la sua origine: suo padre è sapiente ed euporos (ricco di risorse, ingegnoso), sua madre non sapiente e aporos (204b) - cioè in una condizione di aporia. 30 L'opinione comune - aggiunge Diotima, rovesciando un potente pregiudizio culturale - vede l'eros come bello perché gli attribuisce, al modo di Fedro, le qualità del lato passivo dell'amore, l'eromenos, che è dotato effettivamente di tutte le perfezioni. L' eros, però, non è proprio dell'eromenos, bensì dell'erastes, che vive l'aspetto attivo dell'amore (204c).

La definizione di Eros (204c-209e)

1. Dallo specifico al generico

"Se Eros è così" - chiede Socrate, proponendo uno dei temi del Fedro - "di che uso è per gli esseri umani?" (204c). Diotima differisce la risposta, per chiarire, preliminarmente la definizione di eros: abbiamo già visto che l'eros è desiderio del bello con lo scopo di possederlo. Ma che cosa avrà chi ottiene questo possesso? Socrate lo non sa (204d). Per rendere la risposta più facile, Diotima trasforma il bello nel bene, 31 che è da noi perseguito per essere felici (204e). La felicità, a sua volta, non è desiderata per qualcos'altro: è dunque lo scopo finale (telos), comune a tutti (205a).

Ma se tutti hanno il medesimo scopo, perché alcuni amano e altri no? Perché, spiega Diotima, si designa come eros solo una certa forma di amore e gli si dà impropriamente il nome di una totalità più ampia (205b) - o, in termini più tassonomici, si assegna il suo nome a una sola specie del genere eros. Ci si comporta analogamente anche con la poiesis (produzione) che fa venire all'essere qualcosa che non c'era. E' produzione ogni attività compiuta tramite technai: tutti gli artigiani, a rigore, meritano di essere detti poietai (poeti). 32 Comunemente, però, si chiama poesia solo una piccola parte di queste attività, quella concernente la mousiké e il metro (205c). Anche l'eros, in senso generico, è qualcosa di più dell'amore nell'accezione ordinaria: è il desiderio del bene e della felicità, variamente perseguito con la finanza, la ginnastica o la filosofia (205d). 33

In questo senso, dire che l'amore è ricerca della propria metà è definirlo in modo accidentale (205e): la metà o l'intero vengono perseguiti se sono bene: se crediamo che non siano più buoni, ci lasciamo amputare anche mani e piedi. Eros, in generale, è il desiderio che il bene sia con noi per sempre (205e-206a).

Lo spostamento della discussione sull'eros dallo specifico al generico è parte di una strategia di approssimazione alla filosofia: per il suo successo diventa necessario contrapporsi ad Aristofane, che aveva offerto - da buon poeta - una rappresentazione dell'amore vivida, ma incatenata alla sua istanza sensibile.

2. Il lato femminile dell'eros: il desiderio d'immortalità

Diotima integra la sua definizione con qualcosa che Socrate non capisce: l'amore è il desiderio di procreare - o, meglio, di partorire 34 - nel bello secondo il corpo e secondo l'anima (206b). Tutti gli esseri umani concepiscono, nel corpo o nell'anima. Il concepimento ha luogo nella bellezza e non nella bruttezza (206c): è generazione e procreazione nel bello (206e), alla ricerca dell'immortalità (207a)

Perché gli esseri umani - e anche quelli non umani - sono così disposti verso l'eros (207c)? Perché, spiega Diotima, i mortali possono partecipare dell'immortalità solo essendo continuamente in divenire e lasciando dietro di sé qualcosa di nuovo a sostituirli (207d). Ciò vale non solo per il corpo (207e), ma anche per la conoscenza (208a), continuamente minacciata dalla dimenticanza (lethe): mentre gli dei rimangono sempre gli stessi, i mortali devono rinnovarsi continuamente - per non perire, per non dimenticare.

Questa descrizione potrebbe essere appropriata anche per la poesia, con la sua ripetitività mnemotecnica, o per una vita puramente appetitiva, come quella esaltata da Callicle e criticata da Socrate nel Gorgia. Gli stessi esempi di Diotima sembrano andare in questa direzione. Concernono, infatti:

  • l'ambizione o philotimia (208c), che fa compiere le azioni più irragionevoli per conquistare una gloria immortale, come mostrano le vicende di Alcesti e Achille, o dell'ultimo re di Atene, Codro (208d);

  • la generazione di figli (208e);

  • il concepimento dell'anima, che produce prudenza e ogni altra virtù.

La fecondità spirituale è propria dei poeti e degli artigiani inventivi. I suoi frutti più nobili sono la giustizia e la sophrosyne per l'ordinamento delle case e delle città (209a). Così s'instaurano relazioni interpersonali con una comunanza molto più forte di quella dei figli, perché hanno esiti più belli e immortali (209b-c) - come sono illustrati nelle opere di Omero ed Esiodo e nelle leggi di Licurgo e Solone (209d).

Nel Gorgia non c'è continuità fra le ambizioni dell'uomo comune, che trovano la loro esasperazione nell'eros dell'anima tirannica, e la vita filosofica. Socrate, pur essendo riuscito a confutare il proprio interlocutore teoreticamente, non lo convince retoricamente, cioè sul piano delle fede. Come mostra l'esito del suo processo, avere ragione non significa, di per sé, essere politicamente ed esistenzialmente persuasivo. La strategia di Diotima è diversa dalla sua, perché tenta di superare - psicagogicamente - l'opposizione fra l'eros comune e quello filosofico. Non a caso, il Simposio presenta Socrate come bisognoso d'istruzione.

Diotima dice a Socrate che fino al punto in cui sono arrivati avrebbe anche potuto iniziarsi da solo (209e). Non è però certa che sarebbe capace di farlo in merito a ciò che si appresta a introdurre (210a): sta al lettore capire se alluda a un difetto teorico, a uno politico, o anche al carattere sovraindividuale e comunitario della filosofia. 35

L' eros filosofico (210a-212c)

Gradi dell'erosDiotima presenta a Socrate un processo di emancipazione dal particolare verso l'universale, i cui gradi sono i seguenti: 36

  1. amare un bel corpo, che ispiri a produrre bei ragionamenti (210a);

  2. capire che la bellezza di un singolo corpo è sorella di quella di qualsiasi altro e che, se bisogna perseguire il bello nell'eidos, sarebbe mancanza d'intelletto non ritenere unica e identica la bellezza in tutti i corpi: occorre dunque diventare erastes di ogni bel corpo e svalutare l'amore per un corpo solo (210b);

  3. passare dall'apprezzamento della bellezza del corpo a quella dell'anima, rendendosi conto che l'aspetto fisico è ben poco rilevante (210b-c);

  4. nel creare e cercare i ragionamenti che migliorano i giovani, scoprire la bellezza delle istituzioni e delle norme (nomoi) e constatare che è dovunque affine a se stessa (210c);

  5. passare alle scienze, liberandosi dalla schiavitù di un singolo ragazzo, un singolo essere umano o una singola istituzione, per rivolgersi al gran mare del bello e, contemplandolo, generare molti bei ragionamenti e pensieri in un copioso amore di sapienza (philosophia) (210c-d);

  6. comprendere quell'unica scienza che ha per oggetto tale bello (210d).

La contemplazione della filosofia - nella forma, specificamente platonica, della dialettica - è il culmine di una progressione che sfrutta, retoricamente, quanto eros, attrazione per la bellezza e filosofia hanno in comune: la capacità di essere apprezzati in modo disinteressato. Quando ci innamoriamo e quando diamo un giudizio estetico mettiamo fra parentesi ogni considerazione di utilità: anche nella prospettiva della persona ordinaria, chi si innamora per un calcolo economico non è propriamente innamorato e un giudizio sulla funzionalità di un oggetto non dice nulla sulla sua bellezza. Il conflitto di Apollodoro può essere superato, almeno in un mondo capace di concepire e di rispettare ideali aristocratici nelle relazioni personali, nella politica e nella ricerca.

Chi sia stato educato fin qui in quanto concerne l'eros, contemplando ordinatamente e correttamente ciò che è bello, giunto ormai al suo compimento (telos), avrà all'improvviso davanti agli occhi qualcosa di meraviglioso, bello nella sua natura: proprio per questo, Socrate, sono stati sofferti tutti i precedenti travagli: qualcosa che in primo luogo è per sempre, e non nasce né muore, e non cresce né diminuisce; e inoltre, non (211a) è bello per un verso e per un verso brutto, né ora sì e ora no, né bello rispetto a una cosa e brutto rispetto a un'altra, né qui bello e là brutto, così da essere bello per alcuni e brutto per altri. Né, ancora, questo bello gli si presenterà come un viso, o delle mani o altro di cui il corpo partecipi, né come un discorso o una qualche scienza, né come qualcosa che sia in qualcos'altro, per esempio in un animale o in terra o in cielo o altrove; bensì esso stesso in sé e per sé, per sempre uniforme (monoeides) (211b): e tutte le altre cose belle ne partecipano in modo tale, che mentre queste divengono e muoiono, esso non cresca né diminuisca, né subisca affezioni. Quando uno, dunque, praticando correttamente la pederastia, 37 sollevandosi da questi particolari cominci a vedere questo bello, allora ha quasi toccato la mèta (telos). Questo, infatti, è il percorso corretto. da sé o guidati di altri, su quanto concerne l'eros (211c): cominciando dalle cose belle di qui, salire sempre più, quasi usandole come gradini, in vista del bello supremo, da una a due e da due a tutti i bei corpi, e dai bei corpi alle belle istituzioni, e dalle belle istituzioni alle belle nozioni (mathemata), finché dalle nozioni si trovi compimento in quella nozione, che non è nozione d'altro se non del bello stesso, e così, in conclusione, si conosca ciò che è il bello in sé (210e-211c).

La progressione di Diotima è un'ascensione dal sensibile all'intelligibile, dall'esperienza al concetto, dal particolare all'universale, dal contingente al necessario, dal divenire all'essere, dal temporale all'eterno, alla ricerca dei paradigmi razionali della realtà. Questo processo è illustrato da un mito che racconta della nostra condizione -storica - d'indigenza perché nessuno degli strumenti del nostro conoscere è di per sé in grado di farci possedere verità/realtà eterne. Possiamo sentirne la mancanza e perseguirle: dobbiamo, dunque, ritenerle possibili, perché altrimenti nessuna indagine avrebbe senso. Ma la conclusione del processo dialettico è rappresentabile solo in un mito: per questo Socrate, l'uomo del dialegesthai, la fa raccontare da un'altra persona.

Pensi forse che sarebbe di poco valore la vita di un essere umano che mirasse a ciò, contemplando quel bello coll'occhio col quale va contemplato, 38 e vivendoci in comunione? Non consideri - disse - che unicamente così, contemplando il bello attraverso ciò che lo rende visibile, gli avverrà di generare non immagini (eidola) di virtù, perché non afferra un'apparenza, ma virtù vera, in quanto afferra il vero? E che, avendo procreato e allevato virtù vera, gli sarà possibile diventare caro agli dei, e anch'egli immortale, se mai altro uomo? (212a)

L'immortalità di Diotima è quella delle idee, che trascendono l'individualità: ma questa promessa suonava attraente in un mondo ossessionato dalla caducità della vita e del ricordo e dall'aspirazione a rendersi memorabili (212c). 39 Socrate conclude il suo discorso dicendo di essere stato persuaso dalla forestiera di Mantinea: in un ambiente competitivo saper imparare dagli altri è un gesto d'amore e di filosofia - che si rinnova continuamente nei dialoghi di Platone.

Letture consigliate



[ 26 ] "Mantinea" è in assonanza con il verbo manteuomai - divinare o presagire - già usato da Aristofane per illustrare il nostro grado di consapevolezza dell'oggetto del desiderio amoroso. Il nome "Diotima" suggerisce il favore della divinità.

[ 27 ] Socrate dice che per i sacrifici da lei consigliati lo scoppio della peste del 430-29 a.C., descritta da Tucidide, fu posposto di dieci anni.

[ 28 ] Nel Menone Socrate dialoga con uno schiavo per dimostrare la teoria dell'anamnesis.

[ 30 ] Questa affermazione chiarisce in che senso Socrate aveva precedentemente affermato di non sapere nulla se non di erotika.

[ 31 ] In una morale della vergogna i due termini sono, effettivamente, intercambiabili.

[ 32 ] La tesi della continuità cognitiva fra teoria, tecnica e arte è sviluppata nella Repubblica e sta a fondamento della sua critica alla poesia.

[ 33 ] Un'analoga synagogé della specie al genere è usata nel Fedro per spiegare come sia possibile dire dell'eros cose tanto diverse.

[ 34 ] Il primo significato di tokos - progenie - è letteralmente "parto".

[ 35 ] Chi è convinto che i testi di Platone abbiano solo una funzione divulgativa e la sua filosofia sia non scritta ed esoterica si vale del sostegno di brani come questi, interpretati in modo letterale.

[ 36 ] Questa operazione è possibile perché l'eros è stato definito come un termine di relazione: è dunque anche possibile distinguere e classificare le sue specie in base ai loro oggetti. L'aspirazione progressiva al bene è molto diversa dal sogno regressivo di ritornare a una integrità originaria.

[ 37 ] Praticarla correttamente significa superarla - superare cioè la relazione particolare fra persone particolari, trascendendo i limiti del discorso di Pausania.

[ 38 ] Cioè con quello dell'intelletto.

[ 39 ] All'inizio del dialogo, Socrate le aveva chiesto quale fosse l'uso dell'eros per gli esseri umani. Diotima aveva promesso di rispondergli in seguito. Se, però, per "uso" (chreia) s'intende l'utilità che deriva dalla soddisfazione di uno stato di bisogno, Diotima non gli ha offerto propriamente una risposta: si è limitata a superare la domanda.

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