Tetradrakmaton

La Repubblica di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Dalla città all'anima

Nel secondo libro, Socrate aveva suggerito, raffigurando la dikaiosyne come un testo, che la questione della giustizia ha, oltre la politica, anche una dimensione etica: la giustizia della polis e quella del singolo uomo significano la stessa cosa, come un medesimo testo scritto in grande e in piccolo. Per provare la solidità di questa affermazione, occorre controllare se il modello della giustizia della polis possa essere applicato a ciascun singolo in modo tale che sia riconoscibile la giustizia anche in questo caso (434c). E occorre, in secondo luogo, considerare se i momenti di tensione politica che abbiamo individuato si manifestano nell’anima in maniera parallela, oppure se sono assenti. Questo elemento è essenziale per comprendere il rango e il senso della politica nella ragion pratica platonica.

Una cosa uguale a un’altra in un certo aspetto, sarà uguale al suo termine di paragone proprio per questo aspetto. Quindi, se la giustizia nell’uomo e nella polis significano la stessa cosa, un uomo giusto non differirà da una polis giusta, per quanto riguarda la giustizia (435b). La polis è stata definita come giusta quando, in essa, le tre categorie di cittadini svolgono ciascuna il proprio compito; in questo modo, sapienza, coraggio e sophrosyne si riverberano sull’intero. In una singola persona giusta deve avvenire qualcosa di simile.

Non siamo necessariamente costretti ad ammettere che in ognuno di noi ci sono quelle medesime forme e caratteri morali (eide te kai ethe) che esistono nella polis? Infatti, esse vi sono entrate non altro che da qui (435e).

Socrate e Glaucone hanno preso le mosse dalla città, allo scopo di chiarire il significato della giustizia. Ma le qualità della città dipendono da quelle dei singoli e dal senso che la giustizia ha in loro e per loro.

La giustizia è una virtù di relazione: perché ci possa essere giustizia anche entro il singolo uomo, questi non deve essere considerato come un “in-dividuo” o un atomo, ma deve essere costruito come una creatura divisibile, molteplice e potenzialmente conflittuale, capace di porsi variamente in relazione con se stessa. La tripartizione politico-sociale della città deve rispecchiarsi in una tripartizione dell’anima umana, che sarà vista come composta di un elemento con il quale apprendiamo, un elemento con il quale proviamo emozioni che ci spingono ad agire, e un elemento con il quale proviamo appetiti (435c ss.).

Due puntualizzazioni logiche

1. Che cosa ci autorizza a trattare come tripartito un elemento – l’anima – che siamo abituati a vedere come unitario? In generale – risponde Platone – è possibile descrivere un elemento assunto come unitario come se fosse molteplice e plurivoco, senza cadere in contraddizione, se ricorriamo all’espediente di considerarlo come suddiviso in parti distinte. Per esempio, si può dire, senza contraddizione, che una trottola che gira sia, nello stesso tempo, immobile ed in movimento, se si distingue il suo asse dalla sua circonferenza (436d-437a).

2. L’esigenza del parallelismo nella descrizione della società e del singolo conduce, inoltre, a separare il desiderio dai suoi oggetti, intesi nella pienezza e nella concretezza delle loro qualificazioni e determinazioni. Quando si definiscono termini in base ad una relazione con un oggetto, la definizione può colpire un bersaglio determinato solo se questo oggetto è una e una sola cosa, definita rigorosamente, e sono messe fra parentesi le caratteristiche accessorie o accidentali delle cose concrete con le quali, di volta in volta, la relazione è messa in atto. Per esempio, la sete è un desiderio che si definisce in relazione al bere. Se considerassimo elementi come la qualità o la quantità delle bevande (buone o cattive, calde o fredde), la nostra definizione diventerebbe confusa, perché ridondante rispetto a quanto richiesto. In altre parole, una definizione di un oggetto in base alla sua relazione con un altro, deve essere “economica”, se vuol essere funzionale. In secondo luogo, la relazione con un oggetto, che caratterizza il termine da definire, non comporta affatto che al termine si trasferiscano le qualità dell’oggetto. È la relazione con l’oggetto, e non l’oggetto stesso, che caratterizza il definiendum: per esempio, la medicina è scienza del sano e del malato, ma non ne segue che essa stessa sia sana o malata. (437b ss).

Si può ipotizzare che queste distinzioni siano proposte in questo contesto, perché hanno una utilità immediata: esse, infatti, possono essere usate per studiare le funzioni dell’anima separandole l’una dall’altra. Posso desiderare il sapere per trarne guadagno; ma, se il desiderio si definisce sulla base della relazione col suo oggetto, il desiderio del sapere e il desiderio del guadagno sono due cose diverse, perché sapere e guadagno sono cose diverse. Nel primo libro, la confutazione di Trasimaco ha mostrato che chi applica al desiderio del sapere i comportamenti competitivi tipici di chi vuole semplicemente prevalere, si comporta in maniera tale da perseguire solo la vittoria e non la conoscenza. Nel mondo di cui Trasimaco e noi facciamo esperienza i due desideri sono solitamente mescolati: le puntualizzazioni logiche di 436d ss. permettono di distinguerli e di gerarchizzarli. Valendosi, implicitamente, di questi strumenti, Socrate ha condotto Trasimaco – il professionista della sophia – a capire che cosa desiderasse di più, fra questa e la vittoria.

Bibliografia e URL rilevanti

Platone. La Repubblica 434d-439c.

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