Tetradrakmaton

La Repubblica di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

La teoria delle idee secondo Kant

Questa interpretazione è molto lontana dalla lettura consueta della teoria delle idee, perché in luogo di tre livelli eterogenei si propongono tre livelli di azione e di conoscenza, omogenei, pur con differenti intensità di informazione. Vale la pena, tuttavia, sottolineare che la città paradigmatica di Platone viene conosciuta, nella Repubblica, proprio in quanto è costruita: to logo ex archés poiòmen polin (369c) E che una simile interpretazione è suggerita anche da Kant, nel celebre omaggio alla Repubblica contenuto nella Critica della ragion pura (B 370/A314 ss.). Kant dichiara di non poter seguire Platone sul piano speculativo, e segnatamente nella sua ipostatizzazione delle idee, cioè nella attribuzione ad esse di una consistenza ontologica o di un essere proprio; nondimeno, egli aggiunge, il linguaggio di Platone si presta «a una interpretazione più moderata e proporzionata alla natura delle cose», in quanto esprime una tensione verso la ricerca di un senso unitario e incondizionato dell’universo.

Platone – scrive Kant – si servì dell’espressione “idea” intendendo qualcosa che non è mai ricavato dai sensi, e sorpassa anche i concetti dell’intelletto, in quanto nell’esperienza non si incontra nulla che vi sia adeguato. Per lui le idee «sono gli archetipi delle cose stesse, e non semplici chiavi per le esperienze possibili, come le categorie». 78 «Esse emanarono dalla ragione suprema, da cui vennero partecipate alla ragione umana, la quale, per altro, non si trova più nel suo stato originario» ma deve a fatica richiamarle per mezzo dell’anàmnesis.

«Platone osservò molto bene» – prosegue Kant – che la nostra attività conoscitiva sente un bisogno più alto «che di compitare semplici fenomeni secondo una unità sintetica»: egli trovò «segnatamente le sue idee in tutto ciò che è pratico, che cioè si fonda sulla libertà, la quale, dal canto suo, sta fra le conoscenze che sono un prodotto proprio della ragione. Chi volesse trarre dall’esperienza i concetti della virtù, e prendesse come modello, per la fonte della conoscenza, qualcosa che può valere solo come esempio per una imperfetta spiegazione, farebbe della virtù un nome vano ed equivoco, rendendolo variabile secondo i tempi e le circostanze, e non adoperabile come regola.» Un uomo può essere visto come modello di virtù solo in base ad un originale, l’idea della virtù, rispetto alla quale «tutti i possibili oggetti dell’esperienza servono sì da esempi (prova della fattibilità, in certo grado, di ciò che esige il concetto della ragione), ma non da archetipi.» Il fatto che l’azione umana non sia mai perfettamente adeguata a questa idea non la rende chimerica, in quanto solo grazie ad essa possiamo giudicare del valore e del disvalore morale di ogni approssimazione alla perfezione.

La Repubblica di Platone – conclude Kant – non può essere trattata come una mera idea, o un progetto fantasticamente utopico. «Una costituzione che miri alla maggior libertà umana secondo leggi che facciano sì che la libertà di ciascuno possa coesistere con quella degli altri (non della maggior felicità, perché questa ne segue da sé) è pure per lo meno un’idea necessaria, che deve essere a fondamento non solo del primo disegno di una costituzione politica, ma anche di tutte le leggi». Quanto più la legislazione e il governo fossero ordinati in accordo a questa idea, tanto più rare sarebbero le pene: ed è ragionevole pensare che, in un ordinamento perfetto (soltanto) archetipico, le pene sarebbero inesistenti.

«Niente può trovarsi di più dannoso e indegno di un filosofo, che un banale appello ad una presunta esperienza contraria, che per altro non sarebbe esistita, se a tempo opportuno non si fossero stabilite quelle istituzioni secondo le idee, usando concetti rozzi» perché presi dall’esperienza. «Quanto alla natura, l’esperienza ci fornisce la regola ed è la fonte della verità; ma rispetto alla legge morale, l’esperienza è la madre dell’apparenza, e niente è più da biasimare che voler determinare o limitare la legge di quel che io devo fare (ich tun soll) guardando ciò che si fa (es getan wird)».”

Kant riconosce l’eredità platonica sul piano della ragion pratica: le idee, in quanto prodotto dell’autonomia della ragione, sono le uniche regole che possono giustificare ciò che facciamo da un punto di vista universale. Sul piano della ragione teoretica, però, le idee di Platone possono essere lette anche come un principio ontologico. Kant, tuttavia, può dichiarare la propria affinità con Platone non soltanto perché ritiene che sia possibile una interpretazione più moderata della teoria delle idee, come abbiamo tentato di fare qui, bensì anche perché, sul piano pratico, entrambi condividono un ideale di libertà come autonomia, e cercano modelli intelligibili cui orientare l’azione; sul piano teoretico, entrambi offrono cittadinanza, nella loro riflessione, alla ricerca dell’incondizionato, cioè del senso primo e unitario del tutto. Per entrambi, infine, questo senso primo e unitario non sta né nelle cose, né in idee pensate come se fossero cose, ma in una condizione di unità, comunanza e trasparenza che non può essere ridotta a formula e sostanza senza perdere la sua nobiltà.



[ 78 ] Se consideriamo la metafora della linea in 509 ss., possiamo paragonare il ruolo dell’intelletto a quello della dianoia, che prende le mosse da ipotesi e costruisce delle strutture differenti da quelle degli oggetti sensibili, ma che agli oggetti sensibili possono applicarsi, visto che se ne può dare una illustrazione sensibile. La traduzione dei passi kantiani citati qui di seguito è quella di G. Gentile e G. Lombardo Radice per Laterza.

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