Tetradrakmaton

Il Protagora di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Il primo confronto di Socrate con Protagora: la virtù e le sue "parti"

Il metodo della discussione (328d-329b)

Dopo tanta esibizione, Protagora tace. Socrate, incantato, rimane a guardarlo come se avesse ancora qualcosa da dire, finché, resosi conto che ha davvero concluso, si riprende per profondersi in un elogio troppo enfatico per non essere ironico (328d). Il suo racconto suggerisce che il discorso del sofista, luogo e ripetitivo perché pensato per ascoltatori di cultura ancora prevalentemente orale, abbia fatto cadere Socrate in una specie di trance ipnotica o, più volgarmente, gli abbia provocato una certa sonnolenza.

Socrate afferma di aver sempre creduto che non fosse umanamente possibile insegnare l'eccellenza, 28 ma di aver cambiato idea grazie al discorso del sofista. Gli rimane solo qualche piccolo dubbio che desidera chiarire. Pericle e altri bravi oratori sono in grado di fare lunghi discorsi, ma, se interrogati, sono come libri, incapaci di rispondere e di domandare, e risuonano come bronzi percossi (329a) - cioè si limitano a ripetere sempre la stessa cosa. Protagora è in grado di superare questo limite?

La similitudine del bronzo e del libro, affine alla critica alla scrittura contenuta nel Fedro, anticipa un tema che verrà animatamente discusso in una parte successiva del dialogo. Il discorso lungo o macrologia rende l'ascoltatore passivo, perché gli impedisce di interrompere per fare domande o a causa del dispositivo tecnologico - come nel caso dei testi scritti e in generale dei mezzi di comunicazione di massa di tipo uno-tutti - o a causa dell'atteggiamento dell'oratore, che si prende la parola per non lasciarla più. In questo senso è una strategia di seduzione e di potere, nemica della ricerca della conoscenza - cioè dell'elemento essenziale dell'intellettualismo etico. Come nel confronto con Gorgia, Socrate convince Protagora ad adottare il discorso breve, che consente il dialogo, facendo leva sulla sua professione di abilità retorica, che dovrebbe metterlo in grado di affrontare brillantemente non solo la macrologia, ma ogni genere di esposizione (329b).

La virtù e le sue "parti": la tassonomia nascosta (329c-334c)

1. Le "parti" della virtù

Socrate, in realtà, è stato ben sveglio durante il discorso di Protagora. So è infatti accorto che il sofista ha dapprima connesso, nel suo mito, aidos e dike alla virtù, e poi le ha associato via via dikaiosyne, sophrosyne e pietà religiosa. Si tratta dunque di capire se tutti questi termini designino parti distinte della virtù (329c), oppure siano nomi di una sola e medesima cosa, cioè sinonimi della virtù.

La domanda di Socrate è confrontabile con la discussione del secondo tentativo di definizione di virtù del Menone. Anche in questo caso, per poter parlare di una qualità della virtù - la sua insegnabilità - si dovrebbe aver pregiudizialmente risolto il problema di che cosa essa sia. Protagora lo ha fatto?

Protagora risponde, senza difficoltà, che la virtù è una e quelle sono le sue parti. Socrate, adottando una sua tipica strategia, implicitamente tassonomica, gli chiede una specificazione: le "parti" della virtù sono come quelle dell'oro, che differiscono fra loro solo quantitativamente, oppure come quelle di un viso - occhi, naso, bocca, orecchi - che, pur essendo componenti di un intero, sono reciprocamente distinte (329d)?

2. Le specie della virtù e il loro rapporto

Protagora sceglie la seconda opzione. Allora. gli chiede Socrate, gli esseri umani, quando partecipano di queste "parti" della virtù, partecipano chi dell'una e chi dell'altra, oppure, se ne hanno acquisita una, le possiedono tutte? Protagora, facendo implicito riferimento all'opinione comune, abbraccia la prima ipotesi: ci sono persone coraggiose ma ingiuste, o giuste ma non sapienti (329e).

La risposta di Protagora aggiunge all'elenco delle "parti" della virtù altre due voci: la sapienza (sophia) - che è, per il sofista «la più grande» - e il coraggio (andreia). Socrate gli fa riconoscere che ciascuna di queste parti è distinta dall'altra e ha una dynamis (facoltà, funzione) sua propria, proprio come avviene per le componenti del viso: occhio e orecchio sono reciprocamente distinti, e hanno distinte funzioni (330a-b).

Se riconosciamo che ciascuna delle virtù - per esempio la giustizia - sia qualcosa, cioè un termine dotato di un senso univoco, dobbiamo anche poter dire rispettivamente che la pietà religiosa è cosa pia, la giustizia è cosa giusta e così via (330c-d). Se è così, però, qualcuno potrebbe sostenere che, una volta riconosciute le parti della virtù come distinte, allora ciò che vale per l'una non vale per l'altra (330e). La pietà religiosa, dunque, non sarebbe giusta, mentre la giustizia, a sua volta, non sarebbe pia (331a).

Tassonomia della virtùSocrate dice che, da parte sua, non sarebbe d'accordo con una simile affermazione, perché per lui la giustizia o è uguale alla pietà religiosa, o le è molto simile (331b). 29

Su questo, Protagora è in disaccordo con Socrate, ritenendo che ci sia una qualche differenza fra giustizia e pietà religiosa. ma si dice disposto a concedergli il punto, «se tu vuoi» (331c). Socrate si ribella:

Non ho affatto bisogno di esaminare (elenchestai) questo "se tu vuoi" e "se ti pare", bensì me e te; e dico "me e te" pensando che il ragionamento sarà esaminato al meglio se si toglie il "se" (331c-d).

La ribellione di Socrate - contro il relativismo di Protagora - indica il cuore del suo metodo: un esame critico o elenchos, il cui significato non è soltanto teorico, ma anche pratico, in coerenza con il suo intellettualismo etico. E' dunque indispensabile essere sinceri e dire quello che si pensa veramente, senza fare concessioni per amor di cortesia o di convenzione. Non si discute per far bella figura o per far carriera: si discute per avvicinarsi alla verità e diventare migliori.

Protagora pensa che fra giustizia e pietà religiosa ci sia una qualche somiglianza, ma solo nel senso in cui qualsiasi cosa somiglia a qualsiasi altra, perfino quando si parla di termini reciprocamente opposti, come il bianco e il nero, o il duro e il molle (331d). Questo vale anche per le parti di un viso, ma ciò non è certo sufficiente per dire che sono tutte reciprocamente uguali (331e). La logica della definizione di Socrate si fonda su una tassonomia nascosta - quella illustrata nella figura e applicata anche nel Menone -, che gli consente di produrre classificazioni gerarchiche di concetti, misurandone le affinità e le differenze. Protagora, da parte sua, non riconosce questa gerarchia. 30 Socrate, stupito, chiede a Protagora una conferma delle sua tesi. Il sofista la ribadisce, sia pure in termini più sfumati (331e).

3. La tassonomia nascosta

Socrate sposta l'indagine su un altro caso: l'aphrosyne o sconsideratezza, che Protagora riconosce essere il contrario della sapienza (sophia) (332a). Socrate gli fa anche ammettere che agire in modo corretto e vantaggioso equivale ad agire con sophrosyne, e comportarsi scorrettamente equivale ad agire in modo sconsiderato, cioè senza sophrosyne (332b). Protagora, però, viene portato ad aggiungere che ogni termine ha un solo enantion (contrario): per esempio il contrario del bello è il brutto, quello del bene il male, quello dell'acuto il grave e così via (332c). Ebbene, quanti contrari ha l'aphrosyne?

Sophia e sophrosyneSocrate aveva fatto dire a Protagora che l'aphrosyne ha come contrario sia la sophia, sia la sophrosyne: questa affermazione risulta contraddittoria con la tesi, ammessa dal sofista, che ogni termine ha un solo contrario (333a). La contraddizione potrebbe essere sanata solo dall'equivalenza, propria dell'intellettualismo etico, fra conoscenza e virtù e dalla tassonomia, come si vede nella figura qui a fianco: se la sophrosyne è una specie della sophia, l'aphrosyne è specificamente contraria alla sophrosyne e genericamente contraria alla sophia.

Il sofista, però, non può abbracciare la tassonomia, avendola rigettata in 331a. Gli rimane solo l'opzione di riconoscere che sophrosyne e sophia - e analogamente i loro contrari - sono la stessa cosa (333b). Questa opzione - che Protagora sceglie di malavoglia - rigetta il principio della distinzione e abbraccia quello dell'assimilazione, privandosi di uno strumento logico che permetterebbe di vedere il mondo in maniera sfaccettata, senza ridurlo né a una totalità senza articolazioni alla maniera di Parmenide, né a una molteplicità di atomi reciprocamente sconnessi. 31

4. La fuga nel molteplice

Socrate prosegue con la sua strategia di assimilazione, chiedendo a Protagora se chi si comporta ingiustamente agisce con sophrosyne. Protagora risponde che molti lo sostengono, 32 ma lui si vergognerebbe 33 ad affermarlo. Socrate gli chiede se deve rivolgersi alla massa oppure a lui. Protagora risponde che, se il suo interlocutore vuole, si può partire dalla tesi della moltitudine, ricevendo una replica di questo tenore: «io esamino il logos stesso, ma accade che allo stesso tempo finiscano sotto esame sia io che domando sia chi dà le risposte» Socrate mira a una conoscenza oggettiva, ma, nel suo intellettualismo etico, la qualità del sapere di una persona è anche una qualità fondamentale della persona.

Protagora, prendendo le mosse dall'opinione della massa, afferma che si può commettere ingiustizia ed essere dotati di sophrosyne, pensando dunque correttamente e deliberando bene (333d). Socrate gli chiede se il bene è identico all'utile per gli esseri umani (333e-334a). Il suo scopo sarebbe quello di mostrare che una persona che abusa del proprio potere, commettendo ingiustizia, sbaglia perché non sa quale sia il suo bene ed è quindi priva, in senso specifico, di sophrosyne e, in senso generico, di conoscenza. Per compiere questa impresa, occorre però preliminarmente concordare un concetto oggettivo e universale di bene umano in modo da distinguere univocamente il comportamento giusto e quello errato. Il sofista rifiuta di concedere a Socrate questa pregiudiziale, proclamando, in un lungo e alato discorso, che il bene è variabile e relativo ai soggetti a cui si applica, «multicolore (poikilon) e molteplice» (334b).

Nella Repubblica Socrate descrive con l'aggettivo poikilos la varietà di tipi umani promossa dalla tolleranza propria di una costituzione democratica: la sua presenza nel discorso di Protagora è un'indicazione ulteriore del nesso della democrazia ateniese con il relativismo e il pluralismo sofistico.



[ 28 ] Questa è la tesi conclusiva del Menone, anch'essa costruita sull'osservazione della prassi dell'Atene democratica.

[ 29 ] Nell'Eutifrone Socrate in effetti usa la tassonomia per rappresentare la pietà religiosa come una specie della giustizia, nello spirito della religione antica, che era civica. La tassonomia implicita di Socrate è rappresentata nella figura sopra: la virtù è il genere prossimo delle quattro specie di virtù dell'ordine inferiore, mentre la pietà religiosa, a sua volta, è una specie della giustizia. Lo schema di Platone rappresenta quelle che sarebbero diventate le quattro virtù cardinali della tradizione occidentale. Il cristianesimo raccolse questa tradizione depurandola dalla religione civica e spostando l'ambito della pietà religiosa dalle quattro virtù cardinali alle tre virtù teologali: si veda, a questo proposito, l'articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicato alle virtù.

[ 30 ] Metaforicamente, la biblioteca concettuale di Socrate adotta la classificazione Dewey, mentre quella di Protagora ammucchia i volumi alla rinfusa via via che le arrivano.

[ 31 ] Il sofista, rifiutando le articolazioni e le tassonomia dei concetti proprie della dialettica platonica, finisce prigioniero di una logica dell'identità e della contraddizione che egli stesso percepisce come insoddisfacente.

[ 32 ] La sophrosyne - la capacità di autocontrollarsi e di cooperare con gli altri - era una virtù nuova e democratica, che non veniva riconosciuta come tale dalla cultura tradizionale, aristocratica.

[ 33 ] Nel linguaggio della morale della vergogna la frase di Protagora equivale a un «Lo trovo immorale».

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Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/protagora