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Il Protagora di Platone |
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Il mito di Protagora rappresenta le strutture corporee degli esseri viventi come frutto non di un piano consapevole, ma di un inconsapevole processo evolutivo. Alla natura, che deriva dalla distribuzione di Epimeteo, si contrappone la cultura tecnica e politica dell'uomo, in quanto animale culturale la cui versatilità deriva proprio dal suo essere sottodeterminato biologicamente. La tecnica è un sapere progettuale e predittivo, distribuito in modo disuguale fra gli individui perché non è una dote naturale ma l'esito di una conquista, che il mito raffigura con il furto di Prometeo. La cultura politica, che rende possibile la società e si impone quasi come una seconda natura, è rappresentata come frutto di una distribuzione ulteriore, decisa ex post. Le componenti culturali della socievolezza - vergogna e giustizia - sono presenti in tutti gli uomini, proprio come le caratteristiche biologiche tipiche di una specie animale, ma con l'aggiunta di una sanzione religiosa. Il Socrate del Menone critica la competenza politica degli Ateniesi perché, non fondata scientificamente, è fortuita e inconsapevole come quella prodotta da una theia moira. Protagora gli risponde che le virtù della vita civile sono semplicemente figlie del senno del poi: il fatto che la società esista prova, evolutivamente, la loro funzionalità.
Il mito appena raccontato serve a Protagora per esprimere in forma evidente e memorabile una verità implicita nell'opinione comune. Gli Ateniesi sono convinti che le technai appartengano a pochi; ma quando deliberano su questioni riguardanti l'eccellenza politica, la quale dipende interamente da dikaiosyne 19 e sophrosyne, lasciano parlare tutti perché ritengono che, se questa virtù non fosse condivisa, «non ci sarebbero le città» (323a). Inoltre, se qualcuno dice di possedere una techne come quella del flauto senza effettivamente saperlo suonare, è oggetto di derisione o di irritazione, e i familiari lo ammoniscono come se fosse impazzito; ma se qualcuno confessa di essere ingiusto, la sua sincerità non è trattata come sophrosyne, bensì come follia (323b), come se chi non partecipasse alla giustizia non appartenesse all'ambito degli esseri umani (323c).
Protagora ricorre all'opinione comune anche per mostrare che l'eccellenza o competenza politica non è né un talento naturale né un evento casuale, ma un'acquisizione culturale che può essere insegnata (323c). Infatti, quando si pensa che i difetti di qualcuno siano dovuti alla natura o alla sorte, chi ne è afflitto è oggetto di pietà e nessuno gli fa una colpa della sua condizione (323d). Ma se un talento è inteso come frutto di impegno, esercizio e insegnamento, allora ci si indigna, si punisce e si biasima chi non ce l'ha. Sono per esempio oggetto di biasimo l'ingiustizia (adikia) e la mancanza di pietà religiosa (asebeia) (323e), «insomma tutto ciò che è contrario all'arete politica» (324a). 20 La possibilità dell'insegnamento è il criterio di demarcazione fra il modo in cui ci ha fatto la natura, che non può essere né scelto, né rifiutato, e quanto è lasciato alla nostra libertà e ricade sotto la nostra responsabilità morale.
In questa prospettiva, Protagora propone una giustificazione della sanzione penale che anticipa la teoria della pena come prevenzione generale o della deterrenza: nessuno punisce chi ha commesso ingiustizia per il mero fatto che l'abbia compiuta, a meno che non voglia vendicarsi irrazionalmente (alogistos) come una bestia. Quando si punisce con ragione (meta logou) non lo si fa pensando al passato, che non può essere cambiato, bensì al futuro, perché nessuno - a partire dal colpevole - ripeta il comportamento sanzionato. Lo scopo della pena è la deterrenza: e questo presuppone che l'arete possa essere ottenuta tramite la paideia (324b). La sanzione ha un'efficacia dissuasiva solo se si rivolge a persone capaci di calcolare razionalmente le conseguenze delle loro azioni e di scegliere, se necessario, di astenersene - capaci, dunque, di cambiare il proprio comportamento per via culturale sulla base di una previsione dedotta delle norme della propria comunità. Tutti coloro che puniscono, sia in privato sia per conto della collettività, devono dunque coerentemente presupporre - come fanno gli Ateniesi - che la competenza politica possa essere insegnata (324c).
Socrate aveva addotto la circostanza che anche uomini eccellenti si fossero dimostrati incapaci di educare figli del loro stesso valore come prova del fatto che la virtù non potesse essere insegnata. Protagora non gli risponde con un mito, ma con un logos (324d).
Innanzitutto, ripete il sofista, ci deve essere qualcosa di cui tutti i cittadini partecipino, perché la comunità politica possa esistere (324e). E questo qualcosa non può essere una tecnica settoriale e particolare come le altre: deve essere una competenza generale, come la dikaiosyne, la sophrosyne e la pietà religiosa (hosion), ossia, in una parola, la virtù dell'uomo (andros arete). Aner in greco indica l'essere umano di sesso maschile: le donne, essendo escluse dalla vita pubblica, sono anche escluse dall'eccellenza politica. Protagora tratta questo fatto come scontato, per contraddirsi poche righe dopo, affermando che chi non partecipa di questa eccellenza detta da lui stesso maschile, uomo, bambino o donna che sia, viene istruito o punito (325a). 21
Di conseguenza, ci si occupa costantemente dell'educazione alla competenza politica, a partire dalla prima infanzia, in famiglia (325c-d), 22 per proseguire nella scuola. Nel V secolo i bambini ateniesi venivano mandati da un grammatistes per imparare a leggere, scrivere e far di conto, da un kitharistes per apprendere la musica e il canto, e da un paidotribes per la ginnastica. In questo percorso formativo - spiega il sofista - leggono e imparano a memoria opere di poeti (325e), che presentano all'imitazione modelli di comportamento, la musica li educa al ritmo e all'armonia 23 e la ginnastica al controllo del corpo (326a-c). Conclusa l'istruzione formale, che dura più a lungo per i più ricchi - dice Protagora con cognizione di causa - la città li obbliga ad apprendere i nomoi e a seguire il loro modello, come si costringe chi impara a scrivere a seguire le righe tracciate sulla tavoletta di cera (326d), e li sottopone a pubblici rendiconti (euthynai) (326e). 24 Il fatto stesso che la virtù, come competenza politica, sia insegnata, prova che può essere insegnata.
L'obiezione di Socrate viene affrontata dal sofista solo alla fine del suo lungo discorso, con due argomenti:
la similitudine della città dei flautisti: in una città in cui saper suonare il flauto fosse essenziale per la sua stessa esistenza, tutti si metterebbero in grado di padroneggiarne la tecnica, insegnandosela a vicenda (327a-b). Ma anche lì il figlio di un buon flautista non sarebbe necessariamente bravo quanto il padre, perché entrerebbe in gioco il talento naturale (327c). Comparativamente, però, perfino un cittadino mediocre della città dei flautisti sarebbe miglior musicista di chi viene da luoghi in cui quest'arte non è imposta e praticata da tutti. Analogamente, anche i peggiori delinquenti ateniesi sono migliori di chi fosse completamente privo di virtù civica (327d-e). 25
quando una competenza è generale, tutti ne sono maestri: chiedersi chi insegna la virtù è tanto ozioso quanto chiedersi chi insegna ai madrelingua a parlare in greco, o chi ha originariamente trasmesso la tecnica a una famiglia di artigiani che si tramanda il mestiere di padre in figlio (328a). Un sapere divenuto comune può perdere le sue radici nel buio del passato e del mito, senza che ne sia intaccato il carattere scientifico.
Quando tutti sono competenti è difficile trovare un maestro che sia appena migliore degli altri, spiega Protagora, presentando se stesso come dotato di questa qualifica e in grado di rendere il suo allievo kalos kagathos, a pagamento (328b). 26 Quanto ai figli di Pericle, conclude il sofista, sono giovani e si possono ancora avere delle speranze su di loro (328c-d). 27
[ 19 ] La dikaiosyne esprime il concetto di giustizia come virtù personale e interiore.
[ 20 ] Ingiustizia ed empietà vengono considerate contrarie alla virtù politica perché la religione antica, che era civica, assimilava il dovere del buon cittadino e quello dell'uomo religioso.
[ 21 ] Le donne sono trattate come cittadine, capaci di responsabilità morale, solo quando si comportano in modo deviante: le contraddizioni di Protagora rispecchiano quelle dell'opinione comune, sulla quale è costruito il suo argomento. Socrate, nel seguito del testo e altrove, ha su questo punto un atteggiamento molto diverso.
[ 22 ] La similitudine del bambino come legno storto e curvo che deve essere raddrizzato con le punizioni viene ripresa da Kant, con una vena di pessimismo antropologico (Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico, 23).
[ 23 ] La formazione riferita da Protagora include, rispetto alla tradizione orale precedente, l'insegnamento della lettura e della scrittura, ma rimane "mimetica" o imitativa, e dà grande importanza alla musica come fattore di integrazione e di immedesimazione. In questo senso, si espone alla critica contenuta nel III libro della Repubblica.
[ 24 ] L'euthynai era il giudizio finale a cui la democrazia ateniese sottoponeva i funzionari pubblici quando uscivano di carica. Nel discorso di Protagora c'è continuità fra l'istruzione e l'educazione civica e morale perché la città antica intendeva se stessa come una comunità totale.
[ 25 ] Protagora allude a una commedia di Ferecrate, i Selvaggi, rappresentata alla festa delle Lenee del 420 a.C., il cui protagonista era un misantropo che, non sopportando il consorzio civile ateniese, aveva tentato di rifugiarsi nella natura, per scoprirla popolata da selvaggi tali da farlo tornare sui suoi passi.
[ 26 ] Protagora spiega in che modo si fa pagare: l'allievo alla fine delle lezioni può scegliere di versargli il compenso pattuito o, se non è soddisfatto, donare a un tempio, sotto giuramento, una somma adeguata alla sua valutazione del corso. Questa procedura era pensata come rimedio alla cattiva fama di cui godevano i sofisti.
[ 27 ] Al lettore di Platone, che, col senno del poi, conosceva Paralo e Santippo come due inetti, quest'affermazione di Protagora suonava ferocemente ironica.
Il Protagora di Platone
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Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/protagora