La
questione omerica:
La composizione e la struttura dei poemi
La scoperta
del digamma da parte di Bentley nel 1699, e gli studi sulla lingua sanscrita,
aprono la strada ad uno studio storico della lingua, vista nella sua
evoluzione. La scienza filologica e la stessa questione omerica sono
inaugurate da Friedrich August Wolf
nel 1795. Con i Prolegomena ad Homerum Wolf
getta le basi per la dottrina analitica,
giungendo a concludere che i poemi omerici rappresentano il coagulo
secondario di brevi canti, concepiti e tramandati oralmente. I canti
sarebbero così stati aperti ad inserzioni e soggetti a modifiche nel
corso del tempo. L'argomentazione del filologo tedesco si poggia su
elementi noti e in buona parte rivelatisi discutibili e infondati, quali
l'inesistenza della scrittura al tempo di Omero o la redazione ad opera
di Pisistrato nel VI secolo a.C.
L'idea dominante della teoria esposta da Wolf e destinata ad aver seguito,
è che i poemi omerici non sono il prodotto della creazione di un unico
autore; Wolf riconosce in Omero l'autore di un primo nucleo centrale,
poi ampliato e trasformato da interventi successivi, e inaugura un'impostazione
che sarà portata avanti dalla ricerca filologica, soprattutto tedesca,
per tutto l'Ottocento.
È possibile
sintetizzare tre ipotesi alternative
formulate dai principali teorici di questa scuola (ne fanno parte Gottfried
Hermann, Karl Lachmann, Grote, Kirchoff) intorno alla composizione
e alla struttura dei poemi:
Secondo
la prima ipotesi, i poemi sarebbero
nati per aggregazione di brevi poemi sparsi e tra loro indipendenti.
Nella seconda interpretazione, attorno
ad un breve nucleo principale si sarebbero aggiunte progressivamente
parti più o meno lunghe, che integrano il tema centrale.
La terza interpretazione intende
i poemi come il risultato della composizione di brani, che è avvenuta
ad opera di un poeta o di un redattore.
Alla
scuola analitica si contrappone la teoria unitaria,
che si appella alla tradizione e tenta di dimostrare (dapprincipio con
metodi scarsamente scientifici, poi con sempre maggior cura filologica)
l'esistenza di un unico poeta. Se la scuola analitica mira a dissolvere
l'unità dei poemi, essa tende anche a negarne la grande qualità poetica,
che viene difesa dagli unitari. Accanto agli studi filologici nell'Ottocento
si fa strada la ricerca archeologica;
i ritrovamenti a Troia, Micene, Tirinto, finanziati da Schliemann (1872),
sembrano confermare l'ipotesi dell'effettiva esistenza di una civiltà
micenea a cui è possibile far risalire un nucleo reale che emerge dalla
leggenda cantata nell'Iliade. Trova così risposta la questione
se sia mai esistita Troia, anche se l'archeologia successiva dimostra
che i ritrovamenti di Schliemann sono relativi ad epoche precedenti
la narrazione di Omero, e getta nuove ombre sulla storia greca, schiarite
in parte dalla decifrazione della scrittura
lineare B ad opera di Michael Ventris nel 1952.
La convergenza
della filologia e dell'archeologia sembrano confermare che Omero sia
vissuto nell'VIII secolo a.C., e che la composizione dei poemi raccoglie
attorno a temi centrali, rispettivamente l'ira di Achille e la vendetta
di Odisseo, brevi poemi e canti singoli che vengono rielaborati e inseriti
nella narrazione. A questo processo si accompagna l'invenzione di parti
ulteriori che strutturano i poemi nella forma che è giunta fino a noi.
Tale è l'ipotesi del filologo tedesco Ulrich von Wilamowitz
Möllendorf (1921), che reimposta la questione salvaguardando l'esistenza
storica di una personalità creatrice, vissuta nell'VIII secolo a.C.
Ma la
questione omerica come problema della poesia
tramandata oralmente viene posta in quanto tale dal classicista
americano Milman Parry (1902-35).
Nella sua tesi di laurea discussa a Berkeley e pubblicata solo successivamente
in Francia (L'Epithète traditionelle dans l'Homère, 1928), Parry
ricostruisce, attraverso lo studio delle espressioni formulaiche nei
poemi omerici, gli elementi essenziali della tecnica di composizione
messa in atto oralmente. La tesi fondamentale che Parry dimostra è
che la formula, che può essere costituita
da un nome e un epiteto come ma da versi più ampi, è
la cellula elementare della dizione omerica. Essa ha una
funzione prevalentemente sonora
che permette al poeta la memorizzazione di
lunghi canti.
"Il nostro concetto dell'originale, del canto, è semplicemente privo
di senso per la tradizione orale. A noi sembra tanto fondamentale, tanto
logico, per essere cresciuti in una società in cui la scrittura ha fissato
la norma di prima creazione stabile, che pensiamo che ci debba essere
un originale per tutte le cose […] nella tradizione orale l'idea di
un originale è illogica". Questa frase di Albert Lord (A Singer of
Tales, 1960) serve a comprendere che il
processo di formazione della poesia orale non è meccanico;
possiamo intendere con autore, in termini moderni, solo chi interviene
sulla redazione, e ciò avviene solitamente in conclusione. Per questa
ragione la poesia orale porta con sé un diverso concetto di proprietà
letteraria da quello dei moderni.
Gli studi di Parry e del suo collaboratore Albert Lord sulla natura
e sull'impiego, nell'epica slava, della "formula" che ritorna ripetutamente
e regolarmente nei poemi, sono stati ricostruiti
e ampliati da Adam Parry ed inaugurano la scuola oralista.
La teoria esposta da Parry ha avuto il merito di mostrare che il metodo
critico fino ad allora adottato per lo studio dei poemi omerici non
poteva rendere conto né dei loro caratteri propri dell'epos,
né dei problemi relativi alla loro composizione e formazione.
Ma quali
sono le caratteristiche dell'epos omerico?
E quali le specifiche condizioni che una cultura
essenzialmente orale impone? La teoria oralista lascia spazio
a obiezioni e insoddisfazioni, centrate soprattutto sul fatto che una
teoria generale dell'oralità deve fondarsi su una teoria generale
della società; poiché il linguaggio è condiviso
da una comunità di parlanti, ed è tale se si conserva
in forma durevole, la teoria oralista non sembra poter fare a meno dell'appoggio
dell'antropologia.
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Caratteristiche dell'epos omerico