Tetradrakmaton

Il Menone di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

L'anamnesis come emancipazione

Socrate: Senza, dunque, che nessuno gl'insegni, ma solo in virtù di domande giungerà al sapere avendo ricavato lui, da sé, la scienza?

Menone: Sì.

Socrate: Ma ricavar da sé, in sé, la propria scienza, non è ricordare?

Menone: Senza dubbio.

Socrate: E la scienza che ora possiede: o l’ha acquisita in un certo tempo o la possiede da sempre.

Menone: Sì.

Socrate: Se la possiede da sempre, egli sa da sempre; se l'ha fatta propria in un qualche tempo, ciò non è sicuramente avvenuto nella presente vita. Vi è forse qualcuno che gli abbia insegnato tutto? Lo saprai certo, tanto più ch'egli è nato e cresciuto in casa tua!

Menone: So benissimo che non gli ha insegnato nessuno.

Socrate: Ma ha o non ha tali sue opinioni?

Menone: Incontestabilmente, Socrate, sembra che le abbia.

Socrate: E se non le ha acquisite nella presente vita, non è già di per sé evidente che le possedeva, e che le apprese in un altro tempo?

Menone: Evidente!

Socrate: E non è forse questo il tempo in cui non era ancora uomo?

Menone: Sì. (Menone, 85e-86a)

Per illustrare il racconto dell'anamnesis, Socrate ha chiamato uno schiavo di Menone, e, interrogandolo, lo ha condotto da una risposta sbagliata alla corretta soluzione del problema geometrico della duplicazione del quadrato. 8 Lo schiavo, fra i personaggi del dialogo, è l'unico che impara qualcosa. Socrate non gli ha insegnato nulla nel senso sofistico, patrimoniale, del termine: non gli ha tramesso meccanicamente delle nozioni, ma tramite domande lo ha guidato prima a dubitare della risposta che aveva dato, e poi a riconoscere la soluzione corretta.

Il colloquio di Socrate con lo schiavo può essere suddiviso in tre fasi:

  1. Socrate si accerta che lo schiavo conosca la lingua greca e sappia che cos'è un quadrato (82b-d), come richiesto dal suo metodo dialettico

  2. Socrate chiede allo schiavo di risolvere il seguente problema: che lato deve avere un quadrato la cui area sia doppia di quella di un quadrato dato? Supponiamo, per esempio che il lato del quadrato dato sia due: che lato deve avere un quadrato la cui area sia di otto, cioè il doppio di quella del quadrato dato? Lo schiavo risponde prima che il quadrato di area doppia deve avere un lato doppio rispetto al lato del quadrato dato, cioè quattro, e poi scende a tre. Socrate, facendogli calcolare le rispettive aree (sedici e nove) lo aiuta a rendersi conto del suo errore. (82d-83e)

    Socrate: Facendolo dubitare, intorpidendolo, come fa la torpedine, lo abbiamo forse danneggiato?

    Menone: Non mi pare.

    Socrate: Gli abbiamo anzi fatto qualcosa di utile, sembra, per scoprire come procedere: ora infatti, proprio perché non sa, ricercherà con piacere, mentre prima avrebbe facilmente detto, di fronte a molti e in molteplici occasioni, che per raddoppiare un quadrato si deve raddoppiare il lato. (Menone, 84b-c)

  3. Lo schiavo, interrogato da Socrate, arriva alla soluzione del problema: il quadrato la cui area è doppia del quadrato dato è quello costruito sulla sua diagonale. (84d-85b) La soluzione del problema

    Tali opinioni sono emerse ora, sollevate in lui come in un sogno; e se ripetutamente lo si interrogasse sugli stessi argomenti e da punti di vista diversi, puoi star sicuro che alla fine ne avrebbe scienza non meno esatta di chiunque altro. (Menone, 85c-d) 9

C'è un parallelismo evidente fra le prime due fasi del colloquio con lo schiavo e il colloquio iniziale di Socrate con Menone, che si interrompe solo quando lo schiavo, nella terza fase, mette a frutto il suo dubbio e risolve il problema, mentre Menone propone il suo paradosso:

  1. Socrate chiede a Menone che cosa sia la virtù, proprio come chiede alla schiavo che cos'è un quadrato

  2. Menone, proprio come il suo schiavo, propone alcune risposte che vengono confutate, finché la torpedine del dubbio non lo intorpidisce.

Il marxista Ernst Bloch 10 ha condannato l'anamnesis in quanto espressione metodica dell'estraneità al futuro, perché le idee sono trattate come qualcosa che risiede in un eterno senza tempo, che non può evolversi, e costituiscono perciò un factum reificato e mercificato. Abbiamo però visto che il paradosso di Menone – l'impossibilità di cercare quello che non si sa – presuppone una concezione patrimoniale della conoscenza. L'anamnesis, di contro, comporta il contrario: non posso sostenere che un'idea sia “mia” perché ricerca e apprendimento possono aver luogo solo col presupposto di un continuum di conoscenza contestuale comune e interconnessa: lo stesso Menone può discettare dell'insegnabilità della virtù, pur senza saperne dare una definizione rigorosa, perché si trova in questo continuum. Quando scopro o imparo qualcosa di nuovo, questo qualcosa è nuovo per me – e dunque per me, in quanto soggetto storico, c'è evoluzione e futuro – ma non posso dire che la “mia” nozione possa dirsi “mia” in quanto creata da me ex nihilo e nuova per tutto e per tutti. Infatti io ho potuto apprendere e scoprire solo col presupposto di una conoscenza comune precedente, e questa mia conoscenza è una conoscenza in quanto non è una personalissima impressione mia, ma in quanto può rientrare, intersoggettivamente, in un complesso comune. La conoscenza non può essere privatizzata senza cadere in paradossi, perché i suoi presupposti non possono essere individualisti, ma sono necessariamente e inevitabilmente comunitari.

Per questo, la conoscenza non può legittimarsi come espressione particolaristica di un ceto sociale, di un gruppo, di una razza o di una cultura, senza scadere a mera espressione di gusto: le idee devono valere per tutti, e tutti quelli che sanno cercare e imparare devono accedere al mondo delle idee, a prescindere dalla veste che capita loro di indossare. Lo schiavo di Menone, a differenza del suo proprietario, ha mostrato di saper imparare qualcosa - perché ha riconosciuto il valore del dubbio - e di avere diritto di cittadinanza nel mondo della conoscenza. Bisogna chiedersi, perciò, se una filosofia che identifica l'eccellenza con la conoscenza non comporti - perfino nel mondo schiavistico in cui Platone viveva - un potenziale di emancipazione anche sul piano etico-politico. Chi cerca ed impara partecipa ad una comunità di conoscenza molto più ampia e durevole di quella particolare in cui è capitato in sorte. E la semplice possibilità di una comunità del genere è tale da mettere in discussione le comunità esistenti.



[ 8 ] Questo argomento rappresenta la dimostrazione greca più antica, ancorché informale, del teorema di Pitagora - in un suo caso particolare - che ci sia pervenuta. La sua dimostrazione formale, contenuta alla fine del primo libro degli Elementi di Euclide, risale circa al 300 a.C.

[ 9 ] Si potrebbe obiettare (v. Piergiorgio Odifreddi, Il diavolo in cattedra, Torino, Einaudi, 2003 e 2004, p. 29) che Platone confonde l'ars inveniendi e l'ars iudicandi: una cosa, cioè, è la capacità di controllare la correttezza di un ragionamento fatto da altri, e un'altra, assai più difficile, è l'arte di trovare da sé una dimostrazione appropriata. Lo schiavo, in effetti, non risolve il problema da sé, ma si limita a verificare la correttezza del ragionamento propostogli da Socrate - compito, questo, che oggi potrebbe svolgere anche un calcolatore.

Socrate, però, osserva che il sapere che lo schiavo ha ottenuto verificando la soluzione propostagli passo passo non è ancora scienza, ma solo opinione corretta. Per diventare uno scienziato, lo schiavo dovrebbe essere interrogato ripetutamente e da punti di vista diversi, fino ad avere un sapere non più frammentario ed eteronomo, ma sistematico e autonomo: questo tipo di sapere lo metterà in grado di spiegare perché una cosa è così e non altrimenti senza bisogno della maieutica di Socrate.

Inoltre, lo scopo del dialogo con lo schiavo non è mostrare in che modo si crea nuovo sapere, ma in che modo è possibile imparare. Nella prospettiva di Platone, chi fa quella che noi oggi chiameremmo una "scoperta" non è un genio che inventa qualcosa dal nulla, bensì un ignorante che impara qualcosa di nuovo. Per lui il sapere, se è scientifico, deve poter anche essere oggettivo e sovraindividuale: una idea eccezionalmente brillante che ci viene in mente non è scientifica perché l'abbiamo ingegnosamente partorita noi, ma perché, una volta partorita, ha resistito all'esame nostro e altrui - in modo da non rimanere soltanto nostra.

[ 10 ] Das Prinzip Hoffnung, trad. it. Il principio speranza, Milano, Garzanti, 1994, pp. 11-12

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