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Il diritto pubblico è il complesso delle leggi che richiedono una promulgazione generale per produrre uno stato giuridico.
Una moltitudine di esseri umani o una moltitudine di stati in una relazione tale che non possono fare a meno di influenzarsi a vicenda si trova in uno stato giuridico, in cui ciascuno è partecipe a ciò che è di diritto, se la legge comune è resa pubblicamente nota o promulgata tramite una costituzione esito di una volontà che li unisce.
La costituzione, in altre parole, è un atto collettivo di pubblicazione del diritto, che lo fa uscire dalla provvisorietà del diritto privato. Questo atto dà origine a uno stato civile (status civilis), 150 se lo consideriamo distributivamente dal punto di vista dei singoli in rapporto con altri singoli, o a uno stato (nel senso di civitas o unità politica) se lo consideriamo collettivamente come un'unione di persone.
Lo stato a sua volta si chiama:
La pluralità degli stati intesi come potenze implica che il diritto pubblico possa essere suddiviso in tre parti, così:
diritto internazionale (ius gentium )
diritto dello stato dei popoli o ius cosmopoliticum
Kant aggiunge al diritto pubblico statuale e internazionale l'ulteriore figura del diritto cosmopolitico perché la finitezza della superficie terrestre comporta che gli stati abbiano inevitabilmente rapporti reciproci e rende indispensabile che il mondo intero raggiunga lo stato giuridico. Se infatti a uno di questi tre livelli mancasse il principio di limitazione della libertà esterna gli altri due sarebbero messi in pericolo e alla fine crollerebbero. In altre parole: se la garanzia del diritto offerta da un singolo stato non si estendesse oltre i suoi confini, negli altri stati, nei loro rapporti reciproci e nella comunità globale che li contiene, essa rimarrebbe sempre provvisoria e mai perentoria, perché esposta, a ogni livello, alla violenza della guerra.
La violenza e la malvagità con cui gli esseri umani si affrontano allo stato di natura, quando manca un potere legislativo esterno, non ci sono note per conoscenza empirica. Anche l'idea dello stato di natura come stato non giuridico è una costruzione razionale che non deriva dall'esperienza: anche se immaginiamo gli esseri umani come buoni e amanti del diritto rimane il fatto che, senza una condizione giuridica pubblica, ciascuno ha diritto di fare ciò che per lui è giusto e buono indipendentemente dall'opinione degli altri. Una simile condizione non è necessariamente ingiusta, cioè basata effettivamente sullo scontro fra gli esseri umani e la legge del più forte: è però uno status iustitia vacuus, cioè privo di diritto nel senso della lex iustitiae. In caso di disaccordo (ius controversum), infatti, manca un giudice terzo fra le parti la cui sentenza sia coercitiva, così da costringere ciascuno a entrare in uno stato giuridico. Ciò comporta che sia possibile rappresentare nello stato di natura sia l'appropriazione sia il contratto secondo i concetti del diritto: ma queste acquisizioni rimangono provvisorie - cioè esposte alle pretese di chiunque - perché mancano le garanzie offerte dalla società civile. 152
Per non rinunciare al diritto, è dunque giuridicamente obbligatorio uscire dallo stato di natura ed entrare, d'accordo con tutti coloro con i quali non si può evitare la relazione, in uno stato civile il quale, tramite un costrizione legislativa pubblica, determini che cosa spetti a ciascuno e lo imponga con un potere esterno adeguato, diverso da quello individuale.
Lo stato è l'unificazione di una moltitudine di esseri umani sotto leggi di diritto.
Questa definizione è a priori e non a posteriori: le leggi di diritto di cui parla Kant non sono dunque positive, ma derivano dai concetti di diritto esterno in generale. La sua forma è quella dello stato come idea secondo i principi puri del diritto. Il ruolo dell'idea non è descrivere unioni politiche esistenti, bensì fungere da norma entro ogni unificazione effettuale che crea una res publica. In altre parole, le unificazioni politiche effettuali non producono di per sé uno stato giuridico: il loro diritto positivo deve essere sempre in discussione perché la sua norma, la sua unità di misura, non sta nel fatto, ma nella ragione.
In quanto lo stato è idealmente esito di una scelta collettiva, esso si identifica con la volontà generale.
Ogni stato, scrive Kant, contiene in sé tre poteri, cioè la volontà generale unita in tre persone:
potere del sovrano (Herrschergewalt, Souveränität), nella persona del legislatore
potere esecutivo nella persona del governatore
potere giudiziario nella persona del giudice
Come in un sillogismo pratico, la legge della volontà generale unita corrisponde alla premessa maggiore; il comando del governo a comportarsi secondo la legge alla minore (che contiene il principio di sussunzione del particolare); e la sentenza, che stabilisce qual è il diritto nel caso particolare, alla conclusione.
Kant, come Rousseau, usa il concetto di volontà generale, ma allo stesso tempo la dottrina della divisione dei poteri. Come possono queste due nozioni possono stare insieme? 153
Rousseau identifica la sovranità con l'esercizio della volontà generale e la considera inalienabile, perché se il popolo la assegnasse a un capo dissolverebbe se stesso come popolo libero per diventare una moltitudine di schiavi sotto un padrone, e indivisibile:
Per la stessa ragione in virtù della quale la sovranità è inalienabile è anche indivisibile. Infatti la volontà è generale o non lo è; è quella del corpo del popolo o solamente di una parte. Nel primo caso questa volontà, dichiarata, è un atto di sovranità e fa legge, mentre nel secondo è soltanto una volontà particolare o un atto di magistratura; tutt’al più è un decreto.
Ma i nostri politici, non potendo dividere la sovranità quanto al suo principio, la dividono quanto al suo oggetto; la dividono in forza e in volontà, in potere legislativo e in potere esecutivo, in diritti concernenti le imposte, la giustizia e la guerra, in amministrazione interna e in potere di trattare con lo straniero; talvolta confondono tutte queste parti, talaltra le separano. Fanno del Sovrano un essere paragonabile a quelli prodotti dalla fantasia, formato di pezzi messi insieme l’uno con l’altro; è come se componessero l’uomo con più corpi, di cui l’uno avesse gli occhi, l’altro le braccia, l’altro i piedi, e niente più. [...]
Questo errore nasce dal fatto che non ci si è formati delle nozioni esatte circa l’autorità sovrana e dall’aver preso per parti di quest’autorità quelle che ne sono solo emanazioni. 154
Kant, fin qui, sembra seguire fedelmente Rousseau identificando sovranità e potere legislativo, ma con una differenza: i tre poteri dello stato sono per lui la volontà generale unita in tre persone, secondo la dottrina della trias politica, espressione, questa, associata alla teoria della separazione dei poteri di Montesquieu (De l'esprit des lois, XI.6) . E se i poteri dello stato sono una triade, non si può sostenere che esecutivo e giudiziario derivino dalla sovranità per emanazione, perché ciò li renderebbe gerarchicamente subordinati. Perché Kant, pur avendo evidenti debiti nei confronti di Rousseau, sceglie questa soluzione mista?
Il potere legislativo può essere attribuito solo alla volontà generale unita del popolo. Per Kant, a differenza che per il Rousseau del Contratto sociale, non occorre entrare in una società civile per diventare morali: si deve uscire dallo stato di natura semplicemente per dare garanzia pubblica a un diritto che possiamo concepire anche senza stato. Il passaggio alla società civile, però, comporta la pubblicazione della legge. Per evitare che questa pubblicazione produca un torto giuridico nei confronti di qualcuno, occorre che la legge non sia deliberata da uno o da alcuni per qualcun altro, bensì da tutti per tutti (volenti non fit iniuria). Per questo può essere legislatrice solo la volontà generale unita di tutti.
Chi è membro di uno stato, vale a dire di una società civile unitasi per la legislazione, si chiama cittadino (civis) e come tale gode dei seguenti attributi giuridici:
libertà legale, per la quale non ubbidisce a nessuna legge se non a quella a cui ha dato il suo assenso;
uguaglianza civile, per la quale, nel popolo, riconosce come superiore con la facoltà morale di obbligarlo solo chi può a sua volta essere obbligato;
indipendenza civile, per la quale deve la sua esistenza e conservazione non all'arbitrio altrui, ma ai propri diritti e alle proprie forze come membro della res publica; questa qualità gli permette di avere una personalità civile per la quale non deve essere rappresentato da altri per quanto concerne il diritto.
Il cittadino, dunque, gode di libertà politica perché è tenuto a ubbidire solo a leggi pubbliche alla cui approvazione, in virtù della sua indipendenza, ha potuto partecipare, e formulate in modo tale che chi lo vincola ne sia a sua volta vincolato. Ma mentre nella Pace perpetua la cittadinanza veniva riconosciuta a tutti i membri della comunità politica, qui invece ricompare, a restringerla, il requisito dell'indipendenza.
Detto comune (1793) | Pace perpetua (1795) | Metafisica dei costumi (1797) | |
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1 | libertà in quanto essere umano | libertà in quanto essere umano | libertà in quanto essere umano - libertà legale in quanto cittadino attivo |
2 | uguaglianza in quanto suddito | dipendenza in quanto suddito | uguaglianza in quanto essere umano - uguaglianza civile in quanto cittadino attivo |
3 | indipendenza in quanto cittadino | uguaglianza in quanto cittadino | indipendenza civile in quanto cittadino attivo |
liberalismo | democrazia | liberalismo |
Per cittadino Kant intende chi ha la capacità di votare: essa, a sua volta presuppone l'indipendenza, associata al voler essere non solo parte della comunità come cittadino passivo, bensì membro attivo e partecipe o cittadino attivo secondo il proprio arbitrio in comunione con gli altri.
La distinzione fra cittadini passivi e attivi, ai quali soltanto sono riservati i diritti politici, si ritrova nell'articolo 2 della sezione seconda della costituzione francese del 1791, che disegna una monarchia costituzionale liberale a suffragio ristretto. Kant, riproponendola, sembra tornare, come si vede nella tabella 5.1, alle posizioni del 1793, che pur aveva superato nella Pace perpetua con il principio dell'uguaglianza come cittadini. Il passaggio dall'uguaglanza liberale del 1793 - soltanto davanti alla legge - all'uguaglianza democratica nei diritti politici del 1795 era dovuto a una nuova rappresentazione della libertà, basata sul suo lato positivo: l'autodeterminazione politica di chi ha la facoltà di non obbedire a nessuna legge esterna se non a quella cui avrebbe potuto dare il proprio assenso. Questa rappresentazione della libertà in senso positivo è ancora presente nella Metafisica dei costumi come attributo giuridico dei cittadini entro la società civile - anzi, entro una società civile in cui il potere legislativo è attribuito alla volontà unita del popolo proprio per impedire che una sua parte legiferi contro un'altra, a proprio esclusivo vantaggio.
Lo stesso Kant scrive (314) che il concetto di cittadino passivo pare contraddire il concetto di cittadino in generale, e cerca di chiarire la sua tesi con degli esempi. Le persone dipendenti sono coloro che conservano la propria esistenza (nutrimento e protezione) 155 non tramite una propria attività, ma in quanto necessitate da disposizioni altrui, vale a dire:
minorenni
donne
apprendisti presso commercianti e artigiani
servi (esclusi quelli al servizio dello stato)
prestatori d'opera che vendono la loro forza-lavoro (opera) invece che un proprio prodotto (opus) o servizio come merce e si trovano per questo in condizione di dipendenza dai loro padroni (per esempio: taglialegna e fabbri che compiono le loro prestazioni a domicilio, precettori domestici, livellari). 156
Più sistematicamente, possiamo raggruppare i cittadini passivi in tre categorie:
persone in stato di dipendenza provvisoria o almeno idealmente tale, per sesso ed età;
persone in condizione di servitù domestica;
persone in condizione di vassallaggio feudale.
I cittadini passivi, scrive Kant, se considerati come esseri umani, hanno diritto alla libertà e all'uguaglianza naturale - condizione, questa, che deve essere rispettata perché un popolo, con il passaggio alla società civile, si trasformi in uno stato. E entro lo stato hanno diritto a chiedere libertà naturale e uguaglianza come parti passive, ma non necessariamente anche come parti attive che contribuiscono alla sua organizzazione e legislazione, purché "qualsiasi tipo di leggi positive i cittadini votino, queste non debbano essere contro a quelle naturali della libertà e dell'uguaglianza ad essa conforme di tutti nel popolo, così che, cioè, siano in grado di elevarsi dalla condizione passiva a quella attiva" . 157
Se consideriamo le relazioni giuridiche che giustificano l'attribuzione dello status di cittadino passivo, possiamo sviluppare la condizione di Kant così:
il diritto di famiglia non deve contenere norme che impediscano a donne e minori di emanciparsi;
non possono essere avallati o istituiti vincoli di vassallaggio;
non possono essere approvate norme che impediscano ai servi di uscire dalla loro condizione.
Dal momento che la dipendenza per motivi anagrafici è provvisoria e quella vassallatica è contraria al diritto in senso stretto, il caso più interessante dei tre è quello della servitù, per la quale Kant aveva disegnato uno specifico diritto personale di tipo reale avendo in mente un'economia preindustriale basata sull'oikos. In un sistema industriale in cui l'economia esce di casa per diventare politica, negare il diritto di voto a tutti coloro che vendono la propria forza-lavoro e non un proprio prodotto o servizio comporterebbe l'esclusione dai diritti politici non solo dei servi di casa, ma di tutti gli operai - con il rischio che i padroni legiferino e facciano legiferare per la propria parte e non per tutto il popolo. Questo rischio non sarebbe affatto scongiurato se l'emancipazione del servo fosse semplicemente individuale, cioè se gli fosse concessa esclusivamente la libertà di mettersi in proprio e diventare padrone ma l'istituzione della servitù rimanesse inalterata.
Di più: se il passaggio alla società civile garantisce ma non istituisce il diritto, che è secondo ragione, come possono esservi due libertà, una naturale compatibile con una condizione di dipendenza e una legale basata su una versione politica, ma esclusiva, dell'autonomia?
E ancora: se si riconosce che la dipendenza del lavoratore, l'incapacità di indirizzare il proprio lavoro se non secondo gli ordini e il senso di altri, è sempre servile e tale da rendergli impossibile l'autodeterminazione politica, perché non porre anche la questione della democrazia economica? Perché dare per scontato che, come cittadino, possa autodeterminarmi o aspirare ad autodeterminarmi politicamente ma nell'economia, una volta divenuta o riconosciuta come politica, si debbano mantenere le servitù dell'oikos? 158
Queste domande, assenti nel testo di Kant, sono suggerite da una scrittura che sembra riprendere con una mano quello che offre con l'altra, mescolando però promiscuamente forme diverse di dipendenza, alcune delle quali già rappresentate come inaccettabili - lasciando nel lettore il dubbio se il filosofo si stia semplicemente contraddicendo, negando tesi che aveva affermato con forza nel §41, o, regnante ancora Federico Guglielmo II, stia occultando il suo pensiero per l'uso di lettori più attenti dei funzionari della censura.
I tre poteri dello stato sono autorità o dignità (Würden) di natura costituzionale. Non sono, cioè, uffici istituiti per questo o quello scopo pragmatico che possono essere aperti o chiusi secondo il bisogno, bensì componenti strutturali di uno stato giusto.
Non possono essere ridotti a strumenti accidentali perché determinano e delimitano il rapporto fra chi comanda (imperans) e chi ubbidisce (subditus). Ma chi comanda, in una costituzione fondata sulle leggi della libertà, vale a dire sulla legge morale, è il popolo unito, che esercita collettivamente il suo potere su se stesso in quanto moltitudine di individui, allo scopo di garantire a tutti e a ciascuno una pari libertà. I poteri dello stato meritano il nome di dignità proprio perché articolazioni essenziali di una costituzione legittima fondato sull'idea del contratto originario tramite il quale il "diritto secondo me" diviene "diritto secondo noi".
In un patto societario di diritto privato, gli individui cedono una parte della loro libertà per uno scopo che si propongono: così avviene, per esempio, quando alcune persone creano una cooperativa per costruire una casa, impegnandosi a dedicarvi una parte del loro tempo. Un simile contratto è un mezzo per un fine, che si può condividere o no. Il contratto originario, invece, istituisce lo stato giuridico per garantire a tutti la medesima libertà secondo una legge di cui tutti sono partecipi: non nasce cioè da un progetto che si può avere o no, ma rende possibile fare progetti a tutti coloro che sono in società. Così comporta la rinuncia totale alla libertà selvaggia del "diritto secondo me" che in caso di controversia si riduce alla legge del più forte, per assicurare una libertà integrale fondata sulla dipendenza da una legge che scaturisce dalla volontà legislatrice di tutti. Passare alla società civile e al "diritto secondo noi" è infatti l'unico modo per risolvere le controversie con il diritto e non con la forza. In questo senso, il patto costituzionale non è un mero mezzo per uno scopo - non è una soluzione per controversie particolari, come potrebbe essere un arbitrato di diritto privato - ma la condizione della risolvibilità di tutte le controversie possibili e dunque della perentorietà della legge stessa.
E non si può dire: "lo stato, l'essere umano nello stato, ha sacrificato una parte della sua innata libertà esterna per uno scopo" ma piuttosto "questi ha completamente abbandonato la sua libertà selvaggia e senza legge per ritrovare la libertà in generale inalterata nella sua dipendenza legale", cioè in uno stato giuridico, perché questa dipendenza deriva dalla sua propria volontà legislatrice.
I poteri dello stato sono reciprocamente coordinati e subordinati:
sono coordinati, perché ciascuno è complementare all'altro: la costituzione è un sistema e ciascuno dei tre poteri contribuisce a renderla completa;
sono subordinati, perché ciascun potere comanda nella sua qualità di persona particolare ma alle condizioni dettate dalla volontà di una persona superiore: il potere legislativo fa le leggi, ma non può né applicarle, né dirimere le controversie intorno a esse; il potere esecutivo le applica, ma è subordinato alla legge e alle sentenze dei giudici; il potere giudiziario decide sulle controversie, ma sulla base di leggi scritte dal potere legislativo e con la forza del potere esecutivo.
Coordinazione e subordinazione garantiscono, assieme, il diritto dei cittadini perché offrono, per ogni rivendicazione, un legislatore, un esecutore e un giudice, ma in modo tale che a ciascuno di essi sia difficile prevaricare sugli altri in modo tale che il "diritto secondo noi" della volontà generale si ritrasformi nell'imposizione di un "diritto secondo me" come nello stato di natura. La volontà generale, in altre parole, si articola in una sovranità non monocratica, bensì distribuita. Per questo, anche gli attributi della sovranità sono distribuiti fra i poteri e non concentrati in uno solo: il potere legislativo è irreprensibile, quello esecutivo irresistibile e quello giudiziario, almeno nel suo grado supremo, inappellabile. Se prendiamo il testo di Kant alla lettera, ne segue che il potere legislativo è resistibile e appellabile, quello esecutivo reprensibile e appellabile, quello giudiziario reprensibile e resistibile.
Con un progressione che si ritrova anche nella Pace perpetua, Kant dedica il primo capoverso alla definizione del potere esecutivo, il secondo alla sua distinzione dal potere legislativo, com'era originariamente in De l'esprit des lois (IX, 6) e i capoversi successivi alla definizione del potere giudiziario. Solo l'ultima capoverso specifica questa partizione come tripartizione.
Il reggente di uno stato (rex, princeps) è la persona morale o fisica a cui spetta il potere esecutivo. Quando è una persona fisica - suggerisce implicitamente il testo - il reggente è un monarca 159 morale prende il nome di direttorio 160 o governo.
Il potere esecutivo opera come un agente dello stato che:
nomina i magistrati;
prescrive al popolo le regole secondo le quali ciascuno può acquisire o conservare qualcosa legalmente, sussumendo il caso particolare sotto la legge.
Il termine "magistrati" qui si riferisce, genericamente, ai funzionari dell'amministrazione dello stato (gubernatio), che operano sotto il controllo di ministri. I comandi del governo non sono leggi, bensì decreti e ordinanze, revocabili, che decidono, per sussunzione, solo di casi particolari.
Un governo che fosse anche legislatore sarebbe dispotico, perché negherebbe il principio della libertà legale dei sudditi, costringendoli sotto leggi a cui non hanno dato il loro assenso. Ciò lo renderebbe paterno (väterlich) ma non patriottico (vaterländisch): i cittadini verrebbero trattati come bambini, invece che come possessori di se stessi 161 indipendenti dalla volontà assoluta di qualcun altro. Quando potere esecutivo e potere legislativo sono separati abbiamo un regimen civitatis et patriae: i cittadini sono certo anche membri di una famiglia - di una collettività in cui si nasce e di cui si diviene parte senza averlo scelto - ma sono anche riconosciuti come esseri liberi in quanto partecipano alla legislazione.
Il legislatore a sua volta, che pure Kant chiama sovrano del popolo, non può essere allo stesso tempo il suo reggente,il quale è sottoposto alla legge e tramite essa obbligato. Il potere legislativo può cambiare la struttura del governo e può anche destituire il governante, ma non può punirlo, perché l'esercizio della facoltà di costringere è una prerogativa del potere esecutivo, il quale dunque può costringere senza essere costretto. Questo, secondo Kant, è il solo senso del detto inglese "the king can do no wrong" (rex non potest peccare).
Kant connette la parola sovranità al potere legislativo, ma applica invece al potere esecutivo la dottrina dell'immunità sovrana, distribuendo dunque, pluralisticamente, le prerogative della sovranità fra i poteri dello stato.
Il potere legislativo 162 e il potere esecutivo possono insediare giudici in quanto magistrati o funzionari dello stato, ma non possono propriamente giudicare, nel senso di stabilire la colpevolezza o l'innocenza di chi si presenta loro davanti.
La sentenza è un atto singolare di giustizia distributiva compiuto da un funzionario dello stato - un giudice o un tribunale - nei confronti di un membro del popolo, che subisce passivamente l'applicazione della legge. Se ad assegnare ciò che spetta a ciascuno fosse un funzionario del potere legislativo o del potere esecutivo, i membri del popolo sottoposti a giudizio sarebbero sudditi e non partecipi del proprio diritto. Perciò deve essere il popolo a giudicare se stesso, tramite i suoi rappresentanti che compongono le giurie, col compito di stabilire se l'imputato è colpevole o innocente. Spetta dunque a giurie composte da giudici popolari compiere la sussunzione, che è la parte del sillogismo giudiziario più delicata, perché richiede l'uso del Giudizio.
Tramite i tre poteri, lo stato ha la sua autonomia, cioè si costituisce e conserva secondo la legge morale, vale a dire sulla garanzia della libertà di tutti. Kant usa la parola "autonomia" perché se i poteri non fossero divisi lo stato sarebbe dispotico, perché guidato da una volontà particolare anziché da quella generale di tutti i cittadini. Per questo la salute dello stato non consiste nella sua capacità di promuovere la (presunta) felicità dei sudditi, come potrebbe fare un dispotismo o lo stato di natura, 163 ma nell'unione dei tre poteri, la quale garantisce la sua conformità al diritto in quanto componente della legge morale.
[ 150 ] Nel senso di "situazione" o "condizione" civile.
[ 151 ] Gemeines Wesen (cosa comune) corrisponde all'inglese commonwealth.
[ 152 ] La provvisorietà - spiega Kant nell'annotazione al § 44 - non riguarda i contenuti delle leggi del mio e del tuo esterno, bensì la carenza di giustizia distributiva delle loro condizioni di applicazione: se infatti si sostenesse che queste leggi non valgono neppure provvisoriamente, la società civile sarebbe una costruzione solo di potere e non di diritto. Per un giusnaturalista l'esperimento intellettuale dello stato di natura non può rappresentare una condizione senza legge, bensì solo una condizione in cui leggi riconosciute secondo ragione mancano però di garanzie.
[ 153 ] Rousseau, nel II capitolo del Contratto sociale, rappresenta la sovranità come indivisibile, contro il costituzionalismo di Locke e Montesquieu (v. la nota 61 alla traduzione di Roberto Gatti, 2005).
[ 154 ] Contratto socialeII.II, traduzione di R.Gatti, corsivi aggiunti.
[ 155 ] Per questo la loro esistenza, scrive Kant, può essere detta inerenza. L'inerenza è il modo di esistere degli accidenti, determinazioni cangianti che si avvicendano in una sostanza la quale invece permane nel modo della sussistenza (Critica della ragion pure, Ak, III, 165).
[ 156 ] Il fabbro, il falegname, il maestro di scuola e l'affittuario, anche se compiono prestazioni lavorative analoghe, sono indipendenti perché offrono un proprio prodotto o servizio sul mercato, anziché lavorare agli ordini altrui.
Il livello si differenziava dall'affitto di un fondo agricolo perché comportava un rapporto di vassallaggio feudale che obbligava il livellario alla fedeltà e alla prestazione di alcuni servizi.
[ 157 ] Questa distinzione è presente nella cosiddetto costituzione francese dell'anno III, introdotta nel 1795 dopo la reazione termidoriana che aveva posto fine al Terrore. "Secondo la nuova costituzione, il Parlamento era diviso in due assemblee. La prima camera, il Consiglio dei Cinquecento, proponeva i testi delle leggi all’altra, il Consiglio degli Anziani, che li approvava o li respingeva. La Francia optava dunque per il bicameralismo, ma in un senso molto originale, che non è stato piú imitato: uno dei due rami del Parlamento aveva il potere legislativo, e l’altro quasi solo il compito tecnico della redazione dei testi. Questo Parlamento era eletto a suffragio indiretto e censitario, un po’ come era stato previsto dalla costituzione monarchica del 1791. Il potere esecutivo andava ad un Direttorio di cinque membri. I cinque «direttori» erano designati dalla camera alta, gli Anziani, in una rosa proposta dal Consiglio dei Cinquecento. Ogni anno il Consiglio degli Anziani ne designava uno, e quindi ciascuno restava in carica cinque anni. Il Direttorio nominava i ministri, suoi esecutori subordinati, ma non controllava le finanze che erano gestite da una Tesoreria nominata dal potere legislativo. La nuova repubblica francese non era quindi un regime parlamentare all’inglese, nel senso che l’esecutivo non esprimeva necessariamente la maggioranza parlamentare, e non si dimetteva se si trovava in contrasto col potere legislativo. Infatti il corpo elettorale scivolò a destra, esausto com’era dalla rivoluzione, e le camere ebbero presto una maggioranza monarchica, mentre il Direttorio, che si rinnovava lentamente, rimase repubblicano e in minoranza nel Parlamento e nel paese, e fu perciò indotto ad appoggiarsi sull’esercito per governare." Adriano Prosperi, Paolo Viola, Storia moderna e contemporanea, II, Torino, Einaudi, 2000, XI.11.
[ 158 ] "Today the scientific and ethical boundaries of our industrial activities are not in the hands of scientists, teachers, and thinkers; nor is the intervening opportunity for decision left in the control of the public whose welfare such decisions guide. On the contrary, the control of industry is largely in the hands of a powerful few, who decide for their own good and regardless of the good of others. [...] Must industry rule men or may men rule even industry? And unless men rule industry, can they ever hope really to make laws or educate children or create beauty?" (W.E.B. Du Bois, Darkwater, Voices from within the veil, New York, Harcourt, Brave & Howe, 1920, fine capitolo VI)
[ 159 ] Si veda la nota, apparentemente frivola, del Detto comune che nega il titolo di "grazioso signore" ai monarchi, che tutt'al più sono titolari del potere esecutivo.
[ 160 ] Kant usa il termine Directorium, con un riferimento abbastanza chiaro al direttorio, che in Francia, sotto la costituzione dell'anno III (1795), detenne il potere esecutivo fra il 1795 e il 1799.
[ 161 ] Qui si sta parlando dell'elemento reale proprio del diritto dei genitori sui figli minori, che è un diritto personale di specie reale, e che nel regime patriottico rimane in capo ai cittadini.
[ 162 ] Sia la costituzione francese del 1791, monarchico-costituzionale, sia la democratica costituzione dell'anno I (1793), sia quella liberale dell'anno III prevedevano l'elettività dei giudici.
[ 163 ] Così suggeriva Rousseau nel suo Discorso sull'origine della disuguaglianza.
Immanuel Kant, La metafisica dei costumi
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
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