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Sappiamo già che i diritti oggetto del diritto privato sono perentori esclusivamente in una società civile. Per questo, il diritto di natura conoscibile razionalmente e a priori da ogni essere umano comprenderà due forme di giustizia:
la giustizia commutativa, che vale negli scambi reciproci fra le persone
la giustizia distributiva, il cui ruolo è assicurare a ciascuno il mantenimento di quanto gli spetta di diritto
La necessità di uscire dallo stato di natura per assicurare a ciascuno ciò che gli spetta tramite la sentenza di un giudice terzo fra le parti appartiene al diritto secondo ragione, e non al diritto statutario, esito di legislazione positiva - anche se in concreto ciascuna istituzione giudicante sarà organizzata sulla base di norme di diritto positivo. Ma questo aspetto non viene qui considerato, perché si sta costruendo un modello indipendente dall'esperienza: qui basta sapere che la corte di giustizia (forum) che opera come tribunale che produce giudizi è una persona morale - cioè non fisica ma giuridica.
La corte di giustizia, però, anche se rappresentata idealmente, assume la prospettiva del diritto pubblico e non quella del diritto privato: ci può dunque essere un contrasto fra quanto, in una situazione in cui il tribunale non c'è, ciascuno giudica per conto suo e quanto invece è diritto davanti a un tribunale. Il tribunale, infatti, non può andare oltre ciò che è pubblicamente conoscibile: il suo verdetto può dunque in alcuni casi essere diverso da quanto sarebbe giusto in sé.
Nei paragrafi successivi Kant analizza quattro casi (donazione, comodato, rivendicazione di una cosa perduta, giuramento) in cui i giudizi sono diversi e contrapposti, allo scopo di evitare il vitium surreptionis comune fra i giuristi, i quali identificano con il giusto in sé, in senso oggettivo, il principio giuridico di cui il tribunale, per i propri limiti soggettivi, ha facoltà o è talvolta obbligato a far uso.
Subreptio è letteralmente l'atto di sottrarre di nascosto qualcosa. Nel linguaggio del diritto romano tardo indica l'introduzione di prove false in un procedimento legale. Nella tradizione razionalistica in cui si formò Kant designa più in generale la confusione fra le condizioni dell'esperienza e le condizioni di possibilità di un oggetto: in questo caso, dunque, fra le condizioni in cui si trova a giudicare una corte di giustizia e le condizioni del giusto in se stesso. 143
La donazione consiste in un contratto gratuito nel quale regalo ad altri una cosa o un diritto che mi appartiene. Anche se non c'è uno scambio, la donazione richiede un contratto perché il donatario deve accettare il regalo da parte del donatore. Tuttavia, dal momento che la donazione è un gesto di generosità unilaterale, non si può presumere che un donatore che cambia idea debba essere costretto a consegnare il suo dono (nemo suum iactare praesumitur) - cioè che un comportamento spontaneo e gratuito si trasformi in un atto obbligato.
Tuttavia, nello stato civile, una corte di giustizia non può fare presunzioni sulle intenzioni del donatore e deve considerare solo ciò che è certo, cioè la promessa del donatore e l'accettazione del donatario, e tratterà la donazione come un qualsiasi altro contratto, vale a dire riconoscerà al donatore la facoltà di recedere solo se è stata esplicitamente concordata nel patto di donazione.
Il contratto di comodato o prestito è un contratto gratuito con il quale io autorizzo qualcuno a usare qualcosa di mio senza pretendere un corrispettivo. Quando do in prestito una cosa pare scontato presumere che, nel momento in cui ne lascio l'uso a qualcun altro, non mi debba accollare anche la garanzia per eventuali danni subiti dall'oggetto mentre viene adoperato dal comodatario. Se per esempio prestassi a qualcuno un impermeabile per ripararsi dalla pioggia e questo, durante l'uso, venisse danneggiato o rubato, non si vede perché dovrei essere io ad accollarmene i danni, a meno che non l'abbia esplicitamente pattuito al momento del prestito.
Una corte di giustizia, invece, si trova a decidere, in mancanza di accordi espliciti, su un contratto incerto e su un consenso da parte del comodatario soltanto presunto: pertanto, quando nulla è stato pattuito in merito, considera solo chi è il proprietario della cosa prestata e fa pertanto ricadere il danno sul comodante e non sul comodatario. Anche qui, come nel caso della donazione, non perché sia di per sé giusto così, ma perché un giudice, dall'esterno, non può fare presunzioni sulle intenzioni di ciascuna delle parti.
In relazione a una cosa durevole nel tempo, la differenza fra diritto reale e diritto personale consiste nella circostanza che, quando godo del primo, posso rivendicare la cosa contro ogni possessore, cioè contro chiunque, diverso da me, si trovi a detenerla. Quando godo solo del secondo posso compiere questa rivendicazione solo nei confronti di una persona determinata. 144
Il diritto reale sulla cosa mi spetta, anche se non la tengo costantemente in mano, finché non me ne privo con un atto giuridico (alienazione o abbandono). Rimane però da capire se quando smarrisco la cosa e la ritrova qualcuno in buona fede ed è acquistata da chi non ne è il proprietario, posso reclamarla come mia conservando il diritto reale verso tutti, oppure mi rimane solo il diritto personale di rivalermi su chi l'ha venduta credendola propria.
Nello stato di natura chi compra qualcosa da chi non è proprietario (a non domino), per quanto la transazione possa essere avvenuta regolarmente e in un mercato in cui l'acquirente non poteva aver motivo di sospettare dell'irregolarità del titolo del venditore, non detiene un diritto reale legittimo secondo la giustizia commutativa, bensì solo un diritto personale di rivalersi su chi gli ha trasferito l'oggetto senza esserne proprietario. A rigore, dunque, nello stato di natura chi acquista dovrebbe controllare se il venditore è effettivamente proprietario di ciò che offre e, siccome è impossibile risalire l'intera serie dei sedicenti proprietari fino ad arrivare al proprietario originario, allora nessuna scambio di cose esterne può fondare un acquisto sicuro.
Dal punto di vista della giustizia distributiva, cioè di una corte di giustizia istituita nella società civile, la questione cambia: mentre nello stato di natura la provvisorietà è normale, la situazione civile è tale e si legittima nella misura in cui riconosce a ciascuno un possesso perentorio. Un diritto che allo stato di natura rimane meramente personale perché non si può rintracciare il proprietario originario qui si trasforma, per postulazione, in reale, a condizione che le forme dell'acquisizione siano state rispettate entro un mercato regolare. Il proprietario della cosa perduta, qui, non recupera il suo diritto reale ma gli viene riconosciuto solo il diritto personale di rivalersi nei confronti di chi ha alienato l'oggetto da lui perduto e da questi ritrovato.
Questo principio, pensato a favore della giustizia distributiva, è comunque per Kant puro e priori, e in grado di legittimare le varie norme di diritto positivo che lo sviluppano: se i tribunali assegnassero a ciascuno ciò che gli spetta in via soltanto provvisoria non ci sarebbe differenza fra società civile e stato di natura.
Non possiamo essere obbligati giuridicamente a credere in un Dio e a professare che esista, se non nel caso del giuramento con il quale, davanti a una corte di giustizia, ci impegniamo a dire la verità e a mantenere le promesse invocando, per l'eventuale trasgressione, la vendetta di una potenza superiore onniveggente. Per Kant questa pratica non ha a che vedere né con la moralità né con la religione, ma solo con la superstizione delle parti in causa. 145 Dovrebbe infatti essere chiaro, almeno per chi è onesto, che il dovere della veridicità è massimamente sacro, quando si discute del diritto degli esseri umani.
Questa usanza superstiziosa e immorale pare però indispensabile nell'amministrazione della giustizia perché la corte possa accertare fatti tenuti segreti ed emanare sentenze. Ma in base a che cosa sono obbligato a riconoscere il giuramento altrui come prova giuridicamente valida? Come faccio a sapere se chi giura ha un senso religioso interiore tale da poter affidare il mio diritto al suo giuramento? E in base a che cosa è lecito essere costretti a giurare?
Nello stato civile, davanti a una corte di giustizia, si deve assumere che tutti abbiano una religione che, in caso di emergenza (in casu necessitatis) possa essere usata come strumento di tortura spirituale per scoprire segreti. E tuttavia il potere legislativo, concedendo al potere giudiziario la facoltà di costringere a giurare, agisce ingiustamente, perché in violazione del diritto alla libertà. Kant considera equivoco ogni diritto fondato sulla necessità: anche in questo caso, lo strumento di costrizione, che interferisce con la libertà della coscienza e funziona solo su persone superstiziose e poco oneste, non è affatto in grado di costringere tutti allo stesso modo. 146
Lo stato giuridico 147 è quella relazione reciproca fra gli esseri umani che contiene le condizioni alle quali soltanto ciascuno può essere partecipe del proprio diritto.
Per essere partecipi del proprio diritto non basta far parte di un'unione civile (unio civilis) nella quale c'è qualcuno che comanda (imperans) e qualcun altro che è suddito: qui non c'è partecipazione perché i sudditi sono subordinati a chi comanda, e la legge dell'unione non è la legge di tutti, ma semplicemente quella che chi comanda impone a chi ubbidisce. Si diventa partecipi del proprio diritto solo se si è compagni o soci di una società di uguali sottoposti a leggi comuni, la cui costrizione non è unilaterale, bensì reciproca e pervasiva. Una società di disuguali, non composta da compagni bensì da superiori e inferiori, non è ancora una società allo stato giuridico.
Per avere una legge comune non basta una volontà legislatrice particolare - quella che chi comanda impone ai sudditi - ma occorre una volontà legislatrice universale, tale che tutti gli esseri razionali possano riconoscere come propria: lo stato giuridico non è in primo luogo una condizione di potere pubblico, bensì di giustizia pubblica, che si suddivide come illustrato nella tabella qui sotto.
| Giustizia | Categoria della modalità | Legge |
|---|---|---|
| Iustitia tutatrix (giustizia tutelare) | possibilità | Lex iusti |
| Iustitia commutativa (giustizia dell'acquisizione reciproca) | effettualità | Lex iuridica |
| Iustitia distributiva | necessità | Lex iustitiae |
La giustizia dello stato giuridico non è una giustizia di persone bensì di istituzioni. Nella sua forma tutelare è la giustizia della legislazione che stabilisce la possibilità del possesso degli oggetti sulla base del principio della lex iusti, vale a dire la protezione della libertà e dignità dell'essere umano in quanto portatore di propri progetti e dunque non interamente strumentalizzabile al servizio di progetti altrui; nella sua forma commutativa rende effettuale questo possesso negli scambi e negli accordi fra i soggetti di diritto privato; nella sua forma distributiva lo rende infine necessario tramite la sentenza di un giudice terzo fra le parti dotato di potere coercitivo, che stabilisce nei casi particolari che cosa è conforme alla legge data.
Allo stato giuridico o civile si contrappone quello naturale: entrambe le condizioni sono sociali, ma con una differenza. Allo stato di natura possiamo immaginare molte società - coniugali, patriarcali, domestiche e di altro tipo - in nessuna delle quali, però, si è giuridicamente obbligati a entrare. Viceversa, tutti coloro che hanno o possono avere rapporti di diritto con gli altri devono entrare nella società civile, e lo devono fare a priori, perché le situazioni in cui gli esseri umani riconoscono il diritto e addirittura si associano in società ad adesione volontaria sono certamente situazioni di diritto privato, ma, proprio per il carattere solo volontario dell'adesione a esse, non sono in grado di offrir loro una garanzia perentoria e valida per tutti. Lo stato civile o stato di diritto pubblico non introduce doveri ulteriori: si limita a dare una forma giuridica alla coesistenza degli esseri umani tramite una costituzione pubblica.
Kant interpreta la distinzione fra giustizia commutativa e distributiva - fra giustizia dei contratti e quella del tribunale - in un senso istituzionale e non personale sulle tracce di un'innovazione proposta da Hobbes nel XV capitolo del Leviatano. 148 E però vi aggiunge la iustitia tutatrix, che corrisponde all'honeste vive a tutela del principio della libertà: in un sistema di risorse umane strumentalizzate e disposte a farsi strumentalizzare, nel quale la libertà fosse un impedimento e non un principio, un ordinamento giuridico effettuale garantito da un potere giudiziario efficiente sarebbe solo una macchina di costrizione sociale e non anche un sistema di tutela della dignità degli esseri razionali: rimarrebbe, perciò, privo di legittimità e dunque strutturalmente precario perché fondato sulla forza e non sul diritto secondo ragione.
Quando non puoi evitare di vivere fianco a fianco con altri, devi uscire insieme a loro dallo stato di natura per passare a uno stato giuridico, cioè a uno stato di giustizia distributiva.
Kant chiama questa formula postulato del diritto pubblico, e chiede di accettarlo perché deriva analiticamente dal concetto del diritto in quanto opposto alla violenza: senza l'istituzione di un giudice terzo fra le parti dotato di potere coercitivo nessuna controversia sarebbe risolvibile secondo il diritto invece che secondo la forza.
Per rendersi conto che lo stato di natura è sempre uno stato di guerra almeno potenziale non occorre esperirla in atto. Quando il diritto è senza garanzie, nessuno dei miei vicini può assicurarmi che rispetterà il mio possesso, essendo in ogni momento in grado di usare la forza, e dunque anch'io, da parte mia, non posso esser tenuto a dar loro una simile assicurazione.Perché mai dovrei farlo, se non c'è reciprocità?
A rigore, chi ricorre alla violenza in uno stato di natura privo di una legge pubblicamente riconosciuta non commette ingiustizia, ma si comporta come se avesse concluso un patto con tutti gli altri: se tu puoi usare la violenza contro di me, anch'io posso fare lo stesso contro di te. 149 E tuttavia accettare questa reciprocità e restare nello stato di natura è in generale (überhaupt) l'ingiustizia più grande perché significa preferire e perpetuare il regno del sopruso contro quello del diritto. Materialmente - spiega Kant in una nota - se intendiamo la giustizia come un bilanciamento di atti particolari, il nemico che, per esempio, viola le condizioni della resa attaccando gli assediati mentre lasciano disarmati la fortezza non potrà lamentarsi di subire ingiustizia se gli avversari faranno poi lo stesso con lui: ma se consideriamo le condizioni formali o strutturali della giustizia questo comportamento è radicalmente ingiusto perché non solo non rispetta un patto, ma, rifiutando di entrare in un sistema pubblico di garanzie, abbandona il mondo alla violenza selvaggia perché distrugge in radice la stessa possibilità di un diritto degli esseri umani. 150
[ 143 ] Sarebbe, per esempio, un errore di surrezione sostenere che lo ius necessitatis rende giusto uccidere un innocente per salvarsi la vita, invece di riconoscere che esso va riconosciuto in situazioni in cui il diritto è inefficace perché non dispone di sanzioni sufficientemente deterrenti.
[ 144 ] Si veda per esempio il principio "l'acquisto interrompe l'affitto" menzionato anche nel §31, II parte: se il contratto non ha previsto diversamente, il diritto reale passa a una persona diversa dall'affittante che non ha nessun vincolo contrattuale con l'affittuario e che può sfrattarlo anzitempo; l'inquilino può rivalersi per l'interruzione del contratto, chiedendo un risarcimento, solo con il precedente proprietario, nei confronti del quale gode non di un diritto reale su ciò che aveva preso in affitto, bensì solo di un diritto personale. Il diritto reale del nuovo proprietario vale verso tutti, inquilino compreso; il diritto personale dell'inquilino vale solo nei confronti del proprietario precedente, il quale alienando la cosa si è reso inadempiente nei suoi confronti.
[ 145 ] Kant paragona i giuramenti europei al costume dei Rejang, che giurano sulle ossa degli antenati defunti pur non credendo affatto in una vita oltre la morte, o delle popolazioni della Guinea che giurano su feticci.
[ 146 ] I giuramenti d'ufficio, richiesti quando si assume una carica, sono promissori: il funzionario - nota Kant nell'appendice casistica - promette di fare scrupolosamente il suo dovere, con la prospettiva di poter invocare eventuali ostacoli imprevisti a propria scusante. Un giuramento assertorio sarebbe invece assai più inquietante, perché impegnerebbe a sostenere che tutto quanto si è compiuto è ineccepibile. Il giuramento che consiste nella professione di una fede o di una credenza è invece inaccettabile: il credere si trova a metà strada fra l'opinione e il §sapere, e comporta un grado di convinzione per la quale si può al massimo scommettere ma su cui non si potrebbe seriamente dare la propria parola, anche perché è sempre possibile che quanto ci pare verosimile ora domani, da un altro punto di vista, ci sembri invece inverosimile.
[ 147 ] Nel senso di situazione o condizione giuridica.
[ 148 ] V. S.Byrd e J.Hruschka cit. (Appendix to ch. 2).
[ 149 ] Si confronti, a questo proposito, quanto scrive Kant nel Detto comune a proposito della resistenza a chi pretende di legittimare il suo potere solo con la forza
[ 150 ] Si confronti questo ragionamento con la duplice posizione che Kant assume sulla menzogna a seconda che sia privatistica o pubblicistica.
Immanuel Kant, La metafisica dei costumi
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