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Nella Critica della ragion pura (Ak III 79) Kant scrive che la domanda "Che cos'è la verità?" è stata usata fin dall'antichità per mettere in difficoltà i logici, costringendoli o a una diallele - cioè a una definizione che, per essere vera, deve presupporre che il suo oggetto sia già noto - o alla confessione della loro ignoranza. 57 Un ruolo simile, per i giuristi, è giocato dalla domanda "Che cos'è il diritto?". È possibile darle una risposta che non sia una tautologia o un rinvio alle norme particolari di un paese particolare?
Per i giuristi è facile rispondere alla domanda "Quid iuris?" indicando, positivisticamente, le leggi in vigore in un certo luogo o in un certo tempo. Una simile risposta, però, non dice affatto quale sia il criterio universale che ci permette di conoscere lo iustum et iniustum, cioè il giusto e l'ingiusto in senso giuridico. Una dottrina del diritto solo empirica è senza cervello, come la maschera tragica della favola di Fedro: raccoglie molte leggi vigenti ora o in passato, ma non sa chiarire perché sono leggi e perché sono giuste.
In una prospettiva giusnaturalistica le questioni di che cosa sia lo ius e di che cosa sia lo ius-tum tendono a convergere, perché il diritto secondo ragione è anche il fondamento che rende giusta - e quindi giuridica - la legislazione positiva. 58 Stando così le cose, non è possibile definire il diritto sulla base delle leggi esistenti: bisogna cercare nella ragione, a priori, il criterio in virtù del quale le diciamo ius-tae.
La definizione di Kant presuppone un'obbligazione giuridica costruita sul diritto in quanto parte della morale e si ottiene con i seguenti passi:
il diritto riguarda esclusivamente il rapporto esterno e pratico fra le persone, in quanto le loro azioni possono influenzarsi a vicenda; si occupa, in altre parole, solo delle azioni esteriori di ciascuno - non della vita interiore - quando possono interferire con le azioni altrui;
il diritto si occupa del rapporto dell'arbitrio di ciascuno con quello di ogni altro, lasciando fuori bisogni e aspirazioni. Il suo carattere esterno, in altri termini, limita il suo ambito alla facoltà che ci fa passare all'azione;
negli arbitrii in reciproco rapporto, il diritto non considera la materia, ossia gli scopi personali di ciascuno, ma solo la forma, ossia la libertà. Detto più semplicemente, al diritto non interessa se, per esempio, in una transazione commerciale una parte non tragga profitto da una certa merce che aveva acquistato da me; gli interessa, però, sapere se la transazione sia avvenuta liberamente, senza essere viziata da truffe e ricatti. Nel primo caso, la controversia si dovrebbe dirimere facendo uso della vaga dottrina della felicità; nel secondo, invece, è possibile contare su criteri formali.
La definizione del diritto, pertanto, sarà: il complesso delle condizioni per le quali l'arbitrio dell'uno può associarsi con l'arbitrio dell'altro secondo una legge universale della libertà. In altre parole: data una pluralità di soggetti che agiscono arbitrariamente influenzando, ciascuno, il campo di azione altrui, il diritto è il sistema di regole necessario a coordinarli in modo da garantire a ognuno un uguale spazio di libertà.
[ 57 ] In Ak III 79-80 Kant risponde alla domanda accettando la tradizionale definizione nominale della verità come accordo della conoscenza con il suo oggetto. Una simile definizione, tuttavia, non è in grado di offrire un criterio universale di verità: una conoscenza infatti è vera quando si accorda con l'oggetto a cui si riferisce, distinto dagli altri oggetti, e non semplicemente quando contiene affermazioni che potrebbero valere per qualcosa di diverso da quanto inteso. Rispetto alla materia, cioè ai contenuti di conoscenza in quanto riferiti agli oggetti particolari, è dunque insensato richiedere un criterio di verità che valga indipendentemente da ciascuno di essi. Di contro, dal punto di vista della forma, la logica è in grado di indicare le regole generali del pensiero: questo è un criterio necessario di verità - una asserzione contraddittoria non può infatti essere vera - ma, proprio in quanto formale, non è sufficiente. Infatti una conoscenza potrebbe essere perfettamente coerente e tuttavia completamente sbagliata rispetto all'oggetto a cui si riferisce.
I limiti del formalismo non valgono, invece, nel rispetto pratico - Kant, come vedremo, costruisce una definizione di diritto basata sul postulato della libertà - perché la ragione è in grado di offrire un criterio a priori.
[ 58 ] Il giusnaturalismo si distingue dal giuspositivismo proprio perché il suo diritto è ius quia iustum (diritto perché giusto) e non ius quia iussum (diritto perché imposto).
Immanuel Kant, La metafisica dei costumi
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at https://btfp.sp.unipi.it/dida/kant_mds