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Ultima modifica: 27-02-2022
Il frammento Über die innere und äussere Organisation der höheren wissenschaftlichen Anstalten in Berlin fu composto da Wilhelm von Humboldt nel periodo fra il 1809 e il 1810, mentre era - pur avendo accettato l'incarico con molta riluttanza 1 - direttore della sezione del ministero degli interni prussiano dedicata al culto e all'istruzione. Incompiuto e inedito, conobbe fortuna e fama solo a partire dalla fine del XIX secolo, quando lo storico Bruno Gebhardt lo riscoprì in un archivio. La mozione ufficiale che condusse alla fondazione dell'università di Berlino e alla riforma dell'università prussiana fu invece l'Antrag auf Errichtung der Universität Berlin, indirizzato a Federico Guglielmo III, la quale suggeriva di rendere l'università finanziariamente indipendente dal potere esecutivo tramite la concessione di beni demaniali 2 e la contribuzione della cittadinanza. 3
Paradossalmente, dunque, questo scritto è divenuto noto soltanto in concomitanza con l'inizio di una crisi che ha condotto alla demolizione dell'università humboldtiana e alla sua trasformazione in un'azienda capitalistica di stato, i cui docenti sono per lo più proletarizzati e i cui studenti sono clienti - crisi di cui Max Weber, già nel 1917, appariva consapevole. 4
Possiamo ora osservare con chiarezza che da noi il più recente sviluppo della struttura universitaria procede, in vasti settori della scienza, nella direzione di quella americana. I grandi istituti di medicina o di scienze naturali sono imprese di “capitalismo di stato”. Non possono venir amministrati senza cospicui mezzi imprenditoriali. E anche qui si presenta la medesima situazione che si ha dove s’insedia l’impresa capitalistica, cioè la “separazione del lavoratore dai mezzi di produzione”. Il lavoratore, vale a dire l’assistente, è vincolato agli strumenti di lavoro che sono messi a sua disposizione dallo stato; in conseguenza di ciò egli viene a dipendere dal direttore d’istituto allo stesso modo dell’impiegato in una fabbrica – infatti il direttore s’immagina, in perfetta buona fede, che l’istituto sia «suo» e lo governa a piacimento – e la sua posizione è spesso precaria al pari di qualsiasi esistenza «proletaroide» o dell’assistente di un’università americana.
La nostra vita universitaria tedesca si va americanizzando, come la nostra vita in generale, in punti molto importanti, e questo sviluppo – ne sono convinto – si estenderà in seguito anche a quelle discipline dove, come avviene ancor oggi in larga misura nella mia, l’artigiano stesso possiede lo strumento di lavoro (essenzialmente la biblioteca), in modo del tutto corrispondente al vecchio artigiano nell’ambito del suo mestiere. Lo sviluppo è in pieno corso.
I vantaggi tecnici sono del tutto indiscutibili, come in tutte le imprese capitalistiche e al tempo stesso burocratizzate. Ma lo “spirito” che in esse domina è ben diverso dall’atmosfera tradizionale delle università tedesche. C’è un abisso quanto mai profondo, esteriormente e interiormente, tra il dirigente di una grande impresa universitaria di stampo capitalistico e il solito ordinario di vecchio stile – anche nell’atteggiamento interiore. Ma non vorrei qui soffermarmi ulteriormente su questo punto. Tanto all’interno quanto all’esterno l’antico ordinamento universitario è diventato fittizio. Ma è rimasto, e anzi si è sostanzialmente accresciuto, un elemento proprio della carriera universitaria: che un libero docente del genere, e per di più un assistente, riesca finalmente a insediarsi nella posizione di ordinario e perfino di direttore d’istituto, è una questione che dipende soltanto dal caso. Certamente, non domina soltanto il caso, ma esso domina tuttavia in misura insolitamente elevata. Non conosco quasi altra carriera sulla terra in cui abbia un ruolo così grande. 5
Per Weber il docente universitario è esposto, come tutti coloro che sono chiusi nella gabbia d'acciaio del sistema capitalistico, alla precarietà e all'alienazione: come per l'operaio in catena di montaggio, anche per il ricercatore sono altri a stabilire il senso e la destinazione di un lavoro che ha smesso di essere suo, perché non è più lui a scegliere che cosa cercare, in che modo cercarlo e in che modo comunicarlo. 6
In arancione, la Prussia dopo la pace di Tilsit
Il frammento di Humboldt è stato variamente ripreso in mano, nel corso del XX secolo, allo scopo di rivendicare la libertà della ricerca e delle didattica universitaria. 7 Ma la sua stessa redazione si colloca in un momento di crisi: Humboldt, sebbene liberale, era infatti funzionario di una monarchia assoluta di ancien régime costretta ad auto-riformarsi perché investita da un impero che, all'epoca, poteva passare per una prepotente forza modernizzatrice. La Prussia di Federico Guglielmo III, sconfitta da Napoleone a Jena e ad Auerstädt, aveva infatti dovuto sottomettersi all'umiliante pace di Tilsit, che l'aveva privata della porzione occidentale del suo territorio dove avevano sede le sue università più grandi.
L'università, a sua volta, era affetta - non soltanto in Germania - da una crisi ormai secolare. 8 Dell' istituzione originaria, l'università (universitas magistrorum et scholarium) ormai conservava soltanto il nome, avendo da tempo perso l'autonomia resa possibile dal pluralismo giuridico medioevale 9 per finire assoggettata allo stato, alla chiesa o alle élite locali. Per quanto un professore universitario, Martin Lutero, 10 sia stato all'origine di una delle grandi rivoluzioni dell'età moderna, la Francia rivoluzionaria e imperiale preferì adottare, per la formazione delle sue classi dirigenti, un sistema di grandes écoles, la prima delle quali fu l'Ècole polytechnique, pensate come immediatamente funzionali all'interesse dello stato. Fra queste due opzioni, una non più praticabile senza il pluralismo giuridico medioevale, l'altra controproducente - se s'identificava la causa dell'arretratezza della Prussia con la sua mancanza di libertà - Humboldt inventò una terza via.
La genialità della proposta di Wilhelm von Humboldt, concretatasi nel 1808-10 con la fondazione dell’Università di Berlino, consisteva nell’inserire l’università nella nuova architettura costituzionale dello Stato della nazione prussiana che rinasce dalla sconfitta di Jena da parte di Napoleone (1806): non sono i professori ad essere dipendenti dello Stato ma è l’università come corpo a garantire alla nazione non soltanto il progresso e la trasmissione della scienza (sulla base delle libertà di insegnamento e di ricerca) ma anche la garanzia e la certificazione delle abilità professionali e dell’efficienza del sistema pubblico e produttivo nel suo insieme. L’università tedesca (e in forma diversa le università che ad essa si sono ispirate) è divenuta quindi uno dei poteri dello Stato, dotato di una sua specifica posizione e di un'autonomia protetta, come la magistratura, all’interno del sistema politico complessivo. 11
Über die innere und äussere Organisation der höheren wissenschaftlichen Anstalten in Berlin. Testo scritto fra il 1809 e il 1810.
L'organizzazione interna ed esterna degli istituti scientifici superiori a Berlino. Traduzione italiana di Maria Chiara Pievatolo (2017).
La comprensione [Begriff] degli istituti scientifici superiori, come vertice nel quale s’incontrano tutti gli accadimenti immediati per la cultura morale della nazione, riposa sulla determinazione a coltivare la scienza nel senso più profondo e ampio della parola e a offrire alla formazione dello spirito e dell’ethos [der geistigen und sittlichen Bildung] una materia che è funzionale per il suo uso di per sé e non in quanto preparata intenzionalmente.
Ci si aspetterebbe che un disegno di riforma dell'università esordisca riconoscendone gli scopi sociali e individuali: che guardi, cioè, l'istituzione dall'esterno e ne esponga l'utilità o per sistemi e istituti da essa differenti, o per i singoli che valutano di diventarne, in una qualche veste, partecipi. Humboldt, però, non segue questa strada: il suo frammento non comincia, praticamente, con un progetto, bensì, contemplativamente, con un concetto [Begriff] - come se il suo proposito non fosse in primo luogo fare e giustificare, bensì scoprire o riscoprire. Gli istituti scientifici superiori devono essere compresi sulla base della loro determinazione a coltivare il sapere - la scienza (Wissenschaft) 12 - nel suo senso più ampio e profondo. 13
Il frammento non si preoccupa di dimostrare che la scienza ha una qualche utilità: il sapere è l'orizzonte ultimo che non ha bisogno di giustificazione, perché soltanto entro la sua prospettiva e tramite i suoi strumenti è possibile porre il problema del senso di ogni altra cosa. Questa tesi non è nuova: si ritrova, per esempio, nell'argomentazione a favore del primato della vita filosofica nel IX libro della Repubblica di Platone, o nel saggio kantiano sull'Illuminismo: 14 Humboldt, però, la mette al servizio della fondazione di un'istituzione particolare.
La coltivazione del sapere non è mai un mezzo entro un progetto volto a uno scopo esterno, 15 ma sempre soltanto un fine. Perfino il fatto che offra una materia per la formazione culturale dello spirito e dell'ethos (geistige und sittliche Bildung) non è l'esito di un disegno intenzionale, bensì solo un effetto collaterale. 16 Anche per questo, gli istituti scientifici superiori stanno, per Humboldt, al vertice della vita culturale e morale di una nazione - aperti alle sollecitazioni da tutti, ma senza essere al servizio di nessuno.
La radice del termine tedesco Bildung, approssimativamente traducibile come "cultura", "formazione" o "formazione culturale", è Bild (forma, modello, immagine). Il suo uso affonda le radici nella Bibbia (Genesi I:27): l'essere umano deve adeguarsi al modello di Dio, essendo stato creato a sua immagine. Ma per una creatura finita approssimarsi all'immagine divina, che non potrà mai rappresentare e rappresentarsi compiutamente, è un compito infinito. 17
In un frammento del 1793, Theorie der Bildung des Menschen, Humboldt contrappone l'Ausbildung scientifica della mente alla formazione delle nostre disposizioni d'animo. L'Ausbildung è un addestramento professionalizzante, che ci aiuta a operare con successo nel mondo e che, essendo finalizzato a creare esperti e specialisti nell'uno o nell'altro settore,, rimane riservato a pochi. La Bildung invece è per lui più immediatamente e universalmente benefica, perché d'interesse di tutti gli esseri umani.
Anche se Humboldt ha una visione filosofico-morale, sarebbe riduttivo identificare la Bildung con l'educazione civica o morale. La formazione è un compito infinito che non si esaurisce nell'ottenimento di uno scopo mondano: il senso dell'esistenza degli esseri umani, infatti, non consiste né nel loro dominio tecnico sul mondo né nel farsi risorse al servizio di qualcosa d'altro da sé. Il mondo offre la materia con cui tutti noi ci confrontiamo, con la quale rendiamo concrete e durevoli le forme dei nostri pensieri, ma da questo confronto
... scaturisce la tensione ad ampliare la cerchia della nostra conoscenza e della nostra efficacia, e in realtà, senza che ne siamo chiaramente consapevoli, non ci sta davvero a cuore quel che se ne ottiene o che, per suo tramite, si produce fuori di noi, bensì solo il miglioramento e l'elevazione interiore, o almeno l'appagamento dell'intima inquietudine che ci consuma. Il nostro pensare, considerato assolutamente e nel suo scopo finale, è sempre soltanto un tentativo di divenire comprensibili a noi stessi, il nostro agire un tentativo della nostra volontà di divenire interiormente liberi e indipendenti, e in generale tutto il nostro affaccendarci esteriore nient'altro che una tensione a non rimanere interiormente oziosi. 18
La Bildung ha come oggetto il suo proprio soggetto: a differenza che nell'addestramento, qui l'essere umano non subisce ma compie la propria attività formativa, in quanto agente libero che cerca di comprendere se stesso e di dar forza e senso alla sua libertà. Per questo motivo il suo scopo rimane generico: quando la formazione ha per oggetto il suo proprio soggetto, il "miglioramento e l'elevazione interiore" non si possono determinare e misurare dall'esterno, 19 ma solo interiormente, nel processo in ciascuno di noi impara a essere libero e consapevole e, di conseguenza, ad agire in questo spirito sul mondo 20
Uno dei due aggettivi apposti alla Bildung del primo capoverso del frammento è geistig: tradurlo con "intellettuale" o "mentale" renderebbe il testo più accessibile a chi è poco familiare con la filosofia classica tedesca, ma non farebbe giustizia alla complessità semantica del termine Geist, com'è sviluppata dallo stesso Humboldt nella nota conclusiva al manoscritto Über den Geist der Menschheit (1797). 21
In tedesco, come in italiano, il termine si riferiva originariamente a ciò che si ottiene eliminando le parti acquose di una bevanda eccitante: un'essenza concentrata rispetto al liquido originario. “Spirito”, dunque, indica, in senso filosofico, l’essenza universale di qualcosa, ma con una sfumatura sensibile e particolare. Similmente all'alcol nel vino, in noi lo spirito è autocoscienza intelligente ma non come proprietà e potenzialità astratta, bensì come forza animatrice.
Perché mai, in un progetto di riforma dell'università, esordire parlando di un effetto collaterale come la formazione dello spirito invece che di competitività, professionalizzazione ed eccellenza? Il manoscritto del 1797, composto durante il lungo soggiorno dell'autore a Parigi, aiuta a capirlo.
Gli esseri umani - sostiene Humboldt - hanno bisogno di unità e consequenzialità di pensiero e di azione. Questi caratteri non possono essere contingenti: se lo fossero, infatti, sarebbero accidentali e variabili e quindi né unitari, né consequenziali. Né possono essere oggetti il cui valore dipende da altro: se così fosse, infatti, l'unità e la consequenzialità non sarebbero nostre, bensì altrui. 22
Neppure il piacere e la felicità possono essere la misura assoluta del nostro valore e il nostro fine ultimo, perché siamo capaci, all'occorrenza, di farne a meno. 23 Piuttosto, dobbiamo cercare la nostra unità e consequenzialità in qualcosa di più indeterminato: la nostra dignità. 24
Che cosa s'intende per "dignità"? La Metafisica dei costumi di Immanuel Kant, uscita nel 1797, 25 aiuta a capirlo.
L'essere umano - scrive Kant - può essere considerato o dal punto di vista del suo prezzo o dal punto di vista della sua dignità. Abbiamo un prezzo quando siamo considerati, come qualsiasi altro prodotto della terra, nella prospettiva della nostra utilità: il nostro valore, in questo caso, è misurato tramite la moneta, mezzo di scambio universale. Quando ci viene attribuito un prezzo, in altre parole, siamo collocati entro un sistema di transazioni nel quale ciascuno di noi vale solo se altri lo trovano utile e possono e vogliono pagarne l'uso: il nostro valore, quindi, non è determinato dai nostri scopi, ma da quelli di chi ha i soldi per comprarci. Quando, invece, ci è riconosciuta una dignità, siamo visti non semplicemente come mezzi per fini altrui, ma anche come fini in noi stessi, cioè come soggetti a cui si deve attenzione e rispetto (Achtung). Per questo è così difficile dire a che cosa serviamo: perché, semplicemente, non serviamo, in quanto noi stessi siamo uno scopo, o, altrimenti detto, continuiamo a essere importanti anche quando non serviamo a nulla e non siamo servi di nessuno.
Come dovrebbe essere la misura del valore di chi non serve? Per Humboldt dovrebbe essere valida allo stesso modo per tutti - cioè teoreticamente universale - e mirare all'elevazione di tutto l'umanità. Se, infatti, fosse particolare, cioè si assumesse come misura l'interesse e la nobilitazione di un unico gruppo, la dignità degli altri, messi al servizio di progetti non loro, verrebbe negata. Praticamente, però, essa potrebbe essere applicata solo individualmente, cioè entro i limiti del raggio d'azione di ciascun essere umano. 26
La distinzione fra intelletto universale e volontà individuale introduce un potenziale contrasto fra teoria e pratica, cioè fra quanto pochi sanno e quanto molti, senza sapere, fanno. Come comporre questa frattura senza ledere la dignità dei molti che agiscono senza sapere asservendoli ai pochi che fanno sapendo? Per Humboldt, il ponte fra teoria e pratica è la formazione - sia come Ausbildung sia come Bildung. 27
Ma se i due [intelletto e volontà] non devono stare in reciproca opposizione, occorre che questo problema sia risolto in modo tale che il proprio avanzamento verso il fine promuova nel contempo l'approssimazione generale ad esso da parte di tutti, e precisamente in maniera diretta e immediata (e non solo perché è una parte singola dell'intero). La propria formazione deve indurre gli altri, anche senza o addirittura contro la loro volontà, a fare a loro volta progressi concordi con i nostri. La normale interazione di intelletto teorico e di volontà pratica produce sempre un modo di agire in cui noi, con perfetta energia individuale, ci limitiamo a svolgere un ruolo particolare in un piano generale. 28
La Bildung rende individuale e pratico quanto è universale e teorico perché distribuisce in ciascuno, affinché lo sviluppi a suo modo, quanto nasce come noto soltanto ad alcuni. Il suo carattere distributivo e non collettivo fa sì che la sua diffusione nella società abbia bisogno della partecipazione e del progresso individuale. Un avanzamento della società come intero, in un senso soltanto collettivo, non è sufficiente, perché esclude o riduce a ingranaggi coloro che non lo comprendono o non lo condividono, negando così la loro dignità. In questo senso, non è incoerente affermare che "la propria formazione deve indurre gli altri, anche senza o addirittura contro la loro volontà, a fare a loro volta progressi concordi con i nostri": infatti, in una cultura in cui la teoria universale si riversa normalmente in prassi individuale, anche chi non fosse d'accordo col sistema prevalente dovrebbe formare se stesso per poter difendere e sostenere le sue scelte alternative.
In altre parole, quanto alcuni sanno teoricamente può essere attuato praticamente soltanto se ognuno può farlo suo tramite la propria attività formativa, la quale a sua volta è in grado di produrre nuovi contributi alla teoria. La Bildung non è una gabbia d'acciaio nella quale siamo trattenuti senza più sapere perché: è una rete di seta che si espande via via che le si aggiungono nodi intelligenti - e in questo senso è molto simile al web come era stato originariamente pensato. 29 L'universale della cultura si pensa collettivamente, ma si realizza distributivamente: lo spirito dell'umanità è un tempo vivissimo e vuoto perché consiste nell'aspirazione a pensare e creare per un universale che però può realizzarsi solo tramite la partecipazione consapevole di tutti, non meccanicamente. E proprio in questo spirito e nella sua libertà consiste, per Humboldt, la nostra misura.
Chi aspirasse a parametri "oggettivi" e predeterminati per un'efficiente governo delle moltitudini potrebbe trovare le tesi humboldtiane affette da vaghezza e da un pericoloso margine di arbitrarietà: se però ci pensiamo come portatori e inventori di fini propri e non come meri mezzi per scopi già decisi, dobbiamo anche renderci conto che l'uso di criteri prestabiliti e fissi presuppone che tutti i fini siano già stati deliberati e non siano più oggetto di discussione. 30
La coltivazione del sapere offre una materia per la formazione spirituale ed etica perché ci avvicina all'universale della teoria, che è il suo scopo, al di sopra delle nostre particolarità, e ci impone un'autodisciplina fondata su norme cognitive che possono essere riconosciute solo spontaneamente. Così, sebbene non progettata apposta per questo, essa risveglia - individualmente - la nostra capacità di ragionare e di cercare nella nostra vita senso e conseguenza, anziché riceverlo da altro, conformemente alla nostra dignità: la nostra capacità di essere, in una parola, tessitori di reti anziché prigionieri di gabbie.
Dal punto di vista esteriore l'università è un transito: chi si iscrive all'università humboldtiana passa dalla scuola a uno studio che ha un grado maggiore di libertà [27]. Interiormente, questo passaggio avviene tramite il collegamento fra la "scienza dell'oggetto" e la "formazione del soggetto": il sapere di pochi, che a scuola era stato distribuito come mera nozione, qui viene scritto, per così dire, nell'anima, facendosi sapere di molti. Lo studio universitario, quando è promotore di Bildung, è costruttore di ponti e tessitore di reti: le nozioni della scuola, collegate e discusse nel modo della scienza., diventano punti di partenza per andare oltre quanto è già noto. L'ideale, però, può realizzarsi solo a una condizione: che la scienza rimanga pura, cioè che il sapere sia perseguito per amore del sapere - filosoficamente.
Se l'istruzione superiore non è, in senso etimologico, "filosofica", ma è al servizio di uno scopo esterno - una qualsiasi utilità economica, sociale o politica -, il discente non può essere preso sul serio come soggetto libero, perché viene plasmato per qualcosa di esterno da sé. Uno studio per l'interesse del sapere è diverso da un addestramento per ottenere un titolo o trovare un lavoro. Nel secondo caso operiamo per uno scopo governato da altri, per il quale è irrilevante essere o no davvero interessati a quello che studiamo; nel primo, invece, si mette in gioco la nostra autonomia. L'interesse per il sapere è una vocazione che non può essere imposta.
Perché la vocazione filosofica dello studio possa conservarsi, l'università deve rimanere ispirata a tre princìpi, reciprocamente connessi:
solitudine;
libertà;
cooperazione.
1. La solitudine - il distacco dalla società - è garanzia di autonomia. Se abbiamo compagni ricchi e potenti in grado di influenzarci con i loro finanziamenti, la loro pressione burocratica, i loro sistemi di valutazione, i loro interessi politici 31 e commerciali, 32 e perfino con la loro autorità accademica, 33 la nostra ricerca e il nostro studio ne saranno condizionati. 34 Non cercheremo la verità - o la cercheremo solo in via incidentale, nei ritagli di tempo -, perché saremo occupati a compiacere il finanziatore privato, il collega potente o il valutatore di stato da cui dipende il nostro successo e, talvolta, la nostra stessa sopravvivenza. 35
2. La libertà non è solo, in senso negativo, l'assenza di interferenze garantita dalla solitudine ma anche, in senso positivo, 36 l'autonomia di chi ha come stella polare l'idea pura della scienza e persegue il sapere solo per l'interesse del sapere. Per essere liberi non è sufficiente essere soli: bisogna anche essere in grado di rispondere in modo autonomo e personale alla vocazione di ogni essere umano a pensare da sé.
3. La cooperazione humboldtiana è diversa da quella, meccanica, di un'organizzazione coordinata da un'autorità centrale, nella quale a ciascuno è assegnato un compito e dunque "l’uno supplisce ciò che manca all’altro". Qui c'è qualcosa di più: "il successo dell’attività dell’uno entusiasma l’altro e a ognuno diviene visibile quella forza universale e originaria che negli individui s’irradia in modo solo particolare o derivato".
Humboldt non sta parlando di una mera comunione di sentimenti racchiusa in un'universalità mistica, ma di un'autocoordinazione implicitamente alternativa a quella burocratica. Una similitudine contenuta in un articolo a difesa dell'autonomia della ricerca pubblicato da Michael Polanyi nel 1962 37 può aiutarci a renderla esplicita. Si immagini un gruppo di persone che deve ricomporre un puzzle il cui disegno è gigantesco e ignoto. La guida di un'autorità, la cui idea non potrebbe vantare maggior verosimiglianza di quelle altrui, costringerebbe tutti a controllare un'ipotesi per volta. Se invece si mettessero tutti al lavoro nello stesso luogo, in modo che ciascuno, tentando di ricostruire un particolare del disegno, riuscisse a tener conto di quanto stanno facendo gli altri, si potrebbero esaminare più ipotesi nello stesso tempo e le ricomposizioni parziali sarebbero man mano poste al servizio dell'intrapresa comune. Si vedrebbero, così, più persone che lavorano separatamente ma insieme, costruendo un'immagine che prenderebbe via via forma dalla composizione dei loro contributi: il successo di ciascuno incoraggerebbe ogni altro e alla fine diverrebbe chiaro che ogni conquista individuale è solo un particolare di un intero più ampio. Avremmo - scrive Polanyi - "una coordinazione per adattamento reciproco di iniziative indipendenti - iniziative che sono coordinate perché ciascuna prende in considerazione tutte le altre iniziative all'opera nel medesimo sistema": 38 così funziona la ricerca scientifica, quando è lasciata libera. Questo tipo di cooperazione, infatti, non è forzata perché non imposta dall'incarico di un'amministrazione centrale e non è interessata perché il suo scopo è solo il perseguimento della scienza, non il vantaggio personale.
Questa specie di coordinazione, per quanto operi su una pluralità di ipotesi reciprocamente slegate o addirittura concorrenti, non può essere intesa come una competizione. Un ricercatore competitivo non si entusiasma per i successi degli altri e non prende seriamente in considerazione le loro iniziative, ma cerca di sminuirle o di passarle sotto silenzio, 39 specialmente se sono così intelligenti da mettere a repentaglio il suo potere e il suo prestigio. Per cooperare con gli altri ricercatori pur abbracciando ipotesi diverse o addirittura contrastanti occorre una condizione non banale: 40 la convinzione di essere impegnati per uno scopo comune in un comune spazio di discussione e di esperienza.
È inoltre caratteristica degli istituti scientifici superiori continuare a trattare la scienza come un problema ancora non del tutto risolto e perciò rimanere sempre alla ricerca, mentre la scuola considera e studia solo conoscenze compiute e riconosciute.
All'infinità della Bildung corrisponde l'infinità della ricerca, il cui compito è superare ed espandere le frontiere del noto. Mentre è socialmente chiara l'utilità della ricerca applicata, una scienza che, in quanto è un problema ancora non del tutto risolto, 41 pone questioni anziché risolverle potrebbe apparire inutile o addirittura fastidiosa. Una simile opinione, però, si può fondare solo sulla presunzione - tutta da dimostrare - che non ci sia più nulla da scoprire e che l'esistenza umana sia divenuta talmente prosaica da non essere più oggetto di riflessione, ma solo di amministrazione.
La distinzione fra conoscenze compiute e riconosciute e scienza di frontiera rende diversa la scuola, che insegna le prime, dall'università, che introduce alla seconda. Mentre nella scuola il docente "è per gli studenti", in quanto fa entrare chi ancora non sa in un patrimonio culturale condiviso, all'università docenti e studenti sono compagni in un'intrapresa comune: lo sviluppo del sapere in quanto esercizio d'indagine, che ha bisogno sia dell'esperienza di chi insegna, sia del confronto con menti più fresche e non ancora affezionate all'una o all'altra teoria. Partecipare a questa intrapresa ha come effetto collaterale una Bildung in cui, nel confronto con docenti e colleghi, il discente è soggetto e non oggetto della propria attività formativa. Ridurre gli studenti universitari a scolari da indottrinare, risorse umane da addestrare o clienti da compiacere mette a repentaglio sia la loro formazione, sia la vita della scienza.
Ciò che di conseguenza si chiama istituto scientifico superiore non è nient’altro che la vita dello spirito degli esseri umani che orienta l’agio esteriore o l’aspirazione interiore alla scienza e alla ricerca.
Humboldt sta fondando un'istituzione ma, dovendola presentare, non la identifica con norme e strutture amministrative, bensì con la vita dello spirito, cioè con la ricerca spontanea di unità e di consequenzialità da parte di esseri che hanno una dignità e non semplicemente un prezzo. Essa orienta, interiormente, le nostre aspirazioni alla scienza e all'indagine, e, esteriormente, vi indirizza il nostro tempo libero [Muße] allo studio.
C'è, qui, una doppia bizzarria: l'università è un'istituzione, ma Humboldt, fondandola, parla molto di più del suo spirito e che delle sue strutture, e usa il termine Muße (otium) per indicare il lavoro di studenti e professori.
Lo studio ha bisogno di tempo libero, non nel senso, negativo, di tempo non occupato dal lavoro, bensì in quello, positivo, di tempo in cui possiamo autodeterminarci perché siamo svincolati da necessità economiche, amministrative o politiche. Questo tempo, così inteso, non è il tempo del divertimento, ma quello della dignità, in cui possiamo scegliere di dedicarci - senza fretta - 42 a cose che hanno valore per noi e non perché altri, signori della nostra vita, ci pagano per farle. Humboldt, pertanto, non si preoccupa di giustificare la libertà di coloro che sono per la scienza - professori e studenti - come promotrice di un progresso scientifico utile alla società: 43 farne, infatti, una questione di utilità significherebbe rendere la libertà della ricerca contingente.
Com'è possibile costruire attorno alla libertà dello spirito un istituto che le permetta di esistere senza soffocarla con la sua stretta burocratica? Humboldt tenta di rispondere a questa domanda tracciando i confini dell'intervento dello stato.
A dispetto della pericolosità strutturale del suo intervento, lo stato si occupa dell'università per contenere un "operare in sé indeterminato e per così dire casuale" in una forma più rigida [8]. Perché il sapere abbia effetto nella società così com'è deve presentarci tramite forme e strumenti esteriori [11]. Senza una qualche specie di istituzionalizzazione, infatti, istruzione superiore e ricerca dipenderebbero dalla circostanza accidentale che alcuni abbiano la fortuna di disporre di tempo libero e scelgano di dedicarlo al sapere, o capiti loro di studiare soluzioni per qualche problema in cui s'imbattono nel mondo della prassi.
Lo stato, dopo la fine dell'Ancien Régime, è l'unica autorità ancora in grado di garantire l'istituzionalizzazione. Il suo compito, però, è tanto infinito quanto quello della Bildung: si tratta infatti di adeguare l'università a un'immagine [Bild] mobile come la vita dello spirito; e, per di più, si deve farlo con strumenti che rischiano di pervertirne l'attuazione.
La sua organizzazione deve osservare "il principio di considerare la scienza come qualcosa di ancora non del tutto trovato e mai del tutto rinvenibile e di cercarla, come tale, senza posa" [13]. 44 Ma lo stato deve rimaner consapevole di non poter essere causa di questa ricerca disinteressata, che tuttavia dovrebbe render possibile con il suo intervento [10]. Se infatti, si pensasse e fosse determinante con le sue pressioni, verrebbero meno il disinteresse e la libertà dell'indagine.
Lo stato, infatti, opera con un sistema di sanzioni e di premi, di incentivi e di disincentivi, che governano il comportamento degli esseri umani "in masse uniformi e obbligate", la cui necessità - scriveva Humboldt nel 1792 45 - è inversamente proporzionale al grado di libertà e di cultura della società su cui insiste. Com'è possibile immaginarlo impegnato in un intervento che non riduca, ma protegga la cultura e la libertà degli istituti scientifici superiori?
La Bildung non può essere creata da singoli isolati, ma richiede una cooperazione che ha bisogno del sostegno dello stato per diventare socialmente visibile e stabile. 46 Humboldt si occupa delle modalità amministrative dell'intervento statale solo alla conclusione del capoverso [22 ss], dopo aver dedicato i capoversi precedenti [9 ss] allo spirito che dovrebbe animarlo.
Lo stato deve mantenere attiva la ricerca [9 ss], finanziandola e offrendo gli strumenti normativi che ne rendano possibile lo svolgimento [11] e avendo cura di non confondere gli istituti scientifici superiori, che mirano a quello che non sappiamo ancora, con gli istituti scolastici, sia teorici sia professionali, che insegnano quanto è già noto e come applicarlo - cioè si interessano di quello che siamo e di quello che facciamo, ma non di quello che potremmo essere.
Lo stato, tuttavia, deve essere consapevole che gli strumenti della sua azione, non pensati per la libertà della ricerca ma per la protezione della sicurezza, sono intrinsecamente dannosi per lo sviluppo del sapere, indipendentemente dall'uso che ne fa [11, 26]: la ricerca vive di libertà e di impegno individuale, mentre lo stato usa la coercizione e agisce sulle masse. Da questa consapevolezza deve scaturire la disposizione, autocritica, a tornare sui propri passi per correggere i propri errori.
Si potrà constatare dai risultati se l'intervento dello stato non tradisce il "principio di considerare la scienza come qualcosa di ancora non del tutto trovato e mai del tutto rinvenibile e di cercarla, come tale, senza posa" [13] ma vede semplicemente il suo processo in una prospettiva diversa.
In generale, anche nel suo operato pratico, un’opinione inesatta, checché se ne possa dire, non rimane mai impunita, perché nello stato nessun agire è meramente meccanico. [12]
Lo stato è esposto alla tentazione di abbandonare il principio dell'incompiutezza della scienza per pretendere dall'università prodotti determinati e misurabili, ritenendosi in grado di ottenere meccanicamente, con castighi e incentivi, una ricerca di buona qualità. L'effetto del suo intervento, però, deve fare i conti con la riflessività di ogni progetto sociale: chi condiziona i ricercatori "in masse uniformi e obbligate" può certo produrre dei mutamenti, ma non esattamente quelli che desidera. In altre parole, la coercitività non attenua, bensì rafforza il cosiddetto paradosso essenziale dell'azione sociale, per il quale l'opacità e la reattività dell'oggetto su cui si opera conducono a sviluppi diversi da quelli nominalmente nei piani di chi ha preso l'iniziativa. 47
In «Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese» (1791), discutendo della possibilità di realizzare mutamenti radicali per via d'ingegneria costituzionale, Humboldt distingue due modalità dell'intervento statale: la prima. meccanica, costringe le persone dall'esterno sulla base a nozioni generali ma precarie perché basate su dati empirici e dunque contingenti; la seconda, invece, accetta di farsi influenzare riflessivamente dal suo oggetto, lasciando spazio alla libertà individuale. Applicare questa distinzione al rapporto fra lo stato e la comunità scientifica aiuta a chiarire le righe altrimenti enigmatiche del capoverso 12. Come non si può costringere un popolo alla democrazia, se democrazia si vuole ottenere, così non si può produrre una scienza vivace e continuamente progrediente con pressioni amministrative, se scienza si vuole ottenere.
Tutta la nostra scienza e conoscenza si fonda su idee generali, vale a dire, trattandosi di oggetto d’esperienza, incomplete e vere a metà; dell’individuale possiamo cogliere molto poco, mentre qui tutto dipende da forze individuali, da azioni, sofferenze e soddisfazioni individuali. Del tutto diversa è la situazione in cui sia il caso ad agire, mentre la ragione si sforza soltanto di guidarlo. Dalla complessiva condizione particolare del presente — poiché queste forze sconosciute sono da noi dette caso — deriva poi il risultato, e i progetti, che la ragione si è sforzata di imporre, ricevono forma e modificazione dall’oggetto stesso cui sono applicati, ammesso che i suoi sforzi sortiscano l’effetto. Nel qual caso acquistano capacità di durata e di produrre qualcosa di utile. Nel modo ora prescelto, invece, anche se attuati, essi rimangono sempre sterili. Ciò che l’uomo riesce a compiere deve scaturire dal suo intimo e non essergli dato dall’esterno. E che cos'è uno stato se non un insieme di forze umane che agiscono e subiscono? 48
Appena si smette di cercare la scienza in senso proprio o ci si immagina che non ci sia bisogno di formarla dalla profondità dello spirito, ma si possa accumulare estensivamente raccogliendo e mettendo in fila dati, tutto va perduto per sempre e senza rimedio [14].
È facile rappresentare il sapere esteriormente, come una collezione di dati, così da valutarlo con criteri quantitativi. La raccolta di dati è certo una condizione necessaria, ma, per Humboldt, considerarla sufficiente sarebbe assai fuorviante. Per comprendere perché basta ricordare che il primo passo della rivoluzione scientifica moderna, la rivoluzione copernicana, non dipese da un'addizione di nuovi dati, ma da una cosmologia che interpretò in modo nuovo le osservazioni già note.
Il testo del De revolutionibus [orbium coelestium] (pubblicato nel maggio del 1543) fu portato, così vuole la tradizione, al letto di morte di Copernico. Nelle pagine della Dedica anche Copernico, come già aveva fatto Rheticus, insisteva sulla maggiore semplicità e armonia del sistema. Contrapponeva il nuovo all’antico insistendo sui disaccordi, le insicurezze e le contraddizioni dei seguaci della tradizione.
La rivoluzione copernicana non consistette in un perfezionamento dei metodi dell’astronomia, né in una scoperta di nuovi dati, ma nella costruzione di una cosmologia nuova fondata sugli stessi dati forniti dall’astronomia tolemaica.[...]
La rivoluzione copernicana aveva questo di caratteristico: non si limitava a contrapporre alcune tesi nuove alle tesi tradizionali, riusciva davvero a sostituire Tolomeo, a migliorare l’Almagesto sul piano dei calcoli e della costruzione delle tavole planetarie. Le nuove tavole, note come tavole pruteniche (1551), elaborate da Erasmo Reinhold (1511-53) su basi copernicane, furono accolte anche da strenui avversari del nuovo sistema del mondo, e lo stesso Reinhold non fu mai copernicano. Il sistema presentato nel De revolutionibus era fondato su una raffinata matematica pitagorica che poteva essere apprezzata dagli astronomi professionali. Ad alcuni di essi quel sistema apparve non solo più semplice e armonioso del precedente, ma anche più in accordo con il presupposto metafisico (che Copernico mantiene ben saldo) della perfetta circolarità dei moti celesti.
Molti fondamentali elementi che costituiscono quel grandioso fenomeno che noi chiamiamo «la rivoluzione astronomica» (eliminazione degli eccentrici, degli epicicli, della realtà delle sfere solide, infinità dell’universo) sono del tutto assenti in Copernico. Ma ci sono testi che, senza presentarsi come rivoluzionari, provocano grandiose rivoluzioni intellettuali. Questo fu il caso di Copernico, come sarà quello di Darwin. Essi vengono letti, anche se in modo approssimativo, da un numero crescente di non specialisti. Colpiscono non solo l’intelletto, ma l’immaginazione degli uomini, eliminano vecchie e consolidate risposte e aprono una quantità di problemi nuovi. Nel caso di Copernico: che cosa è la gravità e perché i corpi pesanti cadono sulla superficie di una Terra in movimento? Che cosa muove i pianeti e come essi sono trattenuti nelle loro orbite? Quanto è esteso l’universo e qual è la distanza fra la Terra e le stelle fisse? Ma si aprivano problemi nuovi non solo all’interno delle scienze. L’ammissione del moto terrestre e l’accettazione del nuovo sistema comportavano non solo un rovesciamento dell’astronomia e della fisica e la necessità di una loro ristrutturazione, ma anche una modificazione delle idee sul mondo, una valutazione nuova della natura e del posto dell’uomo nella natura. Ci sono, in ogni sistema in instabile equilibrio (e tale era senza dubbio l’astronomia dei tempi di Copernico) punti problematici, che non si possono toccare senza che crolli l’intero sistema. Il moto della Terra era uno di questi. 49
Copernico, trattando l'astronomia come un problema ancora non del tutto risolto, ha riletto i dati già noti al sistema tolemaico per costruirvi attorno una nuova visione del mondo. Poiché ha fatto uscire la sua opera principale postuma e non ha presentato nessuna nuova osservazione, chi lo valutasse in termini di dati e di "prodotti della ricerca" lo dovrebbe bollare come mediocre. Il sapere, però, non consiste in primo luogo di dati e di libri: consiste, piuttosto, nel loro collegamento: Copernico, esemplarmente, è stato rivoluzionario perché ha istituito nuovi nessi, trascendendo l'immediatezza empirica.
Su questo sfondo, non c'è niente di mistico nella formazione della scienza "dalle profondità dello spirito" e nella triplice tensione articolata nel capoverso 16: 50 si deve perseguire l'unità del sapere, e cioè aspirare a dedurre tutto da un unico principio, 51 a formare il nostro sistema secondo un modello determinato in individuo (ideale), e infine a connettere il tutto nell'idea di cui l'ideale è sviluppo. 52 Fare ricerca, in altre parole, non è solo raccogliere dati, ma anche e in primo luogo interrogarsi sul perché lo facciamo e sulla visione del mondo che andiamo continuamente ricostruendo, in modo da ricondurla a sistema. 53 L'aspirazione al sistema è una tensione che opera tramite princìpi, ideali e idee perché, a esseri individuali, finiti e linguistici, la scienza si presenta sempre e soltanto come tentativo collettivo di risolvere un enorme puzzle di cui è ignoto il disegno e il cui possibile senso unitario è soltanto un pensiero.
La tensione a trovare un senso tramite l'attività teoretica e pratica dello spirito è filosofica e artistica in un senso non disciplinare [19]. Filosofia e arte non se ne devono stare come regine isolate al di sopra di tutti gli altri rami del sapere, ma, al loro stesso livello, devono diffondere, in modo non formalistico, la loro aspirazione teoretica e pratica al senso e all'unità. Né è necessario che questa diffusione sia uniforme: è bene, anzi, che gli istituti scientifici superiori ospitino posizioni plurali [18], e dunque anche studiosi inconsapevoli o addirittura ostili a quest'interpretazione umanista della ricerca. Basta, infatti, che essa sia oggetto di rispetto da parte di chi la comprende e di soggezione da parte di chi non la condivide - che nessuno, cioè, osi trattare, esplicitamente o implicitamente, l'esercizio d'indagine come privo di senso e di valore.
Lo stato, per Humboldt, ha interesse ad assicurare e sostenere la libertà dell'università in virtù dei suoi effetti collaterali, che però possono aver luogo solo se non direttamente pianificati e imposti: "Infatti solo la scienza che ha origine dall’intimo e nell’intimo può mettere radici trasforma anche il carattere; come all’umanità, allo stato il carattere e l’agire importano assai di più del dire e del sapere" [14]. L'architettura del suo intervento è fortemente minimalista e quindi molto lontana dall'iperorganizzazione di cui i due secoli successivi hanno fatto esperienza.
L'assunzione dei professori universitari e la garanzia della loro libertà, nonché delle risorse necessarie per la loro ricerca, deve essere riservata allo stato, anche se le università possono fargli presente le loro esigenze per l'una o l'altra sezione [23]. Humboldt propone di trasformare i professori in funzionari pubblici, per contemperare la pericolosità, esterna, dello stato per la libertà della ricerca con il rischio, interno, rappresentato dall'interferenza dei colleghi e dal conformismo favorito dalla prevalenza di una scuola di pensiero nell'una o nell'altra istituzione universitaria [22].
La nomina dei docenti universitari deve essere riservata esclusivamente allo stato e non è certo buona organizzazione concedere alle facoltà più influenza di quella che eserciterebbe spontaneamente un consiglio d’amministrazione ragionevole e giudizioso. Infatti all’università l’antagonismo e il contrasto sono salutari e necessari e il conflitto che si sviluppa fra i docenti tramite il loro stesso lavoro può spostare, anche involontariamente, la loro prospettiva. [41]
Il contemperamento - che presuppone uno stato capace di autolimitarsi - si attua tramite una sorta di separazione dei poteri: le università decidono della qualificazione scientifica degli studiosi tramite il conferimento della venia legendi, 54 mentre lo stato, fra gli studiosi abilitati, delibera chi assumere. Chi ha conseguito la venia legendi può tuttavia insegnare all'università come Privatdozent [44] (libero docente) senz'altro stipendio oltre quello connesso alla frequenza effettiva degli studenti ai suoi corsi. 55
Le "norme organizzative" dell'università devono essere "poche e semplici, ma di efficacia più profonda dell'ordinario" [24]. Il minimalismo regolamentare serve a contemperare due esigenze opposte: la scelta di trattare il sapere come un problema ancora non del tutto risolto e dunque irriducibile a parametri determinati burocraticamente e la necessità di strutturare un'organizzazione che, senza essere informe, sia però in grado di ospitare lo spazio negativo della ricerca di frontiera e della formazione libera. 56
La ricchezza di beni mobili e immobili ha un senso soltanto ausiliario e non deve mai essere lo scopo primario delle università: il fine della formazione e della ricerca, inteso come funzione pubblica, richiede un modello organizzativo diverso da quello dell'azienda che persegue il profitto [25]. 57
L'università non deve essere trattata come parte terziaria del sistema di istruzione scolastico - liceale o professionale - e neppure come un dipartimento tecnico-scientifico al servizio del governo. Scienza e Bildung si possono infatti conseguire solo come effetti collaterali dell'autolimitazione di uno stato in grado di riconoscere che la loro condizione necessaria è la libertà della ricerca:
Lo stato in generale [...] non deve da esse pretendere nulla che si riferisca immediatamente e direttamente a se stesso, bensì coltivare l’intima convinzione che, se raggiungono il loro scopo finale, adempiono anche ai suoi, e da un punto di vista assai superiore, dal quale si può comprendere molto di più e si può ottenere l’apporto di forze e leve del tutto diverse da quelle che lo stato è in grado di mettere in moto [26].
In tutto questo spazio negativo, però, allo stato si chiede infine un compito positivo: "organizzare le proprie scuole in modo che preparino bene agli istituti scientifici superiori" [27]. Il sistema d'istruzione di Humboldt - si potrebbe obiettare - è un autoreferenziale preludio a un'università anch'essa fine a se stessa, che relega l'addestramento spendibile sul mercato del lavoro a scuole speciali ben distinte dall'educazione generale. Questa obiezione non sarebbe certo infondata, se la scuola fosse concepita come una fabbrica di risorse umane che hanno un prezzo e devono in primo luogo essere smerciabili su un mercato del lavoro. Per Humboldt, però, gli esseri umani hanno in primo luogo una dignità: nella sua prospettiva, il compito della scuola non è addestrare persone che servono, bensì formare persone che non servono. 58 E il suo successo non è fornire una risorsa obbediente a chi ha i soldi per comprarsela, ma riuscire mettere il giovane "in una posizione così schietta che può essere lasciato fisicamente, moralmente e intellettualmente alla libertà e all’autonomia d’azione perché, svincolato dalla costrizione, non passerà all’ozio o alla vita pratica, ma recherà in sé un desiderio struggente di elevarsi a quella scienza che finora, per così dire, gli era stata solo mostrata da lontano." [27]
É così importante formare giovani in grado di apprezzare "il comprendere, il sapere e il creare dello spirito" "per la loro interna esattezza, armonia e bellezza" [28] e non per la loro eventuale utilità esterna perché il mondo non è un dato predefinito, un sistema rigido al quale l'ultimo arrivato si debba semplicemente adattare, ma dipende fortemente da quello che noi sappiamo e facciamo. Formare uomini liberi e liberare il tempo dei giovani significa, dunque, riconoscere e coltivare la possibilità di mondi diversi e migliori di questo e di persone diverse e migliori di noi.
Humboldt, nel suo progetto di riforma, assegna un ruolo all'intervento dello stato, pur avendone teorizzato la minimizzazione nelle sue Idee per un saggio sui limiti dell'attività dello stato del 1792. È dunque un liberale incoerente? La lettura originale dell'idealismo tedesco prodotta dalla filosofia italiana nella prima metà del secolo scorso offre qualche motivo per rispondere di no.
Il liberalismo, in quanto ideale della vita morale dell'umanità, non può fare suo proprio rappresentante o suo strumento nella sfera economica né il liberismo né lo statalismo. Non può perché, superiore a entrambi, ha bisogno di tutti e due questi ordini o classi di metodi e di istituti economici, avvalendosi secondo i casi ora dell'uno ora dell'altro, ma respingendoli tutti e due quando, disconoscendo questa loro relatività, si fanno assoluti e si atteggiano a ideale di vita sociale e morale. Circa la preferenza da dare all'uno o all'altro, quel che solo si può dire è che questa considerazione non è più scientifica ma di politica pratica, e che quando accade che una società o un'età si sia impoverita e minacci gravi rovine per l'eccesso delle statizzazioni e delle " pianificazioni ", - e in tale condizione è la società nostra e l'età presente, - il liberismo sopravviene benefico correttore e risanatore: tanto più efficacemente quando è un liberismo modesto che non solo ha scosso da sé ma ha addirittura dimenticato le poetico-religiose esaltazioni di un tempo, alla Bastiat, o il rapporto in cui più tardi fu posto, pensando di consolidarlo con la scienza naturale, con la lotta zoologica del darvinismo, e ha riconosciuto le morbose escrescenze, sorte sopra di sé nel corso dell'ottocento, di cui ora si dovrà sanare.[...] Non bisogna, d'altra parte, mai trascurare che anche le pianificazioni serbano il loro diritto, e anche, in certe condizioni e con certe precauzioni, il diritto all'eventuale esperimento, perché, sebbene la critica dottrinale, con la logica che la regge e con le conseguenze pratiche che ne discendono, abbia grandissimo peso e stia a fondamento di tutto, l'imponderabile che è negli atteggiamenti degli animi e negli spontanei accomodamenti prodotti dalla necessità inevitabile di salvare l'individualità e la socialità, può rendere talvolta concrete e storiche certe formazioni che sembravano alla prima non attuabili o attuabili solo con gravi danni e finale fallimento. E cotesto non è scetticismo né agnosticismo, ma cautela e riconoscimento che il pensiero, che è verità, fa della forza creatrice della volontà umana, più ricca dei nostri schemi e dei nostri calcoli. In parole comuni, la conclusione è che le soluzioni dei problemi della convivenza sociale hanno sempre un residuo d'imprevedibilità, e ciascuno che intenda al bene deve saper deporre l'arroganza dei modi esclusivi delle soluzioni, e osservare l'umiltà dinanzi alle vie che la storia viene, come da sé, aprendo. 59
Benedetto Croce scrisse queste righe nel 1947, argomentando a favore di una distinzione, quella fra liberalismo etico e liberismo economico, per la quale è stato molto criticato. E tuttavia sostenere che una cosa è difendere la libertà dell'individuo - quella stessa libertà che per Humboldt è essenziale per la scienza - un'altra è connetterla in modo dottrinario ed esclusivo all'economia di mercato ha almeno due conseguenze meritevoli di attenzione: in primo luogo suggerisce un atteggiamento pragmatico e non dogmatico per quanto concerne le soluzioni politiche; in secondo luogo, e soprattutto, aiuta a riconoscere che la compressione della libertà individuale può essere attuata in modo altrettanto intenso ed efficiente, fuori dallo stato, dall'iperorganizzazione aziendale o simil-aziendale e da un'applicazione sistematica del darwinismo sociale.
La seconda sezione del frammento affronta il rapporto fra università e accademia. Anche in questo caso Humboldt rifiuta di procedere dall'esistente e dalla sua storia per estrarne un senso razionale [30] 60 e si chiede invece che cosa fare dell'accademia [31], una volta stabilito che l'università riformata riunisce in sé didattica e ricerca [32]:
Humboldt riconosce che la Germania, in controtendenza, non ha cancellato la ricerca dalle università: "le scienze sono state ampliate dai docenti universitari altrettanto – e in Germania di più [34] – che dagli accademici, e questi uomini sono pervenuti a simili progressi nelle loro discipline proprio grazie alla loro cattedra" [32]. Ma, al di là della contingenza storica - l'eccezionale fioritura della cultura tedesca a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo e il dibattito avviato in epoca illuministica - c'è qualcosa di più: se non intendiamo il sapere come un prodotto, bensì come un processo non ancora concluso, spiegarlo agli studenti non è un tedioso travaso di nozioni, 61 ma un'occasione per ricomprenderlo, risvilupparlo e ridiscuterlo. Infatti,
in generale, la scienza non si può veramente esporre come scienza senza ogni volta comprenderla di nuovo in quanto qualcosa che si mette in atto da sé [32].
Separare l'insegnamento universitario dalla ricerca, riducendolo a mera trasmissione di nozioni, trasformerebbe l'università in una scuola. A cosa serve, dunque, l'accademia, se le sue funzioni - fare ricerca e creare spazi di discussione e condivisione dei risultati [33] - potrebbero in generale essere svolte dall'università?
La separazione fra università e accademia non si fonda sulla peculiarità delle loro attività, che sono o possono essere pressoché equivalenti, bensì sulla peculiarità "della loro forma e della loro relazione con lo stato" [36]. In altri termini, Humboldt non mantiene le due istituzioni distinte per ragioni funzionali: fa questa scelta per motivi politici.
Università e accademia vanno distinte sulla base del loro grado di contiguità con la vita pratica e i bisogni dello stato. L'università, infatti, svolge (anche) attività didattica e conferisce titoli di studio, mentre l'accademia si occupa solo di ricerca. I professori universitari, perciò, sono connessi fra loro solo amministrativamente a meno che non trovino un'accidentale affinità di interessi, mentre l'accademia è "una società veramente costituita per sottoporre il lavoro di ognuno al giudizio dell’altro" [37].
Nel caso dell'università, la funzione pubblica e la separazione dell'amministrazione dalla valutazione proteggono il professore dall'influenza dei colleghi pur accrescendo il potere dello stato. L'accademia, di contro, si basa su un esperimento sociale opposto: ridurre l'interferenza dello stato ed esaltare il potere dei colleghi, a garanzia dell'autonomia collettiva della comunità scientifica, pur col rischio che gli accademici pecchino di inoperosità o di conformismo.
Si deve tener ferma, in questo modo, l’idea di un’accademia come sommo ed estremo asilo della scienza e corpo massimamente indipendente dallo stato, e, se un tale ente darà prova di un’attività troppo ridotta o unilaterale, si deve accettare il rischio che il giusto non sempre si realizzi al meglio nelle condizioni esterne più favorevoli. Si deve accettare il rischio – dico – perché l’idea è pur sempre bella e benefica in sé, e può sempre sopravvenire un momento in cui venga perfino attuata degnamente [38, corsivi aggiunti].
L'accademia incarna istituzionalmente la volontà della società di scommettere su una ricerca libera condotta da una comunità scientifica autonoma in cui si entra per cooptazione. Della separazione dei poteri che vale per la carriera universitaria rimane solo la ratifica del monarca alle ammissioni nell'accademia, che Humboldt si augura rimanga meramente formale [42].
La sua peculiarità istituzionale, però, non è volta a isolarla, ma a garantire una sorta di pluralismo:infatti mentre qualche professore sarà cooptato nell'accademia, l'accademico potrà insegnare all'università senza doverne fare parte [40]. Gli studenti, così, potranno confrontarsi con accademici che sono stati cooptati dai colleghi di un corpo unitario, con liberi docenti che hanno ricevuto la venia legendi da qualche ateneo, e infine con professori assunti dallo stato - cioè, in termini politici, rispettivamente con gli esiti del potere scientifico dei colleghi, accentrato per l'accademia e decentrato per la venia legendi, e del potere amministrativo dello stato.
Viceversa, l'università potrà valersi dell'accademia per commissionarle esperimenti e osservazioni [45]; e infine entrambe potranno controllare e usare, con la mediazione dello stato, istituti strumentali come le biblioteche, gli orti botanici e i teatri anatomici e zootomici [46-48].
Humboldt sa benissimo che qualche università potrebbe conferire la venia legendi a persone immeritevoli; che lo stato, fra quanti godono della venia legendi, potrebbe far professori i più ubbidienti; che le facoltà, quando gli propongono i propri candidati per le varie discipline, potrebbero essere animate da interessi locali; che, infine, l'accademia potrebbe cooptare non i ricercatori migliori, ma i più abili nell'autopromuoversi. 62 In mancanza di criteri "oggettivi" per valutare qualcosa che, per definizione, ancora non c'è, com'è possibile evitare simili errori? La pluralità - risponde il frammento - dei poteri di valutazione e di assunzione rende meno probabile che tutti sbaglino allo stesso tempo o allo stesso modo, e, in ogni caso, l'opinione pubblica saprà giudicare imparzialmente eventuali scelte inappropriate [43].
Il testo, che s'interrompe all'inizio di una sezione mai scritta dedicata all'accademia, non dice molto di più. Possiamo però immaginare che persone la cui Bildung 63 si è valsa del diritto universale all'istruzione siano in grado di contribuire a un'opinione pubblica collettivamente capace di discutere le scelte accademiche e statali e che i ricercatori, in quanto studiosi e docenti in un'università in cui la didattica è parte della ricerca, siano indotti a non privatizzare i loro testi in luoghi inaccessibili e a fare un uso pubblico della ragione senza piegarsi agli abusi della mediazione culturale. Possiamo immaginare una cultura che divenga generale sia in un senso oggettivo, per i suoi contenuti, sia in un senso soggettivo, perché comune a tutti, 64 e una "società della conoscenza" che sia tale perché tutti possono partecipare criticamente al processo del sapere senza ridurlo a prodotto da smerciare o a capitale da privatizzare e mettere a profitto. 65 Lo possiamo immaginare - e avremmo gli strumenti per farlo.
Nell’Europa del processo di Bologna, le idee di Humboldt sull'università sono state rappresentate ora come le armi della reazione di un’élite di privilegiati, ora come un appello alla resistenza per chi non si piega a ridurre l’istruzione superiore ad addestramento professionale. Questo ipertesto, che è solo la parte didattica di un progetto più ampio, non può approfondire questa polemica. Chi, tuttavia, cerca di spiegare Humboldt non può evitare di fare i conti con il suo mito.
Il complesso di cambiamenti di cui Berlino rappresenta il simbolo formò un modello di università potente e importante, il cui giudizio è tuttavia complicato dal "mito di Humboldt". Il culto di Humboldt alla fine del XIX secolo sottolineò gli ideali disinteressati di Bildung ed erudizione in quanto reazione a tendenze contemporanee come la specializzazione della conoscenza, l'espansione dell'immatricolazione oltre le élite colte del passato e l'intrusione di pressioni professionali e utilitarie. Il culto ebbe un ruolo simile nella Germania occidentale degli anni '50 e '60 del Novecento, in reazione all'affermarsi dell'università di massa (In Gran Bretagna e in America gli scritti di Newman svolgevano la medesima funzione critico-nostalgica), e come parte della ricerca post-hitleriana di un passato, riutilizzabile, di valori culturali senza macchia. L'aristocratico prussiano divenne perfino un improbabile eroe della Repubblica Democratica Tedesca. Fu il regime comunista a ribattezzare, nel 1949, l'ex università Federico Guglielmo di Berlino col nome di Wilhelm von Humboldt e del suo fratello, lo scienziato Alexander. Humboldt ottenne una collocazione positiva nella storiografia ufficiale marxista perché il regime della Germania Est cercava di presentare se stesso come erede delle forze nazionaliste e progressive dell'età della riforma. La borghesia era stata il veicolo di queste forze e il concetto humboldtiano di umanesimo era stato un valore universale col potenziale di emancipare il popolo intero. L'ideale, necessariamente limitato nella sua applicazione sotto il dominio assolutistico e borghese, era realizzato con il socialismo. E l'argomento che il neoumanesimo non era affatto progressivo, bensì al servizio dello stato prussiano neofeudale nonché l'indicazione che la retorica utopica di Humboldt e Fichte non ebbe mai molta relazione con la realtà pratica delle carriere e delle qualificazioni furono lasciati agli iconoclasti della Germania Ovest. 66
Il frammento di Humboldt è un progetto filosofico inedito, e come tale meriterebbe di essere preso sul serio: chi temesse di farlo perché gli associa ora i professori tedeschi conservatori del primo e del terzo quarto del Novecento, ora i docenti della Germania Ovest che volevano rifarsi una verginità, ora i notabili comunisti della Germania Est rimarrebbe vittima di una approssimativa teoria sociologica della conoscenza, per la quale qualsiasi argomento è valido o almeno meritevole di discussione non per quello che dice, ma per chi lo dice. Anche il mito del mito di Humboldt, in altre parole, può essere intellettualmente paralizzante.
Al di là del mito del mito, le questioni filosofiche intrinseche al progetto sono riassumibili in tre interrogativi:
Chi siamo noi che ci facciamo domande? Qual è il nostro senso? E chi deve rispondere alla nostra domanda sul senso: noi stessi o altri?
Queste domande sono solo rovelli individuali, o vale la pena che la società vi investa risorse anche se non ne trae nessuna utilità economica? O, più ampiamente; vale la pena interrogarsi sul senso del nostro essere sociali, o dobbiamo trattare la società non come un costrutto da discutere, ma come un dato da accettare così com'è e da studiare con strumenti che mimano quelli delle scienze naturali?
Infine, in che modo le istituzioni sociali esistenti possono sostenere e contenere la facoltà di fare domande - e dunque di essere esse stesse messe in discussione?
Per confrontarsi con simili domande bisogna innanzitutto credere che la discussione non possa aver fine perché "la verità" - come la scienza - non è un prodotto ma un processo, cioè "non è qualcosa di bello e fatto, ma ii suo perpetuo farsi, non è una cosa ma un pensiero". 67 E proprio questa convinzione è alla base di quella filosofia in senso non disciplinare il cui spirito sarebbe dovuto aleggiare nell'università riformata del progetto humboldtiano.
I manuali associano a Humboldt la tesi per la quale la diversità delle lingue comporta una diversità di visioni del mondo e lo classificano come un precursore del relativismo linguistico, e, in particolare dell'ipotesi Sapir-Whorf. Ernst Cassirer però, nel primo volume della Filosofia delle forme simboliche, 68 interpreta la filosofia del linguaggio di Humboldt in una prospettiva neokantiana che la tiene al riparo da esiti relativistici e le conferisce una struttura sistematica che aiuta a comprendere lo sfondo teorico della sua riforma.
Le lingue, in questa prospettiva, non sono gabbie che ci imprigionano bensì sistemi attivi di mediazione: ciascuno di noi parla a modo suo, ma si può far capire solo se si esprime in una lingua condivisa, la quale, a sua volta, rimane viva solo se ci sono persone che continuano a parlarla. 69 Secondo Cassirer, la mediazione del linguaggio nella filosofia di Humboldt si confronta con tre grandi opposizioni:
1. Relazione fra individuale e universale: i nostri discorsi non sono suoni attaccati a cose a noi esterne e precostituite, bensì elaborazioni personali che tentano di dare forma agli oggetti delle nostre rappresentazioni individuali per renderli comprensibili ad altri. In questo senso si può dire sia che le lingue sono parlate da individui che vogliono superarsi nell'universale di un discorso comune a tutti, sia, viceversa, che le lingue sono di tutti in quanto ci sono individui che, parlandole, le fanno proprie e la accrescono. Quando, infatti, cerco le parole per dire ciò che penso e farmi capire, nella mia lingua madre o in una lingua aliena, non sto compiendo un'operazione meccanica: sto tentando di inserire quanto ho in mente in una visione del mondo che, in questo modo, contribuisco ad ampliare. Le lingue, in questo senso, non sono strumenti per presentare verità note, bensì per scoprire verità ancora ignote. 70
2. Relazione fra soggettivo e oggettivo: ogni lingua, in quanto visione del mondo e non mondo essa stessa, è soggettiva rispetto a ciò che è da conoscere, ma oggettiva rispetto agli individui intesi come soggetti empirici particolari i quali possono esprimersi sul mondo solo tramite una qualche lingua. Il parlare e il comprendere, stando così le cose, sono frutto di una sintesi che è continuamente in atto e non può mai concludersi, perché non può mai trovar fine in un oggetto al di fuori di sé conosciuto indipendentemente dalla sua rappresentazione linguistica. L'unica oggettività per noi attingibile è dunque il complesso dei punti di vista impliciti nelle visioni del mondo delle diverse lingue. In questo senso il linguaggio non è opera compiuta (ergon) bensì attività (energeia): non va, dunque, studiato come un prodotto bensì "geneticamente", tramite l'operare dei suoi fattori, come un processo dello spirito.
3. Relazione fra materia e forma: quando, parlando, associamo un concetto a dei segni materiali, lo trasferiamo, con un atto di autocoscienza linguistica, in un categoria del pensiero, indicandolo per esempio come sostanza, proprietà o attività, In altri termini, per comunicare in forma linguistica non è sufficiente disporre di suoni e di percezioni sensibili, cioè di una materia; bisogna che le percezioni vengano unificate in concetti e impiegate nelle strutture funzionali di un discorso, ricevendo quindi da noi una forma - la quale però, a sua volta, dice qualcosa soltanto se non rimane vuota.
Nel pensiero di Humboldt, concetti come la Bildung, lo spirito o la scienza di cui si occupa l'università possono apparire fastidiosamente indeterminati a chi, da un sistema d'istruzione superiore, cerca competenze rapidamente spendibili sul mercato del lavoro e ricerche di impatto immediato e oggettivamente valutabili. Chi, però, ne considera - con l'aiuto di Cassirer - l'orizzonte filosofico può facilmente rendersi conto che questa indeterminatezza è, teoreticamente, l'incompiutezza critica di un sistema aperto alla storia, perché costruito da esseri linguistici e finiti, la cui "virtute e canoscenza" non può esaurirsi nel catalogo positivo di quanto già si crede di sapere; e, praticamente, è la consapevolezza di un riformatore che, essendo stato testimone della catastrofe di un regno di sergenti, sudditi e burocrati, desidera mettere, infine, la libertà alla prova.
La riforma dell'istruzione fu parte di un più ampio complesso di riforme, promosse dai ministri Stein e Hardenberg, il cui scopo era superare il sistema feudale per trasformare i sudditi prussiani in cittadini di uno stato più coeso e patriottico delle monarchie di ancien régime. Ecco i punti principali del progetto di Humboldt. 71
Per la prima volta, la Prussia istituisce un sistema di istruzione pubblica unitario e fondato su criteri comuni, amministrati attraverso ispezioni ed esami di stato.
Il compito dell'istruzione generale viene distinto da quello dell'addestramento tecnico e professionale, confinato in scuole speciali: non si tratta di trasformare i figli dei calzolai in calzolai, bensì i bambini in esseri umani.
Di conseguenza, il diritto all'istruzione è universale ed è orientato alla formazione umana, cioè a rendere il discente capace di pensare e imparare da sé, così da poter diventare cittadino, da suddito che era.
Il percorso di formazione si articola in tre fasi:
elementare (scuola preparatoria che fornisce capacità letterarie e aritmetiche di base, nonché nozioni elementari di geografia e storia naturale e umana);
scolastica (ginnasio umanistico: ginnastica, musica, arte, matematica, storia umana e naturale, tedesco, greco, latino): il suo scopo è l'esercizio delle facoltà e l'acquisizione delle conoscenze che rendono possibile comprendere e praticare la scienza;
universitaria (ricerca libera).
La fase scolastica si conclude con un esame di maturità obbligatorio. Uno scolaro è maturo per l'università quando le nozioni apprese da altri lo mettono in grado di studiare da sé.
Le conseguenze a lungo termine della riforma humboldtiana - che pure non si realizzò pienamente in seguito alla successiva vittoria della coalizione antifrancese - sono state riassunte così:
Dopo il 1819 la pedagogia liberale 72 humboldtiana delle scuole primarie prussiane subì un affievolimento, ma il sistema scolastico della Prussia fu oggetto di ammirazione internazionale per l'umanità del suo ethos e la qualità del suo rendimento. L'università Federico Guglielmo, con il suo potente impegno istituzionale per la libertà della ricerca, divenne un modello apprezzato in tutt'Europa e ampiamente emulato negli USA, dove le prescrizioni di Humboldt contribuirono a costituire l'idea di un'accademia moderna. 73
"Accademia" era il nome dell'istituzione fondata da Platone intorno al 378 a.C. ad Atene, nei pressi di un bosco sacro all'eroe Academo. L'Accademia era una scuola e una comunità di studi secondo lo stile antico per il quale la filosofia non era una dottrina, bensì un modo di vita connesso a un discorso giustificativo. 74 L'Accademia di Atene, rifondata dopo una lunga interruzione, fu chiusa nel 529 d.C. dall'imperatore bizantino Giustiniano, che la considerava una roccaforte del pensiero pagano.
A partire dal Rinascimento, in concomitanza con il diffondersi dell'Umanesimo e l'invenzione della stampa a caratteri mobili, si chiamarono accademie, in omaggio a quella platonica, delle associazioni, inizialmente informali, di studiosi di varia estrazione uniti da interessi comuni, ed esterne rispetto al monastero e all'università, luoghi tradizionali della cultura medioevale.
Le prime accademie si svilupparono nel paese in cui fiorì l'Umanesimo, l'Italia. Per esempio, l'Accademia della Crusca, nata a Firenze da un gruppo di amici che si ribattezzarono "brigata dei crusconi", si strutturò poi ufficialmente con lo scopo di presidiare la lingua volgare, separando, per così dire, il fior di farina dalla crusca. Alla Crusca si deve il primo vocabolario della lingua italiana, consultabile qui, la cui stampa fu finanziata, in mancanza dell'appoggio mediceo, con un sistema di sottoscrizione basato sulla raccolta di piccoli contributi di autori e lettori, simile all'attuale crowdfunding. 75 Tipicamente, però, le accademie erano sostenute da aristocratici mecenati che volevano promuovere il proprio prestigio, imitati successivamente dai monarchi, anch'essi interessati a offrire il loro patrocinio e il loro controllo per non essere da meno dei nobili di rango inferiore.
L'accademia scientifica più antica, quella dei Lincei, fu fondata a Roma nel 1603 e annoverò fra i suoi soci Galileo Galilei, offrendogli un appoggio editoriale e politico che gli consentì di resistere, almeno temporaneamente, alla pressione della Chiesa.
Coloro che si associano nelle prime Accademie intendono proteggersi soprattutto da due cose: la politica e l’invadenza delle teologie e delle Chiese. I Lincei «hanno per costituzion particolare sbandita da’ loro studii ogni controversia fuor che naturale e matematica, e rimosse le cose politiche». A tutti i membri della Società – recita un testo della Royal Society – «si chiede un modo di parlare discreto, nudo, naturale, significati chiari, una preferenza per il linguaggio degli artigiani e dei mercanti piuttosto che per quello dei filosofi» (Sprat, 1667: 113).
Ci sono alcuni punti che, a proposito delle Accademie e delle Società scientifiche, vanno sottolineati con forza: l’esistenza di riunioni fra dotti, l’esistenza di particolari regole di comportamento per quelle riunioni, l’assunzione di un atteggiamento critico verso le affermazioni di chiunque come norma principale del comportamento. La verità non è legata alla autorevolezza della persona che la enuncia, ma solo alla evidenza degli esperimenti e alla forza delle dimostrazioni. 76
Anche a causa della situazione italiana, l'accademia più importante per la storia della scienza non fu quella dei Lincei, che decadde rapidamente dopo la morte del suo fondatore, bensì la Royal Society di Londra, presso la quale si sviluppò la prima rivista scientifica moderna, le Philosophical Transactions of the Royal Society. Anch'essa era nata da un gruppo informale, l'invisible college, che nel 1663 aveva ricevuto il riconoscimento del re Carlo II.
L'accademia, offrendo un "registro sociale e pubblico dell'innovazione scientifica", permetteva una discussione più libera e aperta di quella possibile nelle università, nei monasteri e nelle scuole ecclesiastiche, ancorché riservata soltanto ai suoi membri e vincolata da una prudente deferenza nei confronti del potere politico. 77 In generale, questa libertà circoscritta e relativa andò di pari passo con la limitazione della libertà delle università, che, alla fine dell'età moderna, si limitavano a conferire titoli di studio e una qualche forma di riconoscimento sociale, senza introdurre gli studenti alla vita del sapere. 78
[ 1 ] Christopher Clark, Iron Kingdom: The Rise and Downfall of Prussia, 1600-1947, Cambridge (Mass.), Belknap Press of Harvard University Press, 2009, ch. 10.
[ 2 ] Questo modello fu applicato negli USA con i Morrill Land-Grant Acts (1862, 1890). Non fu invece applicato in Prussia: il ministro Friedrich von Schuckmann, successore di Humboldt, pensava che l'indipendenza economica avrebbe reso difficile tenere l'università sotto il controllo dello stato (Adolph Wagner, Die Entwicklung der Universität Berlin, 1810-1896, Becker, Berlin, 1896, p. 10).
[ 3 ] Le riforme del ministro Stein miravano a estendere la cittadinanza e a promuovere le autonomie locali. Humboldt ne condivideva lo spirito: le sue Idee per un saggio sui limiti dell'attività dello stato (Ideen zu einem Versuch, die Gränzen der Wirksamkeit des Staats zu bestimmen (1792), in Wilhelm von Humboldts Gesammelte Schriften 1. Abteilung, hrsg.v. Albert Leitzmann. Königlich-Preussische Akademie der Wissenschaften, Bd. I. Berlin, Behr, 1903, ss.131 ff.; trad.it. pp. 110 ss.) suggerivano di devolvere le funzioni organizzative statali non connesse con la sicurezza a Nationalanstalten, ossia a istituzioni civili fondate su contratti, la cui autorità dipendesse dal consenso degli associati e non dalla coercizione. Quest'ultima, infatti, produce eteronomia e uniformità, perché non propone alla nostra libertà il ventaglio delle soluzioni possibili, ma decide che cos'è meglio e lo impone. Il liberalismo etico-culturale di Humboldt ammette tuttavia una Nationalerziehung (educazione nazionale) positiva, per coloro che sono ancora all'inizio della loro formazione (ibidem, pp. 114 ss.), che però non è un'"educazione pubblica" ordinata e impartita direttamente dallo stato (ibidem, p. 143). Diciassette anni dopo Humboldt dovette articolare la sua visione amministrando una riforma nella quale attribuì allo stato un ruolo a un tempo pericoloso e indispensabile.
[ 4 ] Max Weber, Wissenschaft als Beruf,, 1919: la conferenza dedicata alla scienza come professione risale però al 1917.
[ 5 ] Ibidem,s. 5, trad. it. di Pietro Rossi, La scienza come professione. La politica come professione, Torino, Einaudi, 2004, pp. 23-24.
[ 6 ] Il richiamo di Weber - morto nel 1920 - alla perdita della proprietà della propria biblioteca anticipa profeticamente la cosiddetta crisi dei prezzi dei periodici scientifici dell'ultimo terzo del XX secolo.
[ 7 ] J.C. De Martin, Università futura, Torino, Codice, 2017, pp. 95 ss.;163 ss.; la versione ad accesso aperto è in fondo a questa pagina. Chi invece è favorevole alla modernizzazione dell'università - per esempio Hans Pechar, The Decline of an Academic Oligarchy. The Bologna Process and ‘Humboldt’s Last Warriors’, 2012 - vede il richiamo a Humboldt come espediente per una difesa conservatrice di privilegi non più giustificabili.
[ 8 ] Per uno sguardo d'insieme si veda M.C. Pievatolo, «L'università e le sue crisi: una riflessione storica», Bollettino telematico di filosofia politica, 2012. La crisi dell'università moderna è rappresentata efficacemente da Carlo Goldoni nel XXII capitolo delle sue Memorie per l’istoria della sua vita e del suo teatro che narra della sua laurea in giurisprudenza in un'università - quella di Padova - nella quale "si facevan dottori senza dottrina".
[ 9 ] Paolo Grossi, «Un diritto senza stato (la nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medioevale)», Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 25, 1996, pp. 267-284.
[ 10 ] Come scrive Paolo Prodi (Università e città nella storia europea § 3, in Id. Università dentro e fuori, Bologna, il Mulino, 2013), "Lutero è professore universitario e in quanto tale ottiene udienza e credibilità presso i principi e l’opinione pubblica, prevalendo in quanto universitario sui prelati della Chiesa ufficiale: la Riforma può attecchire perché da tempo ormai l’università si è affermata come un magistero di tipo nuovo, in collusione o collisione con il nuovo potere politico statale, e il sacerdozio gerarchico può essere attaccato con successo anche perché lo si può sostituire con una figura nuova di protagonista-professionista il cui paradigma più alto è costituito dal professore universitario".
[ 12 ] Wissenschaft si può tradurre con "scienza" solo se la intendiamo nel suo significato lato, etimologico, connesso al verbo latino scire ("sapere", corrispondente al tedesco wissen): Humboldt non sta dunque parlando semplicemente delle scienze della natura, bensì del sapere nel suo senso ampio
[ 13 ] Nel §31 del manoscritto Lo spirito dell'umanità questo modo di procedere, che comincia con la determinazione dell'oggetto, è chiamato "via della ragione" in opposizione alla "via dell'esperienza" (§13), che prende le mosse da esemplari storici. Humboldt preferisce ripartire dal concetto, invece che dilungarsi nell'analisi storica di un'istituzione che nel corso del XVIII secolo aveva vissuto una crisi gravissima e ancora irrisolta.
[ 14 ] Nel Conflitto delle facoltà (1798) Kant aveva anche coerentemente sostenuto il primato del sapere critico e della ricerca di base sull'istruzione professionalizzante.
[ 15 ] Per una posizione opposta, a proposito dell'attuale crisi della scienza, si veda Daniel Sarewitz, Saving Science, The New Atlantis, Spring-Summer 2016, secondo cui merita di sopravvivere solo la ricerca che risolve, applicativamente, i problemi proposti dal sistema militare e industriale. Questa opinione, tuttavia, presuppone che simili criteri di valutazione siano evidenti, e non invece, come sostiene, per esempio, Jerome Ravetz - altamente discutibili.
[ 16 ] Il frammento di Humboldt sostiene una tesi più radicale di quella di chi oggi giustifica gli studi non finalizzati al profitto riconnettendoli però a interessi esterni, quali - per esempio - quello della democrazia.
[ 17 ] Birgit Schaffar, Michael Uljens, Paradoxical Tensions Between Bildung and Ausbildung in Academia , in Elias Westergaard and Joachim S. Wiewiura (eds), On the Facilitation of the Academy, Rotterdam, Sense, 2015. In italiano si veda Mario Gennari «La nascita della Bildung» Studi sulla formazione 17 (1): 2014, pp. 131–49. doi:10.13128/Studi_Formaz-15038.
[ 18 ] Traduzione rielaborata sulla base della versione di Pia Di Fidio in W. von Humboldt, Università e umanità, a cura di Fulvio Tessitore. Napoli: Guida, 1970, p. 50.
[ 19 ] Su questo tema, si veda la discussione del matematico Giorgio Israel sulla cosiddetta "didattica per competenze": «Sulla questione delle competenze », Scuola democratica, 2 NS, 2011.
[ 20 ] Il capitolo XI di Se questo è un uomo di Primo Levi rappresenta incisivamente, in una situazione estrema, la differenza fra l'essere umano, protagonista della Bildung, e la risorsa umana oggetto di addestramento e sfruttamento.
[ 21 ] La traduzione italiana Lo spirito dell'umanità è leggibile in W. von Humboldt, Scritti filosofici, a cura di Giovanni Moretto e Fulvio Tessitore. Torino, UTET, 2007; l'originale tedesco è ospitato dall'Internet Archive:Wilhelm von Humboldts Gesammelte Schriften 1. Abteilung, hrsg.v. Albert Leitzmann. Königlich-Preussische Akademie der Wissenschaften, Bd. II. Berlin, Behr, 1904.
[ 22 ] "L’essere umano, per il quale è un bisogno rispettare la conseguenza e l'unità nel proprio pensare ed agire, non può limitarsi a seguire considerazioni contingenti nella valutazione degli oggetti della sua attività e nella scelta dei suoi mezzi, né può assumere a misura di ciò che è buono e desiderabile unicamente cose che, a loro volta, hanno valore soltanto in relazione ad altre; egli deve porsi alla ricerca di un fine ultimo, di una misura prima e assoluta, e questa realtà ultima deve essere strettamente e direttamente affine alla sua natura interiore", W. von Humboldt, Lo spirito dell'umanità § 1; traduzione., con qualche modifica, in Scritti filosofici cit..
[ 23 ] Ibidem, §4.
[ 24 ] Ibidem, §5.
[ 25 ] E precisamente la sezione III, § 11 della Dottrina degli elementi dell'etica, dedicata al servilismo.
[ 26 ] W. von Humboldt, Lo spirito dell'umanità cit. § 7: "Nella ricerca di questo quid sconosciuto e dei mezzi per raggiungerlo, fin dove procede teoreticamente, l’essere umano, che può contare sulla possibilità di una collaborazione generale, deve rivolgere la propria attenzione a tutti gli uomini, deve mirare all'elevazione dell'intero genere umano. Nell'applicazione pratica di quei mezzi invece egli deve rinchiudersi in se stesso, giacché sarebbe folle pretendere di accogliere in un determinato programma ciò di cui non si può pienamente disporre. L'intelletto cerca la propria totalità nel mondo e non conosce limiti diversi da quelli che questo gli impone; la volontà invece rinviene i propri limiti nell'individuo, oltre il quale mai osa spingersi."
[ 27 ] Ibidem, §8-9.
[ 28 ] Ibidem, §8; traduzione italiana da Scritti filosofici cit., con qualche modifica.
[ 29 ] Si veda anche Pierre Lévy, Cybercultura, Milano, Feltrinelli, 1999.
[ 30 ] Sulla questione della rivedibilità delle scelte collettive vale ancora la pena confrontarsi con la trattazione offerta da Kant nel suo articolo sull'Illuminismo.
[ 31 ] Si pensi, per esempio, agli effetti del regime fascista sull'università italiana, al lysenkoismo sovietico o alla "fisica tedesca" nella Germania nazista.
[ 32 ] Per esempio, il riconoscimento scientifico e medico del nesso fra consumo di zuccheri e obesità, diabete e patologie cardiache fu ed è fortemente ostacolato sia dall'interferenza di potenti interessi industriali sia dal conformismo della comunità scientifica: Ian Leslie, «The sugar conspiracy», The Guardian, 7 Apr, 2016. In italiano si veda: Valentina Murelli, «Le dolci bugie di Big Sugar: un'inchiesta americana svela i segreti e le furberie dell'industria dello zucchero», Il fatto alimentare, 12/11/2012; Fabio Di Todaro, «Multinazionali del cibo e scienziati: i finanziamenti delle aziende al mondo della ricerca scientifica potrebbero incidere sui risultati degli studi», Il fatto alimentare, 18/2/2015; Valentina Murelli, «150 mila dollari a tre scienziati, così big sugar ha “coperto” i rischi dello zucchero nelle malattie cardiovascolari. Le rivelazioni su Jama», Il fatto alimentare, 13/9/2016.
[ 33 ] Richard K. McKenzie, in Why Professors Have Tenure and Business People Don't, spiega che i professori universitari non sono licenziabili, a differenza dei dipendenti del settore privato, perché il loro lavoro è soggetto a essere condizionato politicamente, non tanto, in primo luogo, dall'esterno, quanto dall'interno, da parte dei colleghi, come avvenne perfino nell'Italia fascista (Giovanni Belardelli, 1938. Caccia alle cattedre degli ebrei, Corriere della Sera, 10/9/1996).
[ 34 ] Si veda, per una narrazione in prima persona, l'anonimo «Perché lo fai?» in Solo un altro post-doc, 26/10/2017.
[ 35 ] Henry Blackburn, Thomas Louis, James White, «University-Industry Relations: academic Freedom or academic License?», 1989: "What happens when the academic process becomes driven by the motives of industry based on the bottom line of profit? Or when the resources of the university and an “anointed faculty” are so stretched that they are no longer fully available to their students and patients or to traditional, non-industry supported research? Will legislatures remain concerned about its university’s resources or faculty salaries if industry is ”taking care” of us? When will industry ties reach a point where a true exchange of ideas is oppressed or perverted? Are safeguards and guidelines possible for university-industry relationships that are consonant with academic freedom? Should the University recognize that individual conscience is not the sole or sufficient determinant of faculty behavior and enterprise, though always the most important? Is “academic freedom” the only institutional framework within which faculty decisions should be made about outside pursuits? Does academic freedom really mean the freedom for an individual to make any and all decisions to carry out any and all activity, or to develop any kind of partnership with industry, constrained only by legal advice under departmental authority and perfunctory review? Can academic freedom survive out of context of eroded faculty commitment and diminished institutional credibility? When does academic freedom become academic license?"
[ 36 ] Per la differenza fra libertà negativa e libertà positiva si rinvia alla voce "Libertà" scritta da Norberto Bobbio per l'Enciclopedia del Novecento.
[ 37 ] Michael Polanyi, «The Republic of Science: Its Political and Economic Theory», Minerva, 1, 1962, pp. 54-74.
[ 39 ] O, ancor peggio, le attribuisce indebitamente a se stesso: Mario Biagioli, «Recycling Texts or Stealing Time?:Plagiarism, Authorship, and Credit in Science», International Journal of Cultural Property, 19, 2012, pp. 453–476.
[ 40 ] Björn Brembs, Why academic journals need to go, 16 gennaio 2018.
[ 41 ] Come ha scritto Giuseppe Longo in «Science, Problem Solving and Bibliometrics» (ora in Roars, 19 ottobre 2013), mentre la ricerca applicata risolve problemi che le sono posti, la scienza tratta problemi che essa stessa pone. Limitarsi ad affrontare, giorno per giorno, i problemi che ci sono posti è tipico della vita animale: l'essere umano, in più, riflettendo su stesso e sul mondo, cioè ponendosi problemi, costruisce nuove prospettive, nuove strutture concettuali e perfino nuovi oggetti di conoscenza. "Science" - diceva, humboldtianamente, il fisico Richard Feynman - "is the belief the ignorance of experts".
[ 42 ] Su questa base un passo famoso del Teeteto di Platone (172d-173c) distingue la filosofia dalla politica; si veda inoltre Colleen Flaherty, «'The Slow Professor'», Inside Higher Ed, April 19, 2016.
[ 43 ] Vannevar Bush, nella sua relazione del 1945, Science The Endless Frontier, I.1, argomentava a favore di una libertà accademica simile a quella humboldtiana e di una scienza altrettanto indefinita: "Scientific progress on a broad front results from the free play of free intellects, working on subjects of their own choice, in the manner dictated by their curiosity for exploration of the unknown". I suoi motivi, però, erano molto più pragmatici.
[ 44 ] Mentre un'azienda privata, la cui ricerca è a fine di lucro, può - come ha fatto recentemente la Pfizer - chiuderne un settore perché i suoi risultati non sono smerciabili sul mercato, nello spirito di Humboldt questo tipo di ricerca, proprio in quanto si occupa di problemi non risolti, dovrebbe essere sostenuto pubblicamente nelle università e nelle accademie.
[ 45 ] W. von Humboldt, Ideen zu einem Versuch, die Gränzen der Wirksamkeit des Staats zu bestimmen (1792) cit., p.101.
[ 46 ] "Se la 'Bildung' ideale non è semplicemente individualistica, ma postula una insostituibile dimensione sociale, in quale, non opprimente, organizzazione statale può trovare posto quell'organizzazione che è l'uomo?" (Fulvio Tessitore, La filosofia politica di Humboldt, Napoli, Morano, 1965, p.119).
[ 47 ] Per esempio, in tempi recenti si è diffusa la convinzione che le citazioni, in quanto strumento con il quale un autore scientifico riconosce il merito del lavoro altrui, siano la moneta della scienza: di conseguenza, alcune amministrazioni, universitarie o statali, hanno cominciato a basarsi sul numero delle citazioni per premiare gli studiosi più validi e migliorare la qualità della ricerca. Questa convinzione ha operato riflessivamente, secondo la legge di Goodhart, inducendo i ricercatori a non perseguire come scopo primario la ricerca, bensì il numero di citazioni (si veda, per una rapida rassegna della letteratura sul tema, l'argomento 5 di Alberto Baccini, «Collaborazionisti o resistenti. L’accademia ai tempi della valutazione della ricerca», Roars, 2016, nonché Mario Biagioli, «Watch Out for Cheats in Citation Game», Nature, 2016). Si è certamente ottenuto qualcosa - una generazione di ricercatori animata dallo scopo della popolarità citazionale - ma non esattamente quello che, almeno a parole, si desiderava - una ricerca moralmente più seria e contenutisticamente più ricca (Marc A. Edwards, Siddhartha Roy, «Academic Research in the 21st Century: Maintaining Scientific Integrity in a Climate of Perverse Incentives and Hypercompetition», Environmental Engineering Science 0/0, 2016). In generale, un esperto che sa esclusivamente autopromuoversi è soltanto un esperto di autopromozioni. L'intervento amministrativo non ha dunque operato meccanicamente, bensì riflessivamente; e la sua opinione sbagliata non è rimasta impunita, avendo prodotto una crisi della credibilità della scienza da cui non siamo ancora usciti (Ivan Oransky, Marcus, Adam, «Two Cheers for the Retraction Boom», The New Atlantis, Spring-Summer 2016).
Sul paradosso essenziale dell'azione sociale si veda Sandro Landucci, «Merton, la riflessività e la scienza sociale impossibile», Quaderni di Sociologia, 51, 2009, pp. 129-167.
[ 48 ] W. von Humboldt, «Ideen über Staatsverfassung, durch die neue französische Constitution veranlasst» (1791) in Wilhelm von Humboldts Gesammelte Schriften Bd. I, s.79, cit., «Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese» trad.it. p. 102, corsivo aggiunto.
[ 49 ] Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2015, 5.1; il corsivo dell'ultimo capoverso citato è mio.
[ 50 ] Si veda anche Timothy Bahti, «Histories of the University: Kant and Humboldt», MLN, 102/3, 1987, p.15.
[ 51 ] A titolo di esempio, Humboldt menziona l'elevazione delle spiegazioni naturali da meccaniche, cioè basate su elementi che permettano di descrivere rigorosamente il moto dei corpi, a dinamiche, cioè tramite le cause che lo determinano, a organiche, cioè entro in un sistema internamente coordinato nelle sue parti e infine, in senso lato, a psichiche, perché in ultima analisi il sapere è il nostro tentativo di costruire una visione del mondo rigorosa e condivisa, nel quale dare a noi stessi senso e conseguenza, e a noi stessi deve essere ricondotto.
[ 52 ] La distinzione fra ideale e idea si può comprendere sulla base della seconda edizione della Critica della ragion pura (Ak III, 383-384). Kant definisce l'ideale come un'idea determinata in individuo, cioè come come modellazione individuale del paradigma razionale universale offerto dall'idea.
[ 53 ] Humboldt osserva che questo spirito, che in ogni caso non può essere imposto, è già presente nel suo popolo [17]. Madame de Staël, nel XVIII capitolo del suo De l’Allemagne, metteva in relazione il genio filosofico dei tedeschi proprio con l'indipendenza della loro università e la libertà di pensiero conferita dalla distanza dei suoi studiosi dalla carriera politica e dalla formazione professionale.
[ 54 ] Dopo il 1815, il sistema di reclutamento prussiano si stabilizzò così: per tenere dei corsi universitari si doveva possedere una Habilitation o venia legendi riconosciuta da un ateneo. Ottenuta l'abilitazione, il docente cominciava a insegnare come Privatdozent non stipendiato, ma libero da vincoli curricolari e disciplinari, per essere successivamente assunto come professore da parte dello stato, Lo stato, a sua volta, poteva deliberare sulle assunzioni indipendentemente dalle richieste delle facoltà, ma con un vincolo importante: le nomine erano attribuibili esclusivamente a studiosi che godevano della venia legendi (R.D. Anderson, European Universities from the Enlightenment to 1914, Oxford Scholarship Online, 2010, ch. IV.).
[ 55 ] Come osservava Max Weber in Wissenschaft als Beruf, cit. s. 3, questo sistema, se da una parte poneva il libero docente al riparo dal licenziamento, dall'altra tuttavia rendeva la carriera accademica accessibile solo a chi era abbastanza ricco da potersi permettere un lungo periodo di incertezza economica.
[ 56 ] Per un termine di confronto contemporaneo si veda invece Ben R. Martin, «What’s happening to our universities?» Prometheus Vol. 34, Iss. 1, 2016.
[ 57 ] Come termini di confronto contemporanei si veda per esempio Roberto Caso, «Dall’università-azienda all’università aperta: missione impossibile?», Roars, 1/11/2016 nonché Kathleen Lynch, «Control by numbers: new managerialism and ranking in higher education», Critical Studies in Education, 2014.
[ 58 ] Il senso di questo tipo di formazione è spiegato con chiarezza dallo storico Alessandro Barbero in «Che è questo lusso di passare anni solo a studiare? No, no: alternanza scuola lavoro!», Roars, 30 gennaio 2018.
[ 59 ] Benedetto Croce, Ancora di liberalismo, liberismo e statalismo, 1947, corsivi miei.
[ 60 ] E in questo si distingue esplicitamente da Kant, che, nel suo Conflitto delle facoltà aveva scelto di parlare del modello ideale in modo obliquo, discutendo di istituzioni esistenti rappresentate ironicamente come accidentali.
[ 61 ] Humboldt presuppone implicitamente che il rapporto numerico fra docenti e studenti sia tale da non rendere l'insegnamento universitario "così faticoso da dover rappresentare un'interruzione del tempo libero dello studio anziché un suo sussidio" [32].
[ 62 ] Jonathan Wolff, «University research and the rise of academic bragging contests», The Guardian, 17 May 2016.
[ 63 ] Franz-Michael:Konrad («Wilhelm von Humboldt's Contribution to a Theory of Bildung», p. 123, in In: Pauli Siljander, Ari Kivelä, Ari Sutinen (eds): Theories of Bildung and Growth : Connections and Controversies between Continential Educational Thinking and American Pragmatism. Rotterdam, Boston, Taipei, Sense Publishers, 2012, pp. 107-124, trad. mia) scrive: "L'unico scopo della Bildung, secondo Humboldt, è dare all'individuo una forma interiore che non permetterà di trasformarlo in un oggetto del mercato e della società. Humboldt, cogliendo ottimamente l'essenza della Bildung con questa immagine, parlava di una misura interiore. Specialmente se la Bildung è intesa come un confronto attivo con un mondo esterno, deve essere vero che in un mondo fragile e costantemente mutevole che può essere difficilmente capito dal singolo, c'è più che mai bisogno di qualcosa di stabile che ci dia orientamento. Questo qualcosa, che si deve trovare in noi stessi, è Bildung. La Bildung è un processo attivo di appropriazione del mondo, ma per formare una forza o un assetto interiore. In questo senso, la Bildung è un processo aperto, riflessivo, infinito, guidato da un'idea utopica dell'essere e della natura umana nel mondo". Il testo originale è incoerentemente acquistabile, a carissimo prezzo, sul sito di una multinazionale dell'editoria scientifica; può però essere visto quasi per intero su Google Books.
[ 64 ] Come scrive Lucio Russo (La cultura componibile, Napoli, Liguori, 2008, pp. 3 ss.) in una società senza cultura generale ignoranza e iperspecialismo sono facce della stessa medaglia: "Come spesso accade (la storia politica dell’ultimo secolo ne fornisce abbondanza di esempi) le due possibilità presentate come opposte in realtà si sostengono a vicenda, eliminando le possibili alternative. In una civiltà con un minor grado di parcellizzazione del sapere, come è stata quella europea fino alla prima metà del XX secolo, erano presenti una classe media dotata di una cultura condivisa relativamente ampia e un sottile strato di intellettuali capaci sia di immergersi a fondo in questioni specialistiche, sia di riemergerne dando significato al proprio lavoro settoriale. Le due categorie potevano sussistere solo grazie alla reciproca interazione. La cultura diffusa derivava infatti, più o meno direttamente, da quella prodotta dagli intellettuali, determinando la loro utilità sociale. Inoltre la capacità dell’antico specialista di guardare dall’esterno la propria specializzazione, ed eventualmente di attraversarne più d’una o anche di crearne, richiedeva certo grande capacità e impegno ma era resa possibile dalla circostanza imprescindibile che l’intellettuale, prima di divenire uno specialista, aveva acquisito precocemente gli strumenti culturali generali di base che condivideva con il gruppo molto più ampio di quelle che erano dette 'persone colte'."
[ 65 ] Antonio Scalari, «Perché la scienza non si comunica a suon di schiaffi», Valigia Blu, 3 gennaio 2017: "le persone non si comportano come recipienti vuoti da riempire con nozioni" e dunque " la comunità scientifica non deve limitarsi a trasferire conoscenze con un approccio 'paternalistico', ma deve discutere in modo trasparente e aperto, e alla pari, con il pubblico. Il pubblico diventa così un attore del processo decisionale, perché le implicazioni di numerosi campi della ricerca scientifica, dalla medicina all'ambiente, riguardano tutta la società, non solo gli esperti."
[ 67 ] Questa è la formula delle libera ricerca e della libera discussione come espressa da un altro liberale etico, Benedetto Croce, in Liberalismo e liberismo (1927). Il testo crociano prosegue con "e anzi è il pensiero stesso" che qui è stato tagliato perché non è indispensabile essere idealisti per discutere di idee così da evitare di essere schiavi di qualche economista defunto.
[ 68 ] Ernst Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Bruno Cassirer, Berlin, 1923, pp. 98-106.
[ 69 ] Andrea Tarabba, Le lingue che nessuno parlerà più, 6 giugno 2014; Sarandrea Carlo, Le lingue muoiono in tutto il mondo man mano che il pianeta si globalizza, 23 maggio 1999.
[ 70 ] Per apprezzare la differenza fra una concezione del linguaggio come codice e una teoria del linguaggio come visione del mondo, si consiglia di leggere Douglas Hofstadter, «The Shallowness of Google Translate». The Atlantic. January 2018,
[ 71 ] Un'utile sintesi dei punti fondamentali della riforma humboldtiana dell'istruzione si trova in Christopher Clark, nel decimo capitolo del suo libro dedicato all'ascesa e alla caduta della Prussia. Essendo il testo ad accesso chiuso, ho dovuto aggiungere link illustrativi a pagine in tedesco: Die Bildungsidee Humboldts offerto dal Wilhelm-von-Humboldt-Gymnasium di Ludwigshafen am Rhein, nonché l'estratto della memoria scritta da Humboldt nel 1809, Der Königsberger und der Litauische Schulplan.
[ 72 ] Qui si usa l'espressione "liberale" in un senso etico-culturale, similmente a Benedetto Croce (Liberismo e liberalismo cit.). Vale però la pena sottolineare che lo stesso Luigi Einaudi, a cui Croce si contrappose distinguendo fra liberalismo etico e liberismo economico, era favorevole all'universalità del diritto all'istruzione (Lezioni di politica sociale, Torino, Einaudi, 1949, pp. 169-246; leggibile in Nonmollare, 012, 15 gennaio 2018, p. 25) .
[ 74 ] Pierre Hadot, Qu'est-ce que c'est la philosophie antique?, Paris, Gallimard, 1995, p.18 (trad. it. di E. Giovannelli, Che cos'è la filosofia antica?, Torino, Einaudi, 1998, p.5).
[ 75 ] John Willinsky, The Intellectual Properties of Learning A Prehistory from Saint Jerome to John Locke. Chicago, University of Chicago Press, 2018, IX, p. 6 o 213 (nel testo definitivo ad accesso chiuso).
[ 77 ] Perfino la pratica della revisione paritaria, molto prima di essere trattata come una garanzia della qualità scientifica (Alex Csiszar, «Peer review: Troubled from the start», «Nature», 19 April 2016) affonda la sue radici nella censura assolutistica sulla stampa (Mario Biagioli, «From Book Censorship to Academic Peer Review», Emergences, 12,1, 2002);
Wilhelm von Humboldt: un frammento di università by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/humboldt