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Online Journal of Political Philosophy

Il sostegno dello stato

Un compito infinito

A dispetto della pericolosità strutturale del suo intervento, lo stato si occupa dell'università per contenere un "operare in sé indeterminato e per così dire casuale" in una forma più rigida [8]. Perché il sapere abbia effetto nella società così com'è deve presentarci tramite forme e strumenti esteriori [11]. Senza una qualche specie di istituzionalizzazione, infatti, istruzione superiore e ricerca dipenderebbero dalla circostanza accidentale che alcuni abbiano la fortuna di disporre di tempo libero e scelgano di dedicarlo al sapere, o capiti loro di studiare soluzioni per qualche problema in cui s'imbattono nel mondo della prassi.

Lo stato, dopo la fine dell'Ancien Régime, è l'unica autorità ancora in grado di garantire l'istituzionalizzazione. Il suo compito, però, è tanto infinito quanto quello della Bildung: si tratta infatti di adeguare l'università a un'immagine [Bild] mobile come la vita dello spirito; e, per di più, si deve farlo con strumenti che rischiano di pervertirne l'attuazione.

La sua organizzazione deve osservare "il principio di considerare la scienza come qualcosa di ancora non del tutto trovato e mai del tutto rinvenibile e di cercarla, come tale, senza posa" [13]. 44 Ma lo stato deve rimaner consapevole di non poter essere causa di questa ricerca disinteressata, che tuttavia dovrebbe render possibile con il suo intervento [10]. Se infatti, si pensasse e fosse determinante con le sue pressioni, verrebbero meno il disinteresse e la libertà dell'indagine.

Lo stato, infatti, opera con un sistema di sanzioni e di premi, di incentivi e di disincentivi, che governano il comportamento degli esseri umani "in masse uniformi e obbligate", la cui necessità - scriveva Humboldt nel 1792 45 - è inversamente proporzionale al grado di libertà e di cultura della società su cui insiste. Com'è possibile immaginarlo impegnato in un intervento che non riduca, ma protegga la cultura e la libertà degli istituti scientifici superiori?

La funzione dello stato: lo spirito [9-20]

Autolimitazione

La Bildung non può essere creata da singoli isolati, ma richiede una cooperazione che ha bisogno del sostegno dello stato per diventare socialmente visibile e stabile. 46 Humboldt si occupa delle modalità amministrative dell'intervento statale solo alla conclusione del capoverso [22 ss], dopo aver dedicato i capoversi precedenti [9 ss] allo spirito che dovrebbe animarlo.

Lo stato deve mantenere attiva la ricerca [9 ss], finanziandola e offrendo gli strumenti normativi che ne rendano possibile lo svolgimento [11] e avendo cura di non confondere gli istituti scientifici superiori, che mirano a quello che non sappiamo ancora, con gli istituti scolastici, sia teorici sia professionali, che insegnano quanto è già noto e come applicarlo - cioè si interessano di quello che siamo e di quello che facciamo, ma non di quello che potremmo essere.

Lo stato, tuttavia, deve essere consapevole che gli strumenti della sua azione, non pensati per la libertà della ricerca ma per la protezione della sicurezza, sono intrinsecamente dannosi per lo sviluppo del sapere, indipendentemente dall'uso che ne fa [11, 26]: la ricerca vive di libertà e di impegno individuale, mentre lo stato usa la coercizione e agisce sulle masse. Da questa consapevolezza deve scaturire la disposizione, autocritica, a tornare sui propri passi per correggere i propri errori.

Si potrà constatare dai risultati se l'intervento dello stato non tradisce il "principio di considerare la scienza come qualcosa di ancora non del tutto trovato e mai del tutto rinvenibile e di cercarla, come tale, senza posa" [13] ma vede semplicemente il suo processo in una prospettiva diversa.

In generale, anche nel suo operato pratico, un’opinione inesatta, checché se ne possa dire, non rimane mai impunita, perché nello stato nessun agire è meramente meccanico. [12]

Lo stato è esposto alla tentazione di abbandonare il principio dell'incompiutezza della scienza per pretendere dall'università prodotti determinati e misurabili, ritenendosi in grado di ottenere meccanicamente, con castighi e incentivi, una ricerca di buona qualità. L'effetto del suo intervento, però, deve fare i conti con la riflessività di ogni progetto sociale: chi condiziona i ricercatori "in masse uniformi e obbligate" può certo produrre dei mutamenti, ma non esattamente quelli che desidera. In altre parole, la coercitività non attenua, bensì rafforza il cosiddetto paradosso essenziale dell'azione sociale, per il quale l'opacità e la reattività dell'oggetto su cui si opera conducono a sviluppi diversi da quelli nominalmente nei piani di chi ha preso l'iniziativa. 47

In «Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese» (1791), discutendo della possibilità di realizzare mutamenti radicali per via d'ingegneria costituzionale, Humboldt distingue due modalità dell'intervento statale: la prima. meccanica, costringe le persone dall'esterno sulla base a nozioni generali ma precarie perché basate su dati empirici e dunque contingenti; la seconda, invece, accetta di farsi influenzare riflessivamente dal suo oggetto, lasciando spazio alla libertà individuale. Applicare questa distinzione al rapporto fra lo stato e la comunità scientifica aiuta a chiarire le righe altrimenti enigmatiche del capoverso 12. Come non si può costringere un popolo alla democrazia, se democrazia si vuole ottenere, così non si può produrre una scienza vivace e continuamente progrediente con pressioni amministrative, se scienza si vuole ottenere.

Tutta la nostra scienza e conoscenza si fonda su idee generali, vale a dire, trattandosi di oggetto d’esperienza, incomplete e vere a metà; dell’individuale possiamo cogliere molto poco, mentre qui tutto dipende da forze individuali, da azioni, sofferenze e soddisfazioni individuali. Del tutto diversa è la situazione in cui sia il caso ad agire, mentre la ragione si sforza soltanto di guidarlo. Dalla complessiva condizione particolare del presente — poiché queste forze sconosciute sono da noi dette caso — deriva poi il risultato, e i progetti, che la ragione si è sforzata di imporre, ricevono forma e modificazione dall’oggetto stesso cui sono applicati, ammesso che i suoi sforzi sortiscano l’effetto. Nel qual caso acquistano capacità di durata e di produrre qualcosa di utile. Nel modo ora prescelto, invece, anche se attuati, essi rimangono sempre sterili. Ciò che l’uomo riesce a compiere deve scaturire dal suo intimo e non essergli dato dall’esterno. E che cos'è uno stato se non un insieme di forze umane che agiscono e subiscono? 48

Dati, princìpi, ideali ed idee

Appena si smette di cercare la scienza in senso proprio o ci si immagina che non ci sia bisogno di formarla dalla profondità dello spirito, ma si possa accumulare estensivamente raccogliendo e mettendo in fila dati, tutto va perduto per sempre e senza rimedio [14].

È facile rappresentare il sapere esteriormente, come una collezione di dati, così da valutarlo con criteri quantitativi. La raccolta di dati è certo una condizione necessaria, ma, per Humboldt, considerarla sufficiente sarebbe assai fuorviante. Per comprendere perché basta ricordare che il primo passo della rivoluzione scientifica moderna, la rivoluzione copernicana, non dipese da un'addizione di nuovi dati, ma da una cosmologia che interpretò in modo nuovo le osservazioni già note.

Il testo del De revolutionibus [orbium coelestium] (pubblicato nel maggio del 1543) fu portato, così vuole la tradizione, al letto di morte di Copernico. Nelle pagine della Dedica anche Copernico, come già aveva fatto Rheticus, insisteva sulla maggiore semplicità e armonia del sistema. Contrapponeva il nuovo all’antico insistendo sui disaccordi, le insicurezze e le contraddizioni dei seguaci della tradizione.

La rivoluzione copernicana non consistette in un perfezionamento dei metodi dell’astronomia, né in una scoperta di nuovi dati, ma nella costruzione di una cosmologia nuova fondata sugli stessi dati forniti dall’astronomia tolemaica.[...]

La rivoluzione copernicana aveva questo di caratteristico: non si limitava a contrapporre alcune tesi nuove alle tesi tradizionali, riusciva davvero a sostituire Tolomeo, a migliorare l’Almagesto sul piano dei calcoli e della costruzione delle tavole planetarie. Le nuove tavole, note come tavole pruteniche (1551), elaborate da Erasmo Rei­n­hold (1511-53) su basi copernicane, furono accolte anche da strenui avversari del nuovo sistema del mondo, e lo stesso Reinhold non fu mai copernicano. Il sistema presentato nel De revolutionibus era fondato su una raffinata matematica pitagorica che poteva essere apprezzata dagli astronomi professionali. Ad alcuni di essi quel sistema apparve non solo più semplice e armonioso del precedente, ma anche più in accordo con il presupposto metafisico (che Copernico mantiene ben saldo) della perfetta circolarità dei moti celesti.

Molti fondamentali elementi che costituiscono quel grandioso fenomeno che noi chiamiamo «la rivoluzione astronomica» (eliminazione degli eccentrici, degli epicicli, della realtà delle sfere solide, infinità dell’universo) sono del tutto assenti in Copernico. Ma ci sono testi che, senza presentarsi come rivoluzionari, provocano grandiose rivoluzioni intellettuali. Questo fu il caso di Copernico, come sarà quello di Darwin. Essi vengono letti, anche se in modo approssimativo, da un numero crescente di non specialisti. Colpiscono non solo l’intelletto, ma l’immaginazione degli uomini, eliminano vecchie e consolidate risposte e aprono una quantità di problemi nuovi. Nel caso di Copernico: che cosa è la gravità e perché i corpi pesanti cadono sulla superficie di una Terra in movimento? Che cosa muove i pianeti e come essi sono trattenuti nelle loro orbite? Quanto è esteso l’universo e qual è la distanza fra la Terra e le stelle fisse? Ma si aprivano problemi nuovi non solo all’interno delle scienze. L’ammissione del moto terrestre e l’accettazione del nuovo sistema comportavano non solo un rovesciamento dell’astronomia e della fisica e la necessità di una loro ristrutturazione, ma anche una modificazione delle idee sul mondo, una valutazione nuova della natura e del posto dell’uomo nella natura. Ci sono, in ogni sistema in instabile equilibrio (e tale era senza dubbio l’astronomia dei tempi di Copernico) punti problematici, che non si possono toccare senza che crolli l’intero sistema. Il moto della Terra era uno di questi. 49

Copernico, trattando l'astronomia come un problema ancora non del tutto risolto, ha riletto i dati già noti al sistema tolemaico per costruirvi attorno una nuova visione del mondo. Poiché ha fatto uscire la sua opera principale postuma e non ha presentato nessuna nuova osservazione, chi lo valutasse in termini di dati e di "prodotti della ricerca" lo dovrebbe bollare come mediocre. Il sapere, però, non consiste in primo luogo di dati e di libri: consiste, piuttosto, nel loro collegamento: Copernico, esemplarmente, è stato rivoluzionario perché ha istituito nuovi nessi, trascendendo l'immediatezza empirica.

Su questo sfondo, non c'è niente di mistico nella formazione della scienza "dalle profondità dello spirito" e nella triplice tensione articolata nel capoverso 16: 50 si deve perseguire l'unità del sapere, e cioè aspirare a dedurre tutto da un unico principio, 51 a formare il nostro sistema secondo un modello determinato in individuo (ideale), e infine a connettere il tutto nell'idea di cui l'ideale è sviluppo. 52 Fare ricerca, in altre parole, non è solo raccogliere dati, ma anche e in primo luogo interrogarsi sul perché lo facciamo e sulla visione del mondo che andiamo continuamente ricostruendo, in modo da ricondurla a sistema. 53 L'aspirazione al sistema è una tensione che opera tramite princìpi, ideali e idee perché, a esseri individuali, finiti e linguistici, la scienza si presenta sempre e soltanto come tentativo collettivo di risolvere un enorme puzzle di cui è ignoto il disegno e il cui possibile senso unitario è soltanto un pensiero.

La tensione a trovare un senso tramite l'attività teoretica e pratica dello spirito è filosofica e artistica in un senso non disciplinare [19]. Filosofia e arte non se ne devono stare come regine isolate al di sopra di tutti gli altri rami del sapere, ma, al loro stesso livello, devono diffondere, in modo non formalistico, la loro aspirazione teoretica e pratica al senso e all'unità. Né è necessario che questa diffusione sia uniforme: è bene, anzi, che gli istituti scientifici superiori ospitino posizioni plurali [18], e dunque anche studiosi inconsapevoli o addirittura ostili a quest'interpretazione umanista della ricerca. Basta, infatti, che essa sia oggetto di rispetto da parte di chi la comprende e di soggezione da parte di chi non la condivide - che nessuno, cioè, osi trattare, esplicitamente o implicitamente, l'esercizio d'indagine come privo di senso e di valore.

La funzione dello stato: la macchina [22-29]

Lo stato, per Humboldt, ha interesse ad assicurare e sostenere la libertà dell'università in virtù dei suoi effetti collaterali, che però possono aver luogo solo se non direttamente pianificati e imposti: "Infatti solo la scienza che ha origine dall’intimo e nell’intimo può mettere radici trasforma anche il carattere; come all’umanità, allo stato il carattere e l’agire importano assai di più del dire e del sapere" [14]. L'architettura del suo intervento è fortemente minimalista e quindi molto lontana dall'iperorganizzazione di cui i due secoli successivi hanno fatto esperienza.

L'amministrazione

Gli uomini

L'assunzione dei professori universitari e la garanzia della loro libertà, nonché delle risorse necessarie per la loro ricerca, deve essere riservata allo stato, anche se le università possono fargli presente le loro esigenze per l'una o l'altra sezione [23]. Humboldt propone di trasformare i professori in funzionari pubblici, per contemperare la pericolosità, esterna, dello stato per la libertà della ricerca con il rischio, interno, rappresentato dall'interferenza dei colleghi e dal conformismo favorito dalla prevalenza di una scuola di pensiero nell'una o nell'altra istituzione universitaria [22].

La nomina dei docenti universitari deve essere riservata esclusivamente allo stato e non è certo buona organizzazione concedere alle facoltà più influenza di quella che eserciterebbe spontaneamente un consiglio d’amministrazione ragionevole e giudizioso. Infatti all’università l’antagonismo e il contrasto sono salutari e necessari e il conflitto che si sviluppa fra i docenti tramite il loro stesso lavoro può spostare, anche involontariamente, la loro prospettiva. [41]

Il contemperamento - che presuppone uno stato capace di autolimitarsi - si attua tramite una sorta di separazione dei poteri: le università decidono della qualificazione scientifica degli studiosi tramite il conferimento della venia legendi, 54 mentre lo stato, fra gli studiosi abilitati, delibera chi assumere. Chi ha conseguito la venia legendi può tuttavia insegnare all'università come Privatdozent [44] (libero docente) senz'altro stipendio oltre quello connesso alla frequenza effettiva degli studenti ai suoi corsi. 55

Le leggi

Le "norme organizzative" dell'università devono essere "poche e semplici, ma di efficacia più profonda dell'ordinario" [24]. Il minimalismo regolamentare serve a contemperare due esigenze opposte: la scelta di trattare il sapere come un problema ancora non del tutto risolto e dunque irriducibile a parametri determinati burocraticamente e la necessità di strutturare un'organizzazione che, senza essere informe, sia però in grado di ospitare lo spazio negativo della ricerca di frontiera e della formazione libera. 56

Gli strumenti

La ricchezza di beni mobili e immobili ha un senso soltanto ausiliario e non deve mai essere lo scopo primario delle università: il fine della formazione e della ricerca, inteso come funzione pubblica, richiede un modello organizzativo diverso da quello dell'azienda che persegue il profitto [25]. 57

La scuola

L'università non deve essere trattata come parte terziaria del sistema di istruzione scolastico - liceale o professionale - e neppure come un dipartimento tecnico-scientifico al servizio del governo. Scienza e Bildung si possono infatti conseguire solo come effetti collaterali dell'autolimitazione di uno stato in grado di riconoscere che la loro condizione necessaria è la libertà della ricerca:

Lo stato in generale [...] non deve da esse pretendere nulla che si riferisca immediatamente e direttamente a se stesso, bensì coltivare l’intima convinzione che, se raggiungono il loro scopo finale, adempiono anche ai suoi, e da un punto di vista assai superiore, dal quale si può comprendere molto di più e si può ottenere l’apporto di forze e leve del tutto diverse da quelle che lo stato è in grado di mettere in moto [26].

In tutto questo spazio negativo, però, allo stato si chiede infine un compito positivo: "organizzare le proprie scuole in modo che preparino bene agli istituti scientifici superiori" [27]. Il sistema d'istruzione di Humboldt - si potrebbe obiettare - è un autoreferenziale preludio a un'università anch'essa fine a se stessa, che relega l'addestramento spendibile sul mercato del lavoro a scuole speciali ben distinte dall'educazione generale. Questa obiezione non sarebbe certo infondata, se la scuola fosse concepita come una fabbrica di risorse umane che hanno un prezzo e devono in primo luogo essere smerciabili su un mercato del lavoro. Per Humboldt, però, gli esseri umani hanno in primo luogo una dignità: nella sua prospettiva, il compito della scuola non è addestrare persone che servono, bensì formare persone che non servono. 58 E il suo successo non è fornire una risorsa obbediente a chi ha i soldi per comprarsela, ma riuscire mettere il giovane "in una posizione così schietta che può essere lasciato fisicamente, moralmente e intellettualmente alla libertà e all’autonomia d’azione perché, svincolato dalla costrizione, non passerà all’ozio o alla vita pratica, ma recherà in sé un desiderio struggente di elevarsi a quella scienza che finora, per così dire, gli era stata solo mostrata da lontano." [27]

É così importante formare giovani in grado di apprezzare "il comprendere, il sapere e il creare dello spirito" "per la loro interna esattezza, armonia e bellezza" [28] e non per la loro eventuale utilità esterna perché il mondo non è un dato predefinito, un sistema rigido al quale l'ultimo arrivato si debba semplicemente adattare, ma dipende fortemente da quello che noi sappiamo e facciamo. Formare uomini liberi e liberare il tempo dei giovani significa, dunque, riconoscere e coltivare la possibilità di mondi diversi e migliori di questo e di persone diverse e migliori di noi.

Annotazione filosofico-politica

Humboldt, nel suo progetto di riforma, assegna un ruolo all'intervento dello stato, pur avendone teorizzato la minimizzazione nelle sue Idee per un saggio sui limiti dell'attività dello stato del 1792. È dunque un liberale incoerente? La lettura originale dell'idealismo tedesco prodotta dalla filosofia italiana nella prima metà del secolo scorso offre qualche motivo per rispondere di no.

Il liberalismo, in quanto ideale della vita morale dell'umanità, non può fare suo proprio rappresentante o suo strumento nella sfera economica né il liberismo né lo statalismo. Non può perché, superiore a entrambi, ha bisogno di tutti e due questi ordini o classi di metodi e di istituti economici, avvalendosi secondo i casi ora dell'uno ora dell'altro, ma respingendoli tutti e due quando, disconoscendo questa loro relatività, si fanno assoluti e si atteggiano a ideale di vita sociale e morale. Circa la preferenza da dare all'uno o all'altro, quel che solo si può dire è che questa considerazione non è più scientifica ma di politica pratica, e che quando accade che una società o un'età si sia impoverita e minacci gravi rovine per l'eccesso delle statizzazioni e delle " pianificazioni ", - e in tale condizione è la società nostra e l'età presente, - il liberismo sopravviene benefico correttore e risanatore: tanto più efficacemente quando è un liberismo modesto che non solo ha scosso da sé ma ha addirittura dimenticato le poetico-religiose esaltazioni di un tempo, alla Bastiat, o il rapporto in cui più tardi fu posto, pensando di consolidarlo con la scienza naturale, con la lotta zoologica del darvinismo, e ha riconosciuto le morbose escrescenze, sorte sopra di sé nel corso dell'ottocento, di cui ora si dovrà sanare.[...] Non bisogna, d'altra parte, mai trascurare che anche le pianificazioni serbano il loro diritto, e anche, in certe condizioni e con certe precauzioni, il diritto all'eventuale esperimento, perché, sebbene la critica dottrinale, con la logica che la regge e con le conseguenze pratiche che ne discendono, abbia grandissimo peso e stia a fondamento di tutto, l'imponderabile che è negli atteggiamenti degli animi e negli spontanei accomodamenti prodotti dalla necessità inevitabile di salvare l'individualità e la socialità, può rendere talvolta concrete e storiche certe formazioni che sembravano alla prima non attuabili o attuabili solo con gravi danni e finale fallimento. E cotesto non è scetticismo né agnosticismo, ma cautela e riconoscimento che il pensiero, che è verità, fa della forza creatrice della volontà umana, più ricca dei nostri schemi e dei nostri calcoli. In parole comuni, la conclusione è che le soluzioni dei problemi della convivenza sociale hanno sempre un residuo d'imprevedibilità, e ciascuno che intenda al bene deve saper deporre l'arroganza dei modi esclusivi delle soluzioni, e osservare l'umiltà dinanzi alle vie che la storia viene, come da sé, aprendo. 59

Benedetto Croce scrisse queste righe nel 1947, argomentando a favore di una distinzione, quella fra liberalismo etico e liberismo economico, per la quale è stato molto criticato. E tuttavia sostenere che una cosa è difendere la libertà dell'individuo - quella stessa libertà che per Humboldt è essenziale per la scienza - un'altra è connetterla in modo dottrinario ed esclusivo all'economia di mercato ha almeno due conseguenze meritevoli di attenzione: in primo luogo suggerisce un atteggiamento pragmatico e non dogmatico per quanto concerne le soluzioni politiche; in secondo luogo, e soprattutto, aiuta a riconoscere che la compressione della libertà individuale può essere attuata in modo altrettanto intenso ed efficiente, fuori dallo stato, dall'iperorganizzazione aziendale o simil-aziendale e da un'applicazione sistematica del darwinismo sociale.



[ 44 ] Mentre un'azienda privata, la cui ricerca è a fine di lucro, può - come ha fatto recentemente la Pfizer - chiuderne un settore perché i suoi risultati non sono smerciabili sul mercato, nello spirito di Humboldt questo tipo di ricerca, proprio in quanto si occupa di problemi non risolti, dovrebbe essere sostenuto pubblicamente nelle università e nelle accademie.

[ 45 ] W. von Humboldt, Ideen zu einem Versuch, die Gränzen der Wirksamkeit des Staats zu bestimmen (1792) cit., p.101.

[ 46 ] "Se la 'Bildung' ideale non è semplicemente individualistica, ma postula una insostituibile dimensione sociale, in quale, non opprimente, organizzazione statale può trovare posto quell'organizzazione che è l'uomo?" (Fulvio Tessitore, La filosofia politica di Humboldt, Napoli, Morano, 1965, p.119).

[ 47 ] Per esempio, in tempi recenti si è diffusa la convinzione che le citazioni, in quanto strumento con il quale un autore scientifico riconosce il merito del lavoro altrui, siano la moneta della scienza: di conseguenza, alcune amministrazioni, universitarie o statali, hanno cominciato a basarsi sul numero delle citazioni per premiare gli studiosi più validi e migliorare la qualità della ricerca. Questa convinzione ha operato riflessivamente, secondo la legge di Goodhart, inducendo i ricercatori a non perseguire come scopo primario la ricerca, bensì il numero di citazioni (si veda, per una rapida rassegna della letteratura sul tema, l'argomento 5 di Alberto Baccini, «Collaborazionisti o resistenti. L’accademia ai tempi della valutazione della ricerca», Roars, 2016, nonché Mario Biagioli, «Watch Out for Cheats in Citation Game», Nature, 2016). Si è certamente ottenuto qualcosa - una generazione di ricercatori animata dallo scopo della popolarità citazionale - ma non esattamente quello che, almeno a parole, si desiderava - una ricerca moralmente più seria e contenutisticamente più ricca (Marc A. Edwards, Siddhartha Roy, «Academic Research in the 21st Century: Maintaining Scientific Integrity in a Climate of Perverse Incentives and Hypercompetition», Environmental Engineering Science 0/0, 2016). In generale, un esperto che sa esclusivamente autopromuoversi è soltanto un esperto di autopromozioni. L'intervento amministrativo non ha dunque operato meccanicamente, bensì riflessivamente; e la sua opinione sbagliata non è rimasta impunita, avendo prodotto una crisi della credibilità della scienza da cui non siamo ancora usciti (Ivan Oransky, Marcus, Adam, «Two Cheers for the Retraction Boom», The New Atlantis, Spring-Summer 2016).

Sul paradosso essenziale dell'azione sociale si veda Sandro Landucci, «Merton, la riflessività e la scienza sociale impossibile», Quaderni di Sociologia, 51, 2009, pp. 129-167.

[ 48 ] W. von Humboldt, «Ideen über Staatsverfassung, durch die neue französische Constitution veranlasst» (1791) in Wilhelm von Humboldts Gesammelte Schriften Bd. I, s.79, cit., «Idee per una costituzione politica suggerite dalla nuova costituzione francese» trad.it. p. 102, corsivo aggiunto.

[ 49 ] Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2015, 5.1; il corsivo dell'ultimo capoverso citato è mio.

[ 50 ] Si veda anche Timothy Bahti, «Histories of the University: Kant and Humboldt», MLN, 102/3, 1987, p.15.

[ 51 ] A titolo di esempio, Humboldt menziona l'elevazione delle spiegazioni naturali da meccaniche, cioè basate su elementi che permettano di descrivere rigorosamente il moto dei corpi, a dinamiche, cioè tramite le cause che lo determinano, a organiche, cioè entro in un sistema internamente coordinato nelle sue parti e infine, in senso lato, a psichiche, perché in ultima analisi il sapere è il nostro tentativo di costruire una visione del mondo rigorosa e condivisa, nel quale dare a noi stessi senso e conseguenza, e a noi stessi deve essere ricondotto.

[ 52 ] La distinzione fra ideale e idea si può comprendere sulla base della seconda edizione della Critica della ragion pura (Ak III, 383-384). Kant definisce l'ideale come un'idea determinata in individuo, cioè come come modellazione individuale del paradigma razionale universale offerto dall'idea.

[ 53 ] Humboldt osserva che questo spirito, che in ogni caso non può essere imposto, è già presente nel suo popolo [17]. Madame de Staël, nel XVIII capitolo del suo De l’Allemagne, metteva in relazione il genio filosofico dei tedeschi proprio con l'indipendenza della loro università e la libertà di pensiero conferita dalla distanza dei suoi studiosi dalla carriera politica e dalla formazione professionale.

[ 54 ] Dopo il 1815, il sistema di reclutamento prussiano si stabilizzò così: per tenere dei corsi universitari si doveva possedere una Habilitation o venia legendi riconosciuta da un ateneo. Ottenuta l'abilitazione, il docente cominciava a insegnare come Privatdozent non stipendiato, ma libero da vincoli curricolari e disciplinari, per essere successivamente assunto come professore da parte dello stato, Lo stato, a sua volta, poteva deliberare sulle assunzioni indipendentemente dalle richieste delle facoltà, ma con un vincolo importante: le nomine erano attribuibili esclusivamente a studiosi che godevano della venia legendi (R.D. Anderson, European Universities from the Enlightenment to 1914, Oxford Scholarship Online, 2010, ch. IV.).

[ 55 ] Come osservava Max Weber in Wissenschaft als Beruf, cit. s. 3, questo sistema, se da una parte poneva il libero docente al riparo dal licenziamento, dall'altra tuttavia rendeva la carriera accademica accessibile solo a chi era abbastanza ricco da potersi permettere un lungo periodo di incertezza economica.

[ 56 ] Per un termine di confronto contemporaneo si veda invece Ben R. Martin, «What’s happening to our universities?» Prometheus Vol. 34, Iss. 1, 2016.

[ 57 ] Come termini di confronto contemporanei si veda per esempio Roberto Caso, «Dall’università-azienda all’università aperta: missione impossibile?», Roars, 1/11/2016 nonché Kathleen Lynch, «Control by numbers: new managerialism and ranking in higher education», Critical Studies in Education, 2014.

[ 58 ] Il senso di questo tipo di formazione è spiegato con chiarezza dallo storico Alessandro Barbero in «Che è questo lusso di passare anni solo a studiare? No, no: alternanza scuola lavoro!», Roars, 30 gennaio 2018.

[ 59 ] Benedetto Croce, Ancora di liberalismo, liberismo e statalismo, 1947, corsivi miei.

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Wilhelm von Humboldt: un frammento di università by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
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