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Online Journal of Political Philosophy

La scienza e la scuola

Dalla scuola all'università [5]

Dal punto di vista esteriore l'università è un transito: chi si iscrive all'università humboldtiana passa dalla scuola a uno studio che ha un grado maggiore di libertà [27]. Interiormente, questo passaggio avviene tramite il collegamento fra la "scienza dell'oggetto" e la "formazione del soggetto": il sapere di pochi, che a scuola era stato distribuito come mera nozione, qui viene scritto, per così dire, nell'anima, facendosi sapere di molti. Lo studio universitario, quando è promotore di Bildung, è costruttore di ponti e tessitore di reti: le nozioni della scuola, collegate e discusse nel modo della scienza., diventano punti di partenza per andare oltre quanto è già noto. L'ideale, però, può realizzarsi solo a una condizione: che la scienza rimanga pura, cioè che il sapere sia perseguito per amore del sapere - filosoficamente.

Se l'istruzione superiore non è, in senso etimologico, "filosofica", ma è al servizio di uno scopo esterno - una qualsiasi utilità economica, sociale o politica -, il discente non può essere preso sul serio come soggetto libero, perché viene plasmato per qualcosa di esterno da sé. Uno studio per l'interesse del sapere è diverso da un addestramento per ottenere un titolo o trovare un lavoro. Nel secondo caso operiamo per uno scopo governato da altri, per il quale è irrilevante essere o no davvero interessati a quello che studiamo; nel primo, invece, si mette in gioco la nostra autonomia. L'interesse per il sapere è una vocazione che non può essere imposta.

Solitudine, libertà, cooperazione [6]

Perché la vocazione filosofica dello studio possa conservarsi, l'università deve rimanere ispirata a tre princìpi, reciprocamente connessi:

  1. solitudine;

  2. libertà;

  3. cooperazione.

1. La solitudine - il distacco dalla società - è garanzia di autonomia. Se abbiamo compagni ricchi e potenti in grado di influenzarci con i loro finanziamenti, la loro pressione burocratica, i loro sistemi di valutazione, i loro interessi politici 31 e commerciali, 32 e perfino con la loro autorità accademica, 33 la nostra ricerca e il nostro studio ne saranno condizionati. 34 Non cercheremo la verità - o la cercheremo solo in via incidentale, nei ritagli di tempo -, perché saremo occupati a compiacere il finanziatore privato, il collega potente o il valutatore di stato da cui dipende il nostro successo e, talvolta, la nostra stessa sopravvivenza. 35

2. La libertà non è solo, in senso negativo, l'assenza di interferenze garantita dalla solitudine ma anche, in senso positivo, 36 l'autonomia di chi ha come stella polare l'idea pura della scienza e persegue il sapere solo per l'interesse del sapere. Per essere liberi non è sufficiente essere soli: bisogna anche essere in grado di rispondere in modo autonomo e personale alla vocazione di ogni essere umano a pensare da sé.

3. La cooperazione humboldtiana è diversa da quella, meccanica, di un'organizzazione coordinata da un'autorità centrale, nella quale a ciascuno è assegnato un compito e dunque "l’uno supplisce ciò che manca all’altro". Qui c'è qualcosa di più: "il successo dell’attività dell’uno entusiasma l’altro e a ognuno diviene visibile quella forza universale e originaria che negli individui s’irradia in modo solo particolare o derivato".

Humboldt non sta parlando di una mera comunione di sentimenti racchiusa in un'universalità mistica, ma di un'autocoordinazione implicitamente alternativa a quella burocratica. Una similitudine contenuta in un articolo a difesa dell'autonomia della ricerca pubblicato da Michael Polanyi nel 1962 37 può aiutarci a renderla esplicita. Si immagini un gruppo di persone che deve ricomporre un puzzle il cui disegno è gigantesco e ignoto. La guida di un'autorità, la cui idea non potrebbe vantare maggior verosimiglianza di quelle altrui, costringerebbe tutti a controllare un'ipotesi per volta. Se invece si mettessero tutti al lavoro nello stesso luogo, in modo che ciascuno, tentando di ricostruire un particolare del disegno, riuscisse a tener conto di quanto stanno facendo gli altri, si potrebbero esaminare più ipotesi nello stesso tempo e le ricomposizioni parziali sarebbero man mano poste al servizio dell'intrapresa comune. Si vedrebbero, così, più persone che lavorano separatamente ma insieme, costruendo un'immagine che prenderebbe via via forma dalla composizione dei loro contributi: il successo di ciascuno incoraggerebbe ogni altro e alla fine diverrebbe chiaro che ogni conquista individuale è solo un particolare di un intero più ampio. Avremmo - scrive Polanyi - "una coordinazione per adattamento reciproco di iniziative indipendenti - iniziative che sono coordinate perché ciascuna prende in considerazione tutte le altre iniziative all'opera nel medesimo sistema": 38 così funziona la ricerca scientifica, quando è lasciata libera. Questo tipo di cooperazione, infatti, non è forzata perché non imposta dall'incarico di un'amministrazione centrale e non è interessata perché il suo scopo è solo il perseguimento della scienza, non il vantaggio personale.

Questa specie di coordinazione, per quanto operi su una pluralità di ipotesi reciprocamente slegate o addirittura concorrenti, non può essere intesa come una competizione. Un ricercatore competitivo non si entusiasma per i successi degli altri e non prende seriamente in considerazione le loro iniziative, ma cerca di sminuirle o di passarle sotto silenzio, 39 specialmente se sono così intelligenti da mettere a repentaglio il suo potere e il suo prestigio. Per cooperare con gli altri ricercatori pur abbracciando ipotesi diverse o addirittura contrastanti occorre una condizione non banale: 40 la convinzione di essere impegnati per uno scopo comune in un comune spazio di discussione e di esperienza.

Al servizio del sapere [7]

È inoltre caratteristica degli istituti scientifici superiori continuare a trattare la scienza come un problema ancora non del tutto risolto e perciò rimanere sempre alla ricerca, mentre la scuola considera e studia solo conoscenze compiute e riconosciute.

All'infinità della Bildung corrisponde l'infinità della ricerca, il cui compito è superare ed espandere le frontiere del noto. Mentre è socialmente chiara l'utilità della ricerca applicata, una scienza che, in quanto è un problema ancora non del tutto risolto, 41 pone questioni anziché risolverle potrebbe apparire inutile o addirittura fastidiosa. Una simile opinione, però, si può fondare solo sulla presunzione - tutta da dimostrare - che non ci sia più nulla da scoprire e che l'esistenza umana sia divenuta talmente prosaica da non essere più oggetto di riflessione, ma solo di amministrazione.

La distinzione fra conoscenze compiute e riconosciute e scienza di frontiera rende diversa la scuola, che insegna le prime, dall'università, che introduce alla seconda. Mentre nella scuola il docente "è per gli studenti", in quanto fa entrare chi ancora non sa in un patrimonio culturale condiviso, all'università docenti e studenti sono compagni in un'intrapresa comune: lo sviluppo del sapere in quanto esercizio d'indagine, che ha bisogno sia dell'esperienza di chi insegna, sia del confronto con menti più fresche e non ancora affezionate all'una o all'altra teoria. Partecipare a questa intrapresa ha come effetto collaterale una Bildung in cui, nel confronto con docenti e colleghi, il discente è soggetto e non oggetto della propria attività formativa. Ridurre gli studenti universitari a scolari da indottrinare, risorse umane da addestrare o clienti da compiacere mette a repentaglio sia la loro formazione, sia la vita della scienza.

La vita dello spirito [8]

Ciò che di conseguenza si chiama istituto scientifico superiore non è nient’altro che la vita dello spirito degli esseri umani che orienta l’agio esteriore o l’aspirazione interiore alla scienza e alla ricerca.

Humboldt sta fondando un'istituzione ma, dovendola presentare, non la identifica con norme e strutture amministrative, bensì con la vita dello spirito, cioè con la ricerca spontanea di unità e di consequenzialità da parte di esseri che hanno una dignità e non semplicemente un prezzo. Essa orienta, interiormente, le nostre aspirazioni alla scienza e all'indagine, e, esteriormente, vi indirizza il nostro tempo libero [Muße] allo studio.

C'è, qui, una doppia bizzarria: l'università è un'istituzione, ma Humboldt, fondandola, parla molto di più del suo spirito e che delle sue strutture, e usa il termine Muße (otium) per indicare il lavoro di studenti e professori.

Lo studio ha bisogno di tempo libero, non nel senso, negativo, di tempo non occupato dal lavoro, bensì in quello, positivo, di tempo in cui possiamo autodeterminarci perché siamo svincolati da necessità economiche, amministrative o politiche. Questo tempo, così inteso, non è il tempo del divertimento, ma quello della dignità, in cui possiamo scegliere di dedicarci - senza fretta - 42 a cose che hanno valore per noi e non perché altri, signori della nostra vita, ci pagano per farle. Humboldt, pertanto, non si preoccupa di giustificare la libertà di coloro che sono per la scienza - professori e studenti - come promotrice di un progresso scientifico utile alla società: 43 farne, infatti, una questione di utilità significherebbe rendere la libertà della ricerca contingente.

Com'è possibile costruire attorno alla libertà dello spirito un istituto che le permetta di esistere senza soffocarla con la sua stretta burocratica? Humboldt tenta di rispondere a questa domanda tracciando i confini dell'intervento dello stato.



[ 31 ] Si pensi, per esempio, agli effetti del regime fascista sull'università italiana, al lysenkoismo sovietico o alla "fisica tedesca" nella Germania nazista.

[ 32 ] Per esempio, il riconoscimento scientifico e medico del nesso fra consumo di zuccheri e obesità, diabete e patologie cardiache fu ed è fortemente ostacolato sia dall'interferenza di potenti interessi industriali sia dal conformismo della comunità scientifica: Ian Leslie, «The sugar conspiracy», The Guardian, 7 Apr, 2016. In italiano si veda: Valentina Murelli, «Le dolci bugie di Big Sugar: un'inchiesta americana svela i segreti e le furberie dell'industria dello zucchero», Il fatto alimentare, 12/11/2012; Fabio Di Todaro, «Multinazionali del cibo e scienziati: i finanziamenti delle aziende al mondo della ricerca scientifica potrebbero incidere sui risultati degli studi», Il fatto alimentare, 18/2/2015; Valentina Murelli, «150 mila dollari a tre scienziati, così big sugar ha “coperto” i rischi dello zucchero nelle malattie cardiovascolari. Le rivelazioni su Jama», Il fatto alimentare, 13/9/2016.

[ 33 ] Richard K. McKenzie, in Why Professors Have Tenure and Business People Don't, spiega che i professori universitari non sono licenziabili, a differenza dei dipendenti del settore privato, perché il loro lavoro è soggetto a essere condizionato politicamente, non tanto, in primo luogo, dall'esterno, quanto dall'interno, da parte dei colleghi, come avvenne perfino nell'Italia fascista (Giovanni Belardelli, 1938. Caccia alle cattedre degli ebrei, Corriere della Sera, 10/9/1996).

[ 34 ] Si veda, per una narrazione in prima persona, l'anonimo «Perché lo fai?» in Solo un altro post-doc, 26/10/2017.

[ 35 ] Henry Blackburn, Thomas Louis, James White, «University-Industry Relations: academic Freedom or academic License?», 1989: "What happens when the academic process becomes driven by the motives of industry based on the bottom line of profit? Or when the resources of the university and an “anointed faculty” are so stretched that they are no longer fully available to their students and patients or to traditional, non-industry supported research? Will legislatures remain concerned about its university’s resources or faculty salaries if industry is ”taking care” of us? When will industry ties reach a point where a true exchange of ideas is oppressed or perverted? Are safeguards and guidelines possible for university-industry relationships that are consonant with academic freedom? Should the University recognize that individual conscience is not the sole or sufficient determinant of faculty behavior and enterprise, though always the most important? Is “academic freedom” the only institutional framework within which faculty decisions should be made about outside pursuits? Does academic freedom really mean the freedom for an individual to make any and all decisions to carry out any and all activity, or to develop any kind of partnership with industry, constrained only by legal advice under departmental authority and perfunctory review? Can academic freedom survive out of context of eroded faculty commitment and diminished institutional credibility? When does academic freedom become academic license?"

[ 36 ] Per la differenza fra libertà negativa e libertà positiva si rinvia alla voce "Libertà" scritta da Norberto Bobbio per l'Enciclopedia del Novecento.

[ 37 ] Michael Polanyi, «The Republic of Science: Its Political and Economic Theory», Minerva, 1, 1962, pp. 54-74.

[ 38 ] Ibidem, p. 1, traduzione mia, corsivo mio.

[ 39 ] O, ancor peggio, le attribuisce indebitamente a se stesso: Mario Biagioli, «Recycling Texts or Stealing Time?:Plagiarism, Authorship, and Credit in Science», International Journal of Cultural Property, 19, 2012, pp. 453–476.

[ 40 ] Björn Brembs, Why academic journals need to go, 16 gennaio 2018.

[ 41 ] Come ha scritto Giuseppe Longo in «Science, Problem Solving and Bibliometrics» (ora in Roars, 19 ottobre 2013), mentre la ricerca applicata risolve problemi che le sono posti, la scienza tratta problemi che essa stessa pone. Limitarsi ad affrontare, giorno per giorno, i problemi che ci sono posti è tipico della vita animale: l'essere umano, in più, riflettendo su stesso e sul mondo, cioè ponendosi problemi, costruisce nuove prospettive, nuove strutture concettuali e perfino nuovi oggetti di conoscenza. "Science" - diceva, humboldtianamente, il fisico Richard Feynman - "is the belief the ignorance of experts".

[ 42 ] Su questa base un passo famoso del Teeteto di Platone (172d-173c) distingue la filosofia dalla politica; si veda inoltre Colleen Flaherty, «'The Slow Professor'», Inside Higher Ed, April 19, 2016.

[ 43 ] Vannevar Bush, nella sua relazione del 1945, Science The Endless Frontier, I.1, argomentava a favore di una libertà accademica simile a quella humboldtiana e di una scienza altrettanto indefinita: "Scientific progress on a broad front results from the free play of free intellects, working on subjects of their own choice, in the manner dictated by their curiosity for exploration of the unknown". I suoi motivi, però, erano molto più pragmatici.

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Wilhelm von Humboldt: un frammento di università by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at https://btfp.sp.unipi.it/dida/humboldt