Tetradrakmaton

Il Fedone di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Un gallo per Asclepio (115a-118a)

Socrate interrompe la sua favola. Siamo al tramonto e - come direbbe un eroe tragico - l'heimarmene lo chiama (115a): deve andare al bagno.

Heimarmene indica il destino inteso come una necessità cosmica che dà a ciascuno la sorte che gli spetta. Socrate si fa gioco di questa espressione tragica impiegandola non in riferimento all'esecuzione della sua condanna, ma al suo trasferimento in bagno per lavarsi in modo da togliere un'incombenza a chi provvederà al suo cadavere. Il Socrate platonico è antitragico non solo perché rifiuta il registro della tragedia, ma soprattutto perché non si rappresenta come una vittima del fato e del gioco della nemesi, ma come libero e padrone del proprio destino.

Critone, che continua a occuparsi di questioni organizzative, domanda a Socrate se desidera lasciare qualche disposizione sui suoi figli o su altro. Socrate gli risponde di non aver nulla di nuovo da chiedere, al di là della raccomandazione di aver cura di se stessi nel senso in cui si era detto fino a quel momento (115b). Critone insiste: "Sì, ma come dobbiamo seppellirti?" Socrate lo prende in giro: "Come volete, sempre che riusciate a prendermi e non vi scappi via! (115c)"

Non riesco a persuadere Critone che io sono il Socrate che ora discute con voi e ordina i suoi argomenti; egli invece crede che io sia il Socrate che tra poco vedrà cadavere (115c), e mi chiede, appunto, come deve seppellirmi (115d).

Critone sembra convinto che quanto detto da Socrate fino a quel momento - che dopo aver bevuto il pharmakon se ne sarebbe andato altrove, verso le beatitudini (eudaimoniai) dei beati - sia solo un discorso consolatorio. Socrate, dunque, esorta gli astanti a rassicurarlo che, dopo la sua morte, non rimarrà nel suo corpo - che potrà essere trattato come meglio credono -, fornendogli una garanzia opposta a quella che diede Critone ai giudici, quando giurò che Socrate stesso non sarebbe fuggito (115d).

Critone, in realtà, non aveva tenuto fede alla sua parola, perché aveva tentato di convincere Socrate a evadere e a lasciare la città: se la garanzia richiesta agli astanti deve avere la stessa solidità dei suoi impegni, Critone fa bene a non esserne persuaso. Ma anche senza credere al mito escatologico-cosmologico appena narrato, c'è un senso in cui è vero ed evidente che Socrate non è il suo corpo: ogni volta che leggiamo il Fedone e ne intendiamo i pensieri, la parte più importante di Socrate è qui con noi, anche se la sua individualità fisica è diventata polvere. Chi ha vissuto per esercitare l'indagine continua a vivere nelle idee, se ha forza di non vederle come una patrimonio della sua individualità contingente, bensì come un bene di tutti. La vita delle idee è una vita universale, che trascende l'esistenza individuale: ma anche l'esistenza individuale di chi ha esercitato l'indagine può essere finalmente associata, in quanto felicemente compiuta, all'eudaimonia almeno come intesa nel racconto di Solone e Creso riferito da Erodoto.

Socrate lascia la stanza con Critone. Gli amici continuano a discutere fra loro, sentendosene già orfani (116a). Socrate, dopo aver salutato i figli - due piccoli, uno un po' più grande -, rientra e attende in silenzio (116b) il funzionario degli Undici per ricevere la notifica dell'esecuzione. Il funzionario. una persona che Socrate aveva trattato - a differenza degli altri condannati - sempre gentilmente 57 e con cui aveva conversato spesso, arriva poco dopo, annuncia il suo messaggio e se ne va in lacrime (116c-d).

Socrate chiede che gli sia portato il pharmakon (116d). Critone tenta di procrastinare: il sole non è ancora tramontato, sulle cime dei monti, e molti altri hanno rinviato l'esecuzione a notte inoltrata (116e). Socrate si rifiuta: non ha nulla da guadagnare, aggrappandosi alla vita per qualche minuto in più, se non il ridicolo (117a).

Lo schiavo di Critone, inviato dal suo padrone, ritorna con il boia 58 che gli ha preparato un infuso di cicuta pestata. Socrate, dopo essersi informato su come comportarsi dopo averlo bevuto (117a), chiede se può fare una libagione a una qualche divinità (117b).

Nella religione greca, la libagione era un gesto cultuale importante. Consisteva nel versare parte di un liquido destinato a essere bevuto per terra, nel caso di un sacrificio agli dei ctoni, o su un altare, una stele o una phiale rituale. Si celebrava nei simposi, nei sacrifici, nelle preghiere, negli armistizi e nei trattati di pace, e in molte altre occasioni ancora. Si facevano libagioni col vino, col miele, con l'acqua e col latte, ma certamente non coll'infuso di cicuta, del quale il boia prepara solo la dose necessaria a uccidere il condannato (117b). Il gesto di Socrate è dunque ambiguo: è empio per chi non crede al senso filosofico della sua morte; è straordinariamente pio per chi ci crede.

Socrate allora prega gli dei perché la sua migrazione sia fortunata, alza la coppa e beve l'infuso amaro tranquillamente, impassibilmente (117c).

E i più di noi fino a quel momento erano riusciti alla meglio a trattenersi dal piangere; ma quando lo vedemmo bere, e che aveva bevuto, allora non più; e anche a me, contro ogni mio sforzo, le lacrime caddero giù a fiotti; e mi coprii il capo e piansi me stesso: ché certo (117d) non piangevo lui, ma la mia sorte, rimanere senza un amico così! E Critone, anche prima di me, non riuscendo a frenare il pianto, s’era alzato per andar via. E Apollodoro, che già anche prima non avea mai lasciato di piangere, allora scoppiò in singhiozzi; e tanto piangeva e gemeva che non ci fu nessuno di noi lì presenti che non se ne sentisse spezzare il cuore: tranne lui, Socrate. E anzi, Socrate, - Che comportamento è questo, disse, o stupefacenti amici? Non per altra causa ho fatto allontanare le donne, perché non commettessero simili stonature. E ho anche (117e) sentito che osservando il silenzio bisogna morire. State dunque tranquilli e siate forti. E noi, a udirlo, ci vergognammo, e ci trattenemmo dal piangere. Ed egli girò un poco per la stanza; e, quando disse che le gambe gli si appesantivano, si sdraiò supino; perché così gli consigliava l’uomo. E intanto costui, quello che gli avea dato il farmaco, non cessava di toccarlo, e di tratto in tratto gli esaminava i piedi e le gambe; e, a un certo punto, premendogli forte un piede, gli domandò se sentiva. Ed egli rispose di no. E poi ancora gli premette (118a) le gambe. E così, risalendo via via con la mano, ci faceva vedere com’egli si raffreddasse e si irrigidisse. E tuttavia non smetteva di toccarlo; e ci disse che, quando il freddo fosse giunto al cuore, allora sarebbe morto. E oramai intorno al basso ventre, era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s’era coperto - e disse, e fu l’ultima volta che udimmo la sua voce, - O Critone, disse, dobbiamo un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non ve ne dimenticate. - Sì, disse Critone, sarà fatto: ma vedi se hai altro da dire. A questa domanda egli non rispose più: passò un po’ di tempo, e fece un movimento; e l’uomo lo scoprì; ed egli restò con gli occhi aperti e fissi. E Critone, veduto ciò, gli chiuse le labbra e gli occhi.

L'offerta di un gallo era il ringraziamento tradizionale di chi guariva da una malattia al dio della medicina, Asclepio. Che intendeva dire Socrate con le sue ultime parole? Che la vita in generale è una malattia da cui si guarisce con la morte? 59 Il dono del gallo, come la precedente libagione, fa riferimento a un contesto religioso: anche in questo caso, possiamo interpretare la disposizione di Socrate come un - contraddittorio - ringraziamento per la guarigione dalla vita solo se disconosciamo il senso filosofico della sua morte. Altrimenti, la soluzione dell'enigma è semplice: la parte migliore di Socrate non è morta, ma ha resistito alla sfida dell'esistenza storica individuale e continua a vivere; per aver assistito Socrate e i suoi amici nella prova il dio della medicina merita un ringraziamento. La religiosità di Socrate è tale che può apparire ora empietà estrema, ora pietà eroica. Fedone ed Echecrate, filosofi e appassionati di filosofia, sembrano, però, non avere dubbi:

Questa, Echecrate, fu la fine dell’amico nostro: un uomo, noi possiamo dirlo, di quelli che allora conoscemmo il migliore; e senza paragone il più intelligente e il più giusto (118a). 60

La cornice narrativa del racconto chiarisce da quale punto di vista il comportamento di Socrate può essere apprezzato. Persone lontane dalla filosofia - per esempio un tradizionalista religioso o un anti-intellettualista come Nietzsche - lo avrebbero inteso diversamente, come un empio impudente fino alla fine o come un dialettico nemico dalla vita. 61

Socrate, come noi, vive e muore in un mondo complesso in cui l'autorità e la ragione, il successo individuale e l'autonomia della coscienza sono in conflitto attuale e potenziale. La sua fine è una vittoria, una sconfitta, o qualcosa di ancora diverso? Platone ha organizzato il suo testo in modo tale che il lettore non riceva altra risposta se non quella che riesce a trovare da sé.

Approfondimenti

Colin Wells. «The Mistery of Socrates' Last Words». Arion. 16.2 Fall 2008.



[ 57 ] Il messo spiega che, a differenza degli altri condannati, Socrate sapeva - come si comprende dalla conclusione del Critone - a chi attribuire la colpa della sua sentenza.

[ 58 ] Il boia, che nel testo viene sempre designato con circonlocuzioni eufemistiche, era un demosios o schiavo pubblico: Atene infatti conferiva a schiavi di questa specie particolare, nella loro funzioni di "tecnici", compiti che per un cittadino e per la città stessa sarebbero stati infamanti. Sul tema si veda la recensione di Giovanni Marginesu a Paulin Ismard, La démocratie contre les experts: les esclaves publics en Grèce ancienne. L'Univers historique. Paris: Éditions du Seuil, 2015.

[ 59 ] Così F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung (1889), Das Problem des Sokrates § 11-12 (trad. it. di C. Piazzesi, con qualche modifica):

Socrate fu un equivoco; tutta la morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco... La più accecante luce diurna, la razionalità a ogni costo, la vita chiara, fredda, prudente, cosciente, senza istinto, che resiste agli istinti fu essa stessa solo una malattia, un’altra malattia – e assolutamente non un ritorno alla “virtù”, alla “salute”, alla felicità... Dover combattere gli istinti – questa è la formula della décadence: finché la vita è ascendente, felicità è uguale a istinto. – [12] – Ha compreso anche questo, il più accorto di tutti gli ingannatori di sé stessi? Si è detto questo alla fine, nella sapienza del suo coraggio verso la morte?... Socrate volle morire: – non Atene, ma egli stesso si dette la coppa di veleno, egli costrinse Atene alla coppa di veleno... «Socrate non è un medico, sussurrò a sé stesso: solo la morte qui è un medico... Socrate stesso è stato soltanto a lungo malato...»

[ 60 ] Le traduzioni, con qualche modifica, sono quelle di Manara Valgimigli.

[ 61 ] Ecco un'altra citazione da Das Problem des Sokrates (§5):

Con Socrate il gusto greco si rovescia a vantaggio della dialettica: che cosa accade veramente allora? Prima di tutto un gusto nobile viene sconfitto; con la dialettica la plebe alza la testa. Prima di Socrate nella buona società si rifiutavano le maniere dialettiche: esse erano considerate cattive maniere, compromettevano. Contro di loro si metteva in guardia la gioventù. Inoltre, si diffidava di tutto questo modo di presentare le proprie ragioni. Le cose oneste, così come gli uomini onesti, non portano così in mano le proprie ragioni. È sconveniente mostrare tutte e cinque le dita. Ciò che deve prima di tutto essere dimostrato ha poco valore. Dovunque l’autorità fa ancora parte delle buone maniere, dovunque non si “danno ragioni”, ma si comanda, il dialettico è una specie di buffone: si ride di lui, non lo si prende sul serio. – Socrate era il buffone che si fece prendere sul serio: che cosa accadde veramente allora? –

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