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Il Fedone di Platone |
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Se dunque, conclude Socrate, l'anima è immortale non dobbiamo prendercene cura solo per il tempo che chiamiamo vita, ma per tutto il tempo. Se la morte fosse la fine di tutto, per i cattivi sarebbe una fortuna: morendo si libererebbero dal corpo e dalla loro cattiveria che sparirebbe con la loro anima (107c). Se invece la morte non è la fine, non si ha altra scelta che quella di rendere l'anima il più possibile eccellente e intelligente, operando sull'unico patrimonio che si porta nell'Ade: la propria paideia e la propria educazione (107d).
L'immortalità dell'anima - di una psiche capace di coscienza e di razionalità - serve a emancipare il nostro giudizio dalle contingenze e dalla prospettive a breve termine di un uomo altrimenti ridotto a funzione della sua società e della sua biologia. Serve a rendere Socrate capace di obbedire al dio piuttosto che agli Ateniesi (Apologia, 29d). Perché questa emancipazione avvenga non è neppure necessario credere che l'anima sia, alla lettera, immortale: è sufficiente accettare l'eternità come una possibilità per aprire una prospettiva di valutazione, di autovalutazione e di responsabilità infinitamente più ampia. Lo sguardo sulla morte serve per imparare a vivere.
La conclusione del Fedone non è speculativa, ma narrativa: la sua prima parte, mitica, contiene uno dei molti racconti sull'oltretomba presenti nei dialoghi di Platone; la seconda, storica, il resoconto dell'esecuzione di Socrate. Platone, com'è sua abitudine, rielabora del materiale mitico preesistente, concernente la transizione all'oltretomba, per rendere memorabili e retoricamente persuasivi i suoi nuovi contenuti.
Dopo la morte, racconta Socrate, il daimon che l'anima ha avuto in sorte la conduce dove sarà giudicata, assieme con altre (107d). Quindi, seguendo un'altra guida, le anima partono per l'Ade, dove trascorrono un luogo periodo nel quale ricevono quanto loro dovuto, per essere poi riportate fuori per una nuova incarnazione (107e).
La via che conduce all'Ade - dice Socrate contraddicendo un verso di una tragedia di Eschilo per noi perduta, il Telefo - non è affatto semplice, né singola, ma biforcata e tortuosa. Nei miti tradizionali le ombre dei morti insepolti o di coloro che erano deceduti prematuramente o perché assassinati avevano difficoltà a entrare nell'Ade. Nel racconto di Socrate questa difficoltà è invece attribuita all'anima che rimane affetta dall'appetito del corpo (108a): il suo daimon deve trascinarla a forza e nessuna anima vuole accompagnarla, per il male di cui si è macchiata (108b-c). Chi non sa distaccarsi dalla propria particolarità per assumere una prospettiva razionale è condannato a esserne prigioniero e a rimanere solo, perché non riesce a conquistare un punto di vista che trascende la sua individualità.
Il mito conclusivo del Fedone allarga l'orizzonte umano non solo nel tempo, immaginando la prospettiva dell'eternità, ma anche nello spazio, aggiungendo alla narrazione escatologica una trattazione cosmologica. La terra è molto più grande di quanto crediamo: noi che abitiamo nel Mediterraneo, tra le colonne d'Ercole e il Fasi, siamo come rane e formiche che dimorano attorno a uno stagno (109b). Il cuore del mondo allora conosciuto è, nel racconto di Socrate, solo un piccolo stagno fra i tanti.
Il Fedone di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/fedone