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Il Fedone di Platone |
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I filosofi si curano solo di morire e di essere morti. 14 Sarebbe dunque ben strano - sostiene Socrate facendo ridere, suo malgrado, Simmia - che si dispiacessero di farlo quando viene la loro ora (64a-b).
Il morire e l'essere morti sono il punto di vista del filosofo perché ci aiutano a guardare il mondo come se fossimo sul punto di lasciarlo o non ci fossimo più, dunque indipendentemente dalla nostra individualità. Il tipo umano teorizzato da Thomas Hobbes, che non supera la paura di morire, accetta di sottomettersi al potere assoluto dello stato pur di conservarsi in vita. Il filosofo antico, che ha fatto i conti con la propria mortalità, può permettersi di guardare il mondo spassionatamente, senza piegarsi a ingiunzioni politiche che renderebbero la sua vita non meritevole di essere vissuta. 15
La morte, Socrate conviene con Simmia, 16 è la separazione del corpo dall'anima (psyché); l'essere morto è la condizione in cui anima e corpo sussistono divisi (64c). Il filosofo non si interessa, se non per quanto è strettamente necessario, ai piaceri associati al corpo, come il mangiare, il bere, il sesso o l'eleganza nel vestire (64d-e), e anzi cerca di tener lontana l'anima da ogni comunione col corpo. Il corpo è un ostacolo nella ricerca della sapienza, perché i sensi sono incapaci di chiarezza e di distinzione (65b). Per questo i più considerano il filosofo come se fosse morto (65a).
Il concetto di bellezza, giustizia o bene, espressi nel testo tramite aggettivi neutri sostantivati, non si possono percepire con gli occhi o con qualsiasi altro organo di senso corporeo; lo stesso vale per la grandezza, la salute o la forza, e in generale per l'essenza (ousia) di ogni cosa (65d).
L'essenza di X è quanto permette di rispondere alla domanda "che cos'è X?". L'ousia non è una sorta di carta d'identità sensibile attaccata alle cose bensì un paradigma concettuale: siamo noi che, tramite il ragionamento, scopriamo dei criteri di identificazione astratti i quali, applicati agli oggetti dei sensi, rendono possibile parlarne in modo univoco e condividerne la conoscenza. Per questo, per contemplare la verità non si deve ricorrere al corpo, ma al pensiero (65e). 17
Il corpo, in quanto ci individua nello spazio e nel tempo, legandoci ai nostri appetiti e bisogni fisiologici e alle nostre passioni, avidità e ambizioni sociali, ci dà anche interessi e punti di vista che ostacolano la ricerca della verità e che sono causa di guerre, lotte intestine e combattimenti (66b-d). Possiamo conoscere la verità nella sua purezza soltanto liberi dal corpo - vale a dire solo da morti (66e) - anche quando, in vita, abbiamo avuto cura di evitare ogni forma di comunione col corpo oltre lo stretto necessario (67a). La morte, in quanto emigrazione dal corpo, è purificazione.
Se dunque presupponiamo che la morte sia separazione dell'anima dal corpo, l'esercizio del filosofo che cerca di superare la propria individualità incarnata è simile al morire (67d). Chi ama la sapienza tenta di comportarsi, in vita, come se fosse morto, cercando di restare solo con la sua anima (67e). Sarebbe dunque incoerente che avesse paura della morte, disprezzando la sapienza pura perseguita in vita e ottenibile solo sciogliendosi dai vincoli dell'individualità (68a), ossia, miticamente, scendendo nell'Ade (68b). 18
Chi dunque ha paura di morire non è filosofo o amante del sapere, ma del proprio corpo, e quindi anche del denaro, dell'onore, o di entrambi. 19
Quelle che sono state successivamente chiamate virtù cardinali si addicono propriamente a chi è filosofo, mentre attribuirle a chi non lo è è fuori luogo (68c):
il coraggio o andreia 20 è praticato da chi non è filosofo solo per timore di mali maggiori: quindi è un coraggio relativo, ispirato da paura e viltà (68d);
l'autocontrollo o sophrosyne - il non lasciarsi turbare dagli appetiti - viene praticato da chi non è filosofo solo quando l'abbandonarsi ad alcuni appetiti impedisca di soddisfarne altri considerati più desiderabili: ma chi si comporta così non domina i suoi appetiti, bensì si fa governare da alcuni di essi a scapito di altri (68e).
Ecco la conclusione di Socrate:
stiamo attenti dunque se proprio questo sia, di fronte alla virtù, lo scambio corretto, scambiare fra loro piaceri con piaceri e dolori con dolori e paura con paura, il più con il meno, come fossero monete; e non piuttosto l'unica vera moneta, quella per cui tutto ciò ha da essere scambiato, sia il sapere (phronesis), e soltanto le cose comprate e vendute al prezzo di questo e insieme con questo siano veramente coraggio e sophrosyne e giustizia; e, insomma, non si abbia virtù vera se non è accompagnata dal sapere, ci siano o non ci siano piaceri e paure e ogni altro di questo genere. E quando questi termini sono separati dal sapere e scambiati l'uno con l'altro badiamo che allora tale virtù non sia come un'illusione pittorica, realmente da schiavi, 21 senza nulla di sano e di vero; e non siano invece sophrosyne e giustizia e coraggio - e questa è la vera realtà - una specie di purificazione da tutto ciò, e lo stesso sapere una sorta di purificazione (69a-c). 22
I fondatori dei culti misterici 23 adombrano enigmaticamente qualcosa di vero quando dicono che chi scende nell'Ade non iniziato e profano giacerà nel fango mentre chi sarà purificato e iniziato - cioè, per Socrate, chi vive da filosofo - dimorerà con gli dei: "Molti sono i portatori di ferula, pochi gli estatici" (69c-d). La virtù del filosofo è facile da imitare, difficile da vivere.
Socrate è una pietra d'inciampo per le filosofie politiche che fondano la società civile esclusivamente sulla paura, sul controllo sociale e poliziesco e sul condizionamento economico. Le consuete punizioni e ricompense risultano, nel suo caso, inefficaci: in sistemi che si legittimano tramite la paura e la corruzione una persona non ricattabile - un uomo che non sia schiavo - è un pericolo pubblico.
Particolare | Universale | |
---|---|---|
Vita (anima legata al corpo) | Morte (anima libera dal corpo) | |
1 | Corpo | Anima |
2 | Collocazione nel tempo e nello spazio | Ubiquità, eternità |
3 | Appetiti, ambizioni | Ragione |
4 | Dipendenza | Indipendenza |
5 | Virtù apparenti (guidate da appetiti e ambizioni) | Virtù vere (accompagnate dal sapere) |
6 | Sophrosyne, coraggio, giustizia | Sapienza |
[ 14 ] Apothneskein te kai tethnanai: il primo infinito è un presente, il secondo un perfetto, che indica il morire nel suo aspetto compiuto o "resultativo", cioè, nel caso dell'essere morti, lo stato di cose conseguente al compimento del morire.
[ 15 ] Il contrattualismo "alla Hobbes" è esaminato e immediatamente scartato nel secondo libro della Repubblica, perché costruirebbe uno stato fondato non sulla libertà della coscienza, bensì sulla paura e sul controllo. Questa fondazione dell'autorità politica è precaria perché tutti coloro che, per convinzioni filosofiche o religiose, non temono la morte, si sottraggono al meccanismo della paura e quindi alla stessa obbligazione politica.
[ 16 ] Simmia non contesta questa definizione perché era quella tradizionale della cultura greca, da Omero in poi.
[ 17 ] In greco: dianoia. Questa parola è impiegata, qui, in un senso più generico rispetto a quello specifico della Repubblica.
[ 18 ] Secondo un'etimologia antica ma controversa, Ade è il luogo in cui non si vede - il luogo, quindi, in cui i nostri occhi sensibili non possono più ingannarci.
[ 19 ] Questa può essere un'allusione alla parabola pitagorica delle tre vite.
[ 20 ] Nella classificazione tradizionale delle virtù cardinali, come è per esempio riportata in Catechismo della Chiesa Cattolica, 1804-1809, il coraggio è chiamato "fortezza". Vale la pena notare che la classificazione platonica delle virtù nella Repubblica pone la sapienza al posto della prudenza. Qui si usa invece la parola phronesis, che conviene tradurre, con Valgimigli, come "sapere" perché dal punto di vista dell'intellettualismo etico sapienza e prudenza devono coincidere.
[ 21 ] Gli schiavi sono tali perché devono obbedire agli ordini, cioè sono necessitati. Chi, pur essendo giuridicamente un uomo libero, obbedisce agli appetiti, si comporta come se fosse uno schiavo: l'unica differenza rispetto allo schiavo in senso proprio è che ha un padrone non esteriore, bensì interiore, vale a dire il meccanismo dei suoi appetiti e delle sue ambizioni, che lo muove come un pupazzo caricato a molla.
[ 22 ] La traduzione, con qualche modifica, è quella bellissima di Manara Valgimigli. In rete, per chi fosse interessato ad altre opere di Valgimigli, sono visibili le sue versioni di Saffo.
[ 23 ] Socrate allude specificamente ai misteri dionisiaci.
Il Fedone di Platone
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Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/fedone