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Il Cratilo di Platone |
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Anche se accettiamo che il linguaggio sia una convenzione fondata sull'ethos, dobbiamo domandarci, in quanto filosofi, perché giochiamo a questo gioco. Socrate, infatti, lo chiede a Cratilo: qual è la forza del linguaggio? Quale diciamo sia il bene che compie (435d)?
Secondo Cratilo, la funzione dei nomi è insegnare: chi conosce le parole conosce le cose. Quindi - inferisce Socrate - se il nome è come la cosa, basta conoscere il nome per conoscere anche la cosa (435d): la techne di oggetti reciprocamente uguali non può che essere una sola (435e).
La scoperta del nome è l'unica via per raggiungere la conoscenza delle cose? Socrate distingue fra il cercare e il trovare, da una parte, e l'imparare, dall'altra, per proporre l'ipotesi che i nomi servano solo per l'istruzione - vale a dire per trasmettere e far capire una conoscenza acquisita altrimenti. Cratilo respinge questa ipotesi: la denominazione rimane, per lui, l'unica via (436a).
Socrate gli fa notare che questa convinzione ci espone al rischio di essere ingannati dal linguaggio: se chi ha imposto i nomi per primo, secondo il proprio giudizio, ha commesso degli errori, chi lo seguirà sarà condannato a ripeterli (436b). Cratilo nega che il primo nomothetes possa aver fatto errori: se suoi nomi funzionano, non possono essere scorretti senza smettere di essere nomi. Lo testimonia il fatto stesso che le parole siano tutte in reciproco accordo (436c). Questo però - osserva Socrate - non prova nulla: il denominatore potrebbe aver costruito sulla base di un errore iniziale, in stile geometrico, un sistema internamente coerente, ma fondato su un'assunzione sbagliata perché il principio non era stato esaminato con la dovuta attenzione (436d). E in ogni caso è anche discutibile che i nomi formino un sistema internamente coerente.
Per provare la sua tesi, Socrate assume che le cose siano, come voleva Eraclito e come pensa anche Cratilo, siano in un perenne flusso e movimento (436e). Ebbene, se si fa uso dell'etimologia come in precedenza, si può osservare che in episteme (conoscenza) non c'è il flusso, ma la circostanza che fermi (istesin) l'anima sulle (epi) cose (437a); in historia c'è istesi ton roun ("ferma il flusso") e così via (437b-c). Cratilo risponde che tuttavia la maggioranza dei nomi indica movimento. "Che cosa dobbiamo fare allora?" - chiede retoricamente Socrate - "contiamo i nomi come voti e ne stabiliamo la correttezza sulla base del principio di maggioranza?" Cratilo, da eracliteo, risponde che quest'idea è poco verosimile (437d).
Socrate e Cratilo, da filosofi, vorrebbero trattare il gioco del linguaggio come giustificato da un fine ulteriore rispetto a se stesso. Ma se la verità si risolve interamente nel linguaggio - se non si può o non si vuole pensare a una ricerca capace di distaccarsene criticamente - si dissolve anche la differenza fra convenzionalismo e naturalismo linguistico: il logos non ha altra verità possibile se non quella interna al gioco linguistico e al suo ethos - a meno che non si preferisca tacere.
L'insuperabilità dell'orizzonte del linguaggio comporta un'altra difficoltà: se i nomi sono, per definizione, corretti, allora, come sostenuto da Cratilo, il primo nomothetes doveva anche conoscere le cose che andava denominando (438a). Ma - chiede Socrate - come poteva averle conosciute, se l'unica conoscenza possibile è tramite i nomi e i nomi ancora non c'erano (438b)?
Cratilo prova a rispondere con il deus ex machina: 25 chi ha dato i primi nomi doveva essere più che umano. Socrate non ne è convinto: come può questa entità divina o demonica aver imposto nomi contraddittori che ora indicano il movimento e ora la stasi? 26 Cratilo, di nuovo, ricorda che i termini appartenenti a uno dei due gruppi non sono veramente nomi. "Ma come facciamo a stabilire" - risponde Socrate (438c) - "se sono giusti i nomi che indicano il moto o quelli che indicano la stasi, avendo or ora rifiutato il principio di maggioranza?"
L'unica via è uscire dal linguaggio e cercare qualcosa di ulteriore rispetto ai nomi (438d): dobbiamo ipotizzare che è possibile imparare le cose tramite altre cose, se sono congeneri, o direttamente tramite le cose stesse (438e). Anzi, se i nomi sono imitazioni delle cose, la loro correttezza non può essere accertata se non tramite il confronto con ciò che è - anche se ancora non sappiamo come scoprirlo e apprenderlo (439b). Il senso del gioco del linguaggio non può essere stabilito dal suo interno.
In coerenza con quanto detto, la conclusione del testo sposta l'indagine sulle cose. Anche supponendo o riconoscendo che i primi legislatori fossero convinti che le cose siano sempre in preda al movimento e al flusso e che abbiano trascinato anche chi ora parla nel loro vortice, possiamo chiederci - come spesso sogna 27 Socrate - se ci sia il bello in sé, il buono in sé, o qualsiasi altra entità in sé (439c)? Cratilo dà il suo assenso.
Questo bello in sé, per essere tale, deve rimanere uguale a se stesso: se, infatti, fosse soggetto al flusso e cambiasse continuamente, in nessun momento potremmo dire che cos'è, perché mentre lo diciamo sarebbe già diventato altro (439d). Perché possiamo tentare di conoscerlo, dobbiamo presupporre che la sua idea non muti (439e).
Non solo senza stabilità dell'oggetto non è possibile conoscenza, ma, a sua volta, la conoscenza può essere tale solo se nel soggetto non muta: se essa fosse immersa nel flusso e smettesse continuamente di essere se stessa, per diventare altro da sé, non potremmo sapere niente (440a-b). Cratilo, pur rimanendo fino alla fine un seguace di Eraclito, concede a Socrate tutto questo perché riconosce che senza una qualche forma di stabilità nell'oggetto conosciuto e nel soggetto conoscente sarebbe impossibile formulare qualsiasi teoria: la loro stessa discussione - la stessa teoria del flusso - sarebbe senza senso. Com'è tuttavia possibile che uomini esposti alla convenzione e alla storia conseguano quella stabilità che la loro ricerca deve presupporre come attingibile?
Ora, Cratilo, forse le cose stanno così, forse anche no. Bisogna, dunque, indagare coraggiosamente e bene, e non concedere facilmente la propria approvazione - sei ancora giovane e nel fiore dell'età -; ma se dopo aver riflettuto trovi, fanne partecipe anche me (440d).
[ 26 ] I voltafaccia etimologici di Socrate mostrano, ancora una volta, che la sua precedente discussione sulle etimologie non era da prendere interamente sul serio.
Il Cratilo di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/cratilo