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Il Carmide di Platone |
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Durante il colloquio di Socrate con Carmide, Crizia dà segni di crescente agitazione, sia perché ansioso di far bella figura, sia perché è effettivamente l'autore della terza definizione di sophrosyne. Alla fine, come un poeta con un attore che recita male i suoi versi, non riesce più a trattenersi e interviene a rimproverare il giovane cugino (162c). Socrate lo lascia subentrare nella discussione e gli ripropone la questione lasciata irrisolta dal ragazzo: una volta ammesso che gli artigiani fanno 13 qualcosa (162e) e che i loro prodotti non sono solo per loro stessi, ma anche per gli altri, dobbiamo concludere, alla luce della terza definizione di Carmide, che sono privi di sophrosyne (163a)?
Crizia risponde distinguendo il fare nel senso di poiein (produrre) dal fare nel senso di prattein (agire, occuparsi) e in quello di ergazesthai (lavorare) e si appella all'autorità del poeta Esiodo citandone un verso (163b):
Il lavoro non è onta (Le opere e i giorni, 309).
Se Esiodo, prosegue Crizia, avesse confuso il fare come poiein (produrre) con il fare come ergazesthai (lavorare) e come prattein (agire, occuparsi), avrebbe anche affermato qualcosa di falso, e cioè che non è vergognoso fare il calzolaio, il pescivendolo e il prostituto (163b).
La distinzione corretta, secondo Crizia, è dunque la seguente (163c):
produrre (poiein)
lavorare (ergazesthai) e agire od occuparsi (prattein)
Ciò che si produce (1) può anche essere disonorevole, quando non è connesso col bello (kalon). I lavori e le azioni od occupazioni (2) sono invece ciò che viene prodotto in modo bello e utile: questo soltanto è quanto ci è proprio e non alieno. Si può dunque sostenere - conclude Crizia - che anche per Esiodo, come per qualunque persona assennata, la sophrosyne è fare ciò che è proprio (163c). Per "proprio", spiega Socrate - che riconosce in simili distinzioni terminologiche l'influenza del sofista Prodico di Ceo -, si deve intendere dunque il bene: sophrosyne è fare ciò che è bene.
Carmide ha risposto alle obiezioni di Socrate usando, in sostanza, due argomenti:
produrre (poiein) e agire (prattein) non sono sinonimi: l'agire non comprende tutto il produrre, ma solo quello onorevole;
ciò che è "proprio" non è ciò che riguarda solo se stessi, ma ciò che è "appropriato", cioè buono.
Il verso di Esiodo, citato solo parzialmente da Crizia, nella sua interezza recita: «Il lavoro non è onta; è onta l'ozio.» Il poeta, che esortava il fratello Perse al lavoro, in polemica con l'ozio degli aristocratici, non avrebbe mai considerato disonorevoli mestieri come quello del calzolaio e del pescivendolo: il suo nobile interprete, distinguendo il lavoro - onorevole - dalla produzione, non necessariamente tale, lo trascina dalla sua parte solo in virtù di una lettura fuorviante.
Sophrosyne, dunque, è fare cose buone (163e). Allora, osserva Socrate, se la virtù si misura sull'oggettività dei suoi effetti, chi agisce con sophrosyne non ha bisogno né di sapere quello che fa, né di conoscere la sua stessa virtù (164c).
I tentativi di definizione finora compiuti hanno rappresentato la sophrosyne o come una virtù esteriore e dipendente da altri, o come un comportamento talmente privato da rendersi socialmente irrilevante. Crizia è riuscito a connettere questo comportamento al bene: Socrate, però, fin dall'inizio, cerca la sophrosyne come virtù non semplicemente della prassi, bensì della coscienza. Perciò impone alla conversazione un percorso lungo e accidentato per tornare su questo punto.
Il Carmide di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/carmide