La via verso l'alto: autonomia dell'anima e politica nella Repubblica di Platone

La via verso l'alto: autonomia dell'anima e politica nella Repubblica di Platone

Maria Chiara Pievatolo

Questo saggio è una versione ipertestuale accresciuta di un testo dallo stesso titolo, contenuto in R. Gatti, G.M. Chiodi (a cura di), La filosofia politica di Platone, Milano, Angeli, 2008.

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25-04-2015


Indice

1. Platone e la politica

A partire dagli anni '30 1 del secolo scorso e nell'epoca della guerra fredda, il pensiero di Platone - accusato di fondare teoricamente il totalitarismo – fu oggetto di una discussione accesa. Uno degli esiti di questo dibattito è una certa riluttanza a confrontarsi con Platone come filosofo politico, preferendone, piuttosto, una lettura storico-antropologica.

Nel 1949, a margine di questa disputa, E. Unger 2 ricordava che la tesi centrale della Repubblica è la subordinazione della politica alla filosofia. Platone tenta di produrre una legittimazione del potere fondata sull'autorità della conoscenza, e sulla base di questa legittimazione presenta il suo progetto politico. Per contestarlo possiamo seguire la via difficile di confutare la sua filosofia, riconoscendo l'autorità del sapere come fonte di legittimazione politica, oppure la via facile di attaccarlo esclusivamente sul piano politico, come hanno fatto molti pensatori della guerra fredda. Ma se la filosofia e la politica sono ambiti radicalmente differenti e se la prima non ha giurisdizione sulla seconda, allora le istituzioni politiche devono essere pensate come espressione di poteri e di opinioni non formalizzabili e non legittimabili teoreticamente. Questi poteri e queste opinioni possono anche essere – o essere state – “umanitarie” e democratiche, ma, se sono indipendenti dalla teoria, sono o sono state tali solo per un felice accidente della storia. 3

Una filosofia politica che segua le tracce dell'anti-intellettualismo novecentesco, disconoscendo la possibilità dell'autorità della conoscenza come proprio orizzonte ideale, si espone al pericolo di ridursi a propaganda e intrattenimento retorico. Una lettura meramente storico-antropologica, d'altra parte, rischia di ricadere in una oziosità antiquaria che si sottrae al confronto con il pensiero di Platone.

Nel 1937 R.H.S Crossman, autore molto citato nel primo volume di La società aperta e i suoi nemici di Popper, aveva ancora la lucidità di affermare:

Plato was not simply a Greek who lived in the fourth century B.C. He was also (for good or ill) the inspiration of much modern political thought and action. The Republic has become a part of Western European tradition: it has moulded our ways of thinking, and more than once a new interpretation of it has contributed to a great revolution which closed one epoch and inaugurated a new one. [...] Whether we call ourselves historians or philosophers or practical men, we must treat his philosophy not merely as an historical document, but as a challenge to us, an assertion of value which we must either accept or reject. 4

Crossman è stato oscurato dal più fortunato pamphlet popperiano. 5 Ma il suo testo, pur essendo stato scritto da un uomo politicamente impegnato e in un'epoca non facile, è molto lontano dalle contrapposizioni ideologiche della guerra fredda:

I am a democrat and a Socialist who sees Fascism rejected and democracy defended on quite inadequate grounds, and it is because I realize that our greatest danger to-day is not the easy acceptation but the easy rejection of Totalitarian philosophy, that I have tried to restate the Republic in modern terms. 6

Crossman riusciva ancora a farsi provocare da Platone al punto da immaginarlo nell'affermazione che la democrazia britannica è una commistione fortunata di oligarchia e di aristocrazia stabilizzata dalla nobile menzogna della libertà individuale e dall'autogoverno - quando al potere si alternano due o tre partiti, sulla base di programmi che, in virtù del sistema elettorale, sono approvati solo da una minoranza di elettori. 7 O che i limiti del comunismo sovietico non stavano nel voler sottoporre la società a una presunta pianificazione razionale, ma nell'avere la stesso scopo del capitalismo - l'aumento della ricchezza materiale in luogo del primato della ragione. 8

E tuttavia Platone teorizza l'eugenetica, la nobile menzogna, il controllo politico dell'eros privato. L'interpretazione antropologica, che permette di prendere le distanze da queste tesi tramite la loro contestualizzazione storica, può essere davvero l'unica lettura platonica che - pur teoreticamente depotenziata - si sottragga all'accusa di totalitarismo. A meno in Platone non si trovi una strada per distinguere la sua filosofia - un possesso per sempre - dalla sua antropologia, storicamente condizionata



[ 2 ] E. Unger, «Contemporary Anti-Platonism», ora in R. Bambrough (ed.), Plato, Popper and Politics, Cambridge, Heffer, 1967, pp. 91-107.

[ 3 ] Questa è la critica che Socrate fa, in Menone 99a-c, ai politici ateniesi: ne riconosce l'eccellenza, ma la ritiene dovuta a una theia moira e non alla loro scienza.

[ 4 ] R.H.S. Crossman, Plato To-day, London, Allen & Unwin, 1937-1959, pp. 92-93.

[ 5 ] Si veda M.C. Pievatolo, N. De Federicis, «La società aperta e i suoi nemici», Bollettino telematico di filosofia politica, 2005.

[ 6 ] R.H.S. Crossman, Plato To-day cit., p. 201.

[ 7 ] Ibidem, pp. 96-107.

[ 8 ] Ibidem, pp. 146-152.

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