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Alle facoltà, leggiamo in conclusione del paragrafo sopra riportato, spetta il potere di giudicare. Tale potere, tuttavia, non è ripartito egualmente tra le due classi di facoltà. La divisione dell'università in quattro facoltà, una inferiore e tre superiori, è quella consueta, e la terminologia di Kant non si discosta dalla tradizione. Ma il filosofo prende in qualche modo le distanze da tale denominazione sin dal principio, quando in apertura del paragrafo intitolato Divisione generale delle facoltà afferma che all'origine della suddivisione e del nome non sta la comunità scientifica, bensì il governo. Quel che è originale, in questo contesto, è infatti la motivazione che, nella definizione kantiana, sta alla base degli aggettivi accompagnati alle due classi di facoltà universitarie. La facoltà di filosofia viene chiamata inferiore in quanto deve occuparsi dell'interesse della scienza, ed è tale, anticipa, «perché può trattarne con le sue proposizioni come crede bene.» (Streit A 7, tr. it. p. 238)
Si tratta di una prima definizione, a cui Kant aggiunge la motivazione che segue:
.. la causa per cui una tale Facoltà, senza riguardo per questo grande privilegio (della libertà), viene tuttavia chiamata inferiore, deve essere trovata nella natura dell'uomo, cioè nel fatto che colui che può comandare, anche se è un umile servitore di altri, si reputa tuttavia più importante di un altro, che è certo libero, ma non ha da comandare nessuno. (Streit A 10- 11, tr. it. p. 239).
Il primato della libertà pone la facoltà di filosofia in una condizione di inferiorità assai particolare. In questa osservazione finale, il filosofo contrappone libertà e governo: libertà come autonomia, dominio di sé, dominio rivolto verso l'interno; e governo, cioè facoltà di dare ordini (befehlen), forma di dominio rivolto verso l'esterno 35 . L'appellativo di “inferiore” dipende così da una sorta di paradosso, secondo cui chi non è libero e comanda, è superiore a chi è libero, ma non comanda nessuno. Di quale libertà si tratti, viene chiarito nel medesimo paragrafo, che aggiunge qualche elemento ulteriore:
Occorre assolutamente che, nell'Università, appartenga alla comunità dei dotti una Facoltà, la quale, indipendentemente dagli ordini del governo per quanto concerne le sue dottrine, non abbia la libertà di dare alcun ordine, ma abbia però quella di esprimere un giudizio su ogni ordine avente a che fare con l'interesse scientifico, cioè con l'interesse della verità, ove la ragione deve essere autorizzata a parlare in pubblico. (Streit A 9-10, tr. it. p. 239)
In nota Kant inserisce un'aggiunta in cui chiarisce il senso in cui è intesa tale autorizzazione:
Un ministro francese chiamò a sé un gruppo di commercianti fra i più stimati e richiese loro delle proposte su come si potesse rimettere in sesto il commercio: come se egli intendesse scegliere tra quelle la proposta migliore. Dopo che uno aveva proposto una cosa, l'altro un'altra, un vecchio commerciante, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, disse: 'Costruite buone strade, coniate buona moneta, date un diritto valutario spedito e cose simili, per il resto però “lasciateci fare”!'. Questa sarebbe all'incirca la risposta che la facoltà filosofica avrebbe a dare, se il governo la interrogasse su quali dottrine esso dovesse prescrivere in generale ai dotti: che solamente non ostacoli il progresso delle opinioni (Einsichten) e delle scienze (Ibidem)
Il primo dei due passaggi citati anticipa inoltre tre punti importanti, che vengono sviluppati nella sezione dedicata alla facoltà inferiore: a) la necessità della facoltà filosofica, e le condizioni necessarie alla sua esistenza, vale a dire b) la libertà di critica su ogni disciplina e c) l'indipendenza dell'università (e in particolare della facoltà “inferiore”) dal potere politico.
a) Kant ritiene la facoltà di filosofia indispensabile al funzionamento dell'intera università. Si è osservato che gli insegnamenti di tale facoltà consistevano nelle cosiddette artes liberales, le cui discipline esulano dalla filosofia in senso stretto. Quando si riferisce alle discipline insegnate nella facoltà filosofica, egli intende dunque tanto le scienze matematiche, fisiche e naturali, quanto le scienze umane (le lettere, la storia e la filosofia), il cui studio a livello universitario consisteva, al tempo, in ciò che oggi definiremmo ricerca di base, a cui si contrappone la ricerca applicata, orientata a fini professionali. La facoltà inferiore, divisa nei due dipartimenti delle conoscenze storiche e di quelle razionali pure 36 , ha lo scopo di fornire agli studenti una solida formazione scientifico-letteraria di base, che è un prerequisito necessario allo studio delle materie insegnate nelle facoltà superiori. Essa, scrive, «si estende a tutti i settori del sapere umano (quindi, dal punto di vista storico, anche al di là delle Facoltà superiori); solo che non considera tutti questi settori (vale a dire le dottrine e i precetti propri delle facoltà superiori) come contenuto, ma come oggetto del suo esame e della sua critica, avendo di mira il vantaggio delle scienze.» (Ibidem)
Il testo afferma la necessità («occorre assolutamente») di una comunità scientifica che si occupi della ricerca di base, e l'esigenza di un sistema formativo fondato sull'educazione al metodo scientifico-filosofico che non sia orientato alle professioni e mosso dall'utilità. Si tratta di un tipo di studio che, a differenza di quello che viene impartito nelle facoltà superiori, ha al centro l'interesse della verità.
b) La facoltà di filosofia non dà ordini, si legge, ma può «esprimere un giudizio su ogni ordine avente a che fare con l'interesse scientifico, cioè con l'interesse della verità, ove la ragione dev'essere autorizzata a parlare in pubblico.»
Tale definizione si compone di due aspetti distinti: b1) in primo luogo si fonda sull'analogia tra scienza e verità; b2) in secondo luogo, richiama la necessità di un'autorizzazione (illimitata) alla pubblicità del discorso scientifico.
b1) Il filosofo stabilisce una relazione di identità tra interesse della scienza e interesse della verità, e quindi tra scienza e verità. La verità, un termine evasivo nel lessico kantiano, viene, in questo contesto, più volte richiamata e enfatizzata 37 , senza essere mai identificata con alcun contenuto. In senso oggettivo, la verità coincide con l'idea a cui la ricerca tende e si approssima 38 ; in senso soggettivo, ha un duplice significato: essa è esercizio corretto del pensiero, in accordo con i princìpi della ragione 39 , e sincerità nell'esporre le proprie tesi, senza celare, per convenienza, i dubbi e le difficoltà 40 .
Se la scienza coincide con la verità intesa come metodo (e non come contenuto), poiché lo scopo della facoltà inferiore è occuparsi di qualsiasi questione scientifica, essa consisterà nell'esercizio dell'autonomia di giudizio e nell'uso pubblico della ragione; la facoltà inferiore non interviene nell'ambito dell'uso privato della ragione, non ha alcun potere di comandare – ha però la libertà di esprimere pubblicamente un giudizio su qualsiasi questione scientifica. Nell'argomentazione di Kant, l'interesse della scienza, in quanto interesse della verità, è il fondamento dell'intera università 41 ; ed è probabilmente per sottolineare questo rapporto, che l'autonomia della facoltà filosofica, in tutta la prima parte del primo saggio, viene continuamente posta in relazione e messa a confronto con ciascuna delle altre facoltà 42 .
La definizione della facoltà filosofica, che apre la sezione su Concetto e divisione della facoltà inferiore, sintetizza i punti precedenti e chiarisce il senso che l'aggettivo inferiore assume nel lessico kantiano: è «inferiore quella classe dell'università che si occupa, o in quanto si occupa solo di dottrine che non vengono accettate come norma per ordine di un superiore» (Streit A 24, tr. it. p. 244). Inferiore sta dunque per autonoma. Essa è tale in quanto, vi si spiega, in filosofia accettare passivamente idee altrui è impossibile sia sul piano oggettivo («in quanto è un giudizio che non dovrebbe essere») sia soggettivamente: chi dice di voler sbagliare, finge di credere in qualcosa che sa non essere vero, dunque non sbaglia ma mente. Perciò, trattandosi della verità di certe dottrine che devono essere esposte in pubblico, il filosofo (sia esso il maestro o l’allievo) non può fingere o mentire; cosa che sarebbe sì possibile in un'azione concreta, per scopi condizionati come la salus dell'anima, dello stato, del corpo; ma non lo è sul piano dell'esercizio della ragione (Ibidem).
b2) Il riferimento alla necessità che la ragione sia autorizzata a parlare in pubblico richiama un'altra condizione essenziale per la possibilità della scienza, vale a dire l'esistenza di uno spazio pubblico che goda di un'autorizzazione illimitata.
c) La facoltà filosofica è libera anche a tale riguardo, in quanto è indipendente dal governo, e svincolata dal controllo della censura:
Quindi sarà necessario che la facoltà filosofica, poiché deve garantire la verità delle dottrine che deve accogliere o anche solo permettere, sia considerata a tale riguardo libera e sottoposta soltanto alla legislazione della ragione, non a quella del governo (Streit A 25, tr. it. p. 244)
Il governo ha interesse a controllare soltanto le facoltà superiori e a decidere se le dottrine che vi sono insegnate «devono essere formulate in un modo o nell’altro, o se devono essere esposte pubblicamente», perché queste formano direttamente i professionisti. Così, sembra che i professori delle facoltà superiori siano limitati nell'uso privato della ragione, come gli altri dipendenti dello stato nominati nel saggio sull'illuminismo; al contrario, i professori della facoltà filosofica sono svincolati da qualsiasi forma di controllo sulle dottrine che insegnano: essi sono completamente liberi, sia als Gelehrter, sia in qualità di insegnanti (cioè come dipendenti pubblici). L'autonomia della facoltà filosofica è dunque l'unica garanzia dell'indipendenza dell'università dal potere, sia esso accademico, politico o religioso. «Da una parte», come scrive Brandt, «si trova l'atto arbitrario del governo – ispirato dalla "trovata non cattiva” di cui si è detto – che esercita, attraverso le università, una politica degli interessi; dall'altra, sta invece la ragione che si sottrae a ogni arbitrio particolare, che non opera per gli interessi di una ragion di stato, ma che si pone esclusivamente al servizio della libertà e ricerca la verità per sé stessa. Dunque, ... l'eteronomia si contrappone all'autonomia, il rispetto dell'autorità di altri al motto "abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza"» 43 . Il governo non insegna, precisa Kant, ma si limita ad avere il comando su quelli che insegnano: non interviene nella disputa tra scienziati, ma solo riguardo all'insegnamento, e solo nelle facoltà superiori.
Il lungo paragrafo conclusivo della sezione dedicata alla facoltà inferiore riassume i diversi passaggi del ragionamento kantiano come segue:
Quindi la facoltà filosofica può accampare diritti su tutte le dottrine, per sottoporre a esame la loro verità. A essa non può venir imposto alcun interdetto dal governo, senza che quest'ultimo contravvenga al suo scopo peculiare ed essenziale, e le facoltà superiori devono sopportare le obiezioni e i dubbi che essa avanza pubblicamente; e quelle certo potrebbero trovare questa cosa molesta, perché senza tali critici esse avrebbero avuto la possibilità di riposare indisturbate e, in più, di comandare dispoticamente nel loro possedimento, una volta occupatolo a qualsiasi titolo (Streit A 27, tr. it. p. 245. Corsivi miei)
Da una parte, Kant caratterizza le facoltà superiori come tiranni potenziali: senza l'attività di controllo assegnata alla facoltà filosofica, le altre facoltà potrebbero «riposare indisturbate» nel campo del sapere che abbiano occupato, e legiferare in merito dispoticamente. I funzionari e i professionisti che escono dalle facoltà superiori possono promettere rimedi per ogni male ed essere obbediti passivamente dal pubblico, se la facoltà filosofica non è autorizzata a intervenire pubblicamente, vale a dire tramite scritti, in merito 44 . Il pericolo di un tale meccanismo consisterebbe nella diffusione di pregiudizi, sui cui effetti Kant discuteva già nell'Illuminismo. Come nel saggio del 1784, in questo contesto conferma che l'uso privato della ragione da parte dei professionisti dev'essere limitato 45 .
Se questi ultimi infatti, per esempio predicatori e funzionari della giustizia, desiderassero indirizzare al popolo le loro obiezioni e i loro dubbi contro la legislazione ecclesiastica o civile, in questo modo lo sobillerebbero contro il governo; invece le facoltà li indirizzano solo l'una contro l'altra, tra dotti, cosa di cui praticamente il popolo non tiene alcun conto, anche se ne venisse a conoscenza, poiché esso si rassegna al pensiero che i sottili ragionamenti non siano affar suo e si sente perciò obbligato ad attenersi solo a ciò che gli viene annunciato dai funzionari del governo a ciò nominati (Streit, A 28, tr. it. p. 245. Corsivi miei).
Dall'altra parte, Kant rappresenta le facoltà superiori come potenzialmente rivoluzionarie; il governo non può disinteressarsi completamente delle dottrine che insegnano, che potrebbero essere sovversive 46 . A tal fine, il dibattito tra gli eruditi può anche essere inteso dal governo come un momento essenziale del controllo sugli stessi professionisti. Lasciare libera la scienza, aiuta il corretto funzionamento del meccanismo dello stato.
Il filosofo torna ad affermare in questo contesto, che il pubblico dei lettori dei professori della facoltà inferiore è composto soltanto dal governo e dai professori delle facoltà superiori. Egli tace tuttavia su come ciò possa e debba accadere; certamente non attraverso limitazioni alla libertà di espressione e di stampa, che sono le precondizioni necessarie al dibattito degli scienziati. Né si accenna a come la comunicazione dei filosofi col grande pubblico debba o possa venire mediata dalle facoltà superiori; viceversa, è possibile che il popolo, als Leserwelt, venga a conoscenza dei termini di tale dibattito.
Kant si affida dunque agli effetti di una illimitata libertà di pensiero, di espressione e di stampa, garantita ai professori universitari che appartengono alla facoltà filosofica. La libertà di tale facoltà è in grado di innescare un circolo virtuoso, così come viene descritto in conclusione del paragrafo che chiude la sezione dedicata alla facoltà inferiore:
Ma questa libertà, che per la facoltà inferiore non può venir ridotta, ha come conseguenza che le facoltà superiori (esse stesse meglio istruite) conducono sempre più nella carreggiata della verità i funzionari, i quali quindi, da parte loro, anche meglio illuminati sul loro dovere, non troveranno alcuno scandalo nel rettificare la loro esposizione. Infatti si tratta solo di una migliore comprensione dei mezzi per giungere esattamente al medesimo fine: cosa che può benissimo avvenire senza attacchi polemici, causa solo di agitazione, contro metodi di insegnamento sino a quel momento in vigore, conservandone pienamente il contenuto materiale (Ivi, A 28-29, tr. it. pp. 245-6).
Nell'università secondo ragione, la gerarchia tra le classi dell'università viene ribaltata: la facoltà filosofica non è inferiore in quanto la sua frequenza è propedeutica agli studi delle facoltà superiori, ma perché essa è il luogo in cui può e deve avvenire una discussione pubblica tra scienziati; in quanto tale, essa ha un primato tanto sul governo, quanto sulle facoltà superiori. Kant ironizza sul ruolo ancillare della facoltà filosofica, affermando che essa potrebbe sì reggere lo strascico alla facoltà di teologia, ma anche portarle la fiaccola davanti (Streit, A 26, tr. it. p. 245) 47 . L'attività filosofica è ricerca di base, esercizio di un metodo che consiste nel sottoporre alla critica qualunque dottrina, e in quanto tale è la precondizione fondamentale di ogni conoscenza. La corrispondente facoltà è dunque inferiore in quanto fondamento e condizione necessaria alla scienza in generale; essa è inoltre un anello fondamentale del meccanismo a garanzia della libertà di ricerca e di insegnamento, e ha il compito di sottoporre a esame qualunque dottrina passandola al vaglio della ragione, cioè del dibattito pubblico, aperto e libero dei Gelehrter.
[35] Cfr. su questo Platone, Menone, 86d. Vedi anche M.C. Pievatolo, Il Menone di Platone. Governare sé stessi, Bollettino telematico di filosofia politica 2004-2006.
[36] Si veda più oltre: «Ora, la facoltà filosofica comprende due dipartimenti, quello della conoscenza storica (a cui appartengono la storia, la geografia descrittiva, la glottologia, le scienze umanistiche e tutto ciò che la scienza naturale offre come conoscenza empirica) e quello delle conoscenze razionali pure (matematica pura e filosofia pura, metafisica della natura e dei costumi), e ambedue queste parti del sapere nel loro rapporto reciproco». (Streit A 26-27, tr. it. p. 245)
[37] Cfr. T. Bahti, “Histories of the University: Kant and Humboldt”, Modern Language Notes, Vol. 102, No. 3, German Issue. (Apr., 1987), pp. 437-460, in part. pp. 442-443.
[38] Cfr. il seguente passaggio dell'Architettonica della ragion pura: «Nessuno potrà mai tentare di costruire una scienza senza porre a suo fondamento un'idea. Ma, nella successiva elaborazione, molto raramente lo schema, e la stessa definizione che si dà all'inizio della scienza, corrispondono all'idea; e ciò perché quest'ultima è presente nella ragione come un germe in cui tutte le parti si occultano, ancora inviluppate e a mala pena riconoscibili all’osservazione microscopica. Ne viene che le scienze, essendo tutte concepite dal punto di vista di un qualche interesse generale, siano chiarite e determinate, anziché dalla descrizione che ne dà il loro autore, dall’idea che si trova fondata nella ragione stessa e che viene dall’unità naturale delle parti che l’autore ha posto assieme. È allora possibile rendersi conto che l’autore, e sovente anche i suoi tardi successori , brancolano attorno a un’idea su cui non si sono fatti chiarezza e si trovano così nell’impossibilità di determinare il contenuto particolare, l’articolazione (l’unità sistematica) e i confini della scienza». (Kritik der reinen Vernunft, A 834|B 862, tr. it. Critica della ragion pura (a cura di P. Chiodi), Utet, Torino, 1967, p. 624.)
[39] Le tre massime del senso comune (espressione con cui Kant intende il senso che abbiamo in comune) sono: pensare da sé (massima del pensiero autonomo); pensare mettendosi al posto degli altri (massima del pensiero largo); pensare in modo da essere sempre in accordo con sé stessi (massima del pensiero conseguente). I. Kant, Kritik der Urteilskraft, B 158|A 156 , tr. it. Critica della facoltà di giudizio (a cura di E. Garroni, H. Hohenegger), Einaudi, Torino, 1999, pp. 130-31.
[40] Nella seconda sezione della Disciplina della ragion pura, Kant osserva come, nella natura umana, sia presente una certa “doppiezza”, vale a dire una tendenza a tener nascosti i propri veri sentimenti simulandone altri, una propensione alla dissimulazione e alla falsità che trovano spazio anche nella comunicazione scientifica; un ambito in cui, viceversa, non dovrebbe esistere alcun interesse contrario alla manifestazione sincera dei propri pensieri: «Che cosa, infatti, potrà recare maggior danno alla conoscenza, del non scambiarsi che pensieri camuffati, del dissimularci i dubbi che ci si presentano circa le nostre convinzioni, e del conferire l'aspetto dell'evidenza ad argomenti di cui noi stessi siamo insoddisfatti?» Il minimo che si può chiedere nel valutare gli argomenti scientifici, vale a dire la condizione necessaria della scienza, «è che tutto proceda lealmente». Da un punto soggettivo, è indispensabile che lo scambio di conoscenze sia sincero, in modo da creare uno spazio in cui la ragione possa esercitare la propria lotta. Uno spazio che necessiterebbe, aggiunge, di un'«autorizzazione pubblica e illimitata», grazie alla quale soltanto la critica può giungere a maturità (KrV B 777|A 749, tr. it. p. 573).
[41] Turner parla di Wissenschaftideologie (ideologia della scienza) come prodotto dell'illuminismo tedesco, che incentra la formazione sull'ideale di scienza; un'idea che ebbe un notevole influsso sulla riforma della formazione universitaria a opera di Wilhelm von Humbold ai primi dell'Ottocento. Cfr. R. S. Turner, “The growth of professorial research in Prussia, 1818-1848 Causes and Context”, Historical studies in the physical sciences, III 1971, pp. 137–82, cit. in F. Gregory, “Kant, Schelling, and the administration of science”, Osiris, 5, 1989, p. 17.
[42] Cfr. in particolare la sezione dedicata al concetto delle facoltà superiori e alla descrizione delle tre facoltà; la definizione di ciascuna è costruita in parallelo con quella della facoltà filosofica. Il termine di paragone è il rapporto tra le facoltà con i testi scritti su cui si fondano le dottrine che vi sono insegnate. Solo la facoltà filosofica non basa i suoi insegnamenti su testi scritti, ma sul semplice esercizio della ragione.
[43] R. Brandt, Il conflitto delle facoltà. Determinazione razionale ed eterodeterminazione nell’università kantiana, cit., p. 18.
[44] J.C. Laursen, "The Subversive Kant: The Vocabulary of “Public” and “Publicity”", Political Theory, 14, 4, Nov. 1986, pp. 584-603, in particolare pp. 592-3.
[45] «Solo ai professionisti di quelle facoltà superiori (ecclesiastici, funzionari della giustizia, medici) può essere effettivamente vietato di contraddire pubblicamente le dottrine loro affidate dal governo nell'espletamento della loro rispettiva funzione perché le espongano e di azzardarsi a giocare ai filosofi; ciò infatti può essere permesso solo alle facoltà, non ai funzionari nominati dal governo: giacché questi ricevono il loro sapere solo da quelle». (Streit A 27-28, tr. it. p. 245.)
[46] J.C. Laursen, "The Subversive Kant: The Vocabulary of “Public” and “Publicity”", cit.
[47] Vedi anche I. Kant, Per la pace perpetua, B 70, online a
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