Tetradrakmaton

La Repubblica di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

La possibilità di una città filosofica

L'astensione del filosofo dalla vita pubblica, prosegue Socrate, è dovuta al fatto che le forme di costituzione esistenti, a causa delle loro deficienze culturali, non sono un terreno fertile per la filosofia. Lo potrebbe essere la costituzione che Socrate sta disegnando? Anche qui, sottolinea Socrate, la cosa è tutt'altro che semplice, perché ci deve essere sempre nella città qualcosa che mantenga lo stesso logos avuto dal legislatore nel porre le leggi (497c-d). Il logos filosofico, come abbiamo già visto, rimane tale solo se e finché la discussione continua.

...tutte le grandi cose sono precarie (497d)

Socrate propone un suo progetto di educazione filosofica, differente da quello corrente (isocrateo) che proponeva la filosofia, come disciplina accessoria, agli adolescenti, per poi abbandonarla senza toccare la parte più difficile, to peri tous logous (la disciplina dei discorsi o dialettica). Per lui la filosofia va studiata e praticata in età più matura: a questo bisogna convincere gli ascoltatori, procurando qualcosa di utile per quell'altra vita, quando, rinati, si imbatteranno in simili discorsi (498d).

L'allusione alla dottrina (pitagorica) della metempsicosi, che verrà ripresa alla fine del X libro, con il mito di Er, ha la funzione retorica - come l'immagine del pilota che studia il cielo e le stagioni - di ampliare l'orizzonte, oltre la città e i suoi valori. Il progetto politico della Repubblica è solo una parte accessoria di una prospettiva speculativa molto più ampia, grazie alla quale soltanto è possibile interrogarsi, oltre la storia, sul senso del mondo umano. Impresa, questa, cui viene associato lo stesso Trasimaco, qui trattato come un amico.

Se ora non accade che i filosofi governino, ciò può essere accaduto nell'infinito (apeiron) tempo passato, o potrà accadere in futuro, o sta succedendo ora in qualche remoto paese barbaro. E' sufficiente, in altri termini, ampliare la prospettiva dal qui ed ora ad un tempo e ad un mondo senza limiti per rendersi conto che la realizzabilità del modello è certamente difficile - anche a causa della corruzione che si accompagna al potere - ma non impossibile (499c-d ss). Il carattere indefinito dell'esperienza milita a favore della speranza riformatrice e contro il realismo politico, non appena si ampli l'orizzonte spaziale e temporale del nostro sguardo.

Pittori di costituzioni

Nel X libro, come avremo modo di vedere, Platone fonda teoreticamente la sua critica alla tradizione poetica sulla sua teoria delle idee. L'arte dei poeti, dei pittori e degli scultori produce una conoscenza di seconda mano, rispetto al sapere degli artigiani: i primi operano guardando direttamente ai paradigmi ideali degli oggetti, i secondi si limitano a riprodurre le opere degli artigiani così come appaiono ai sensi, senza averne una conoscenza concettuale di prima mano. Il pittore, in particolare, è detto «imitatore di ciò ci cui quelli [gli artigiani] sono artefici» (597e).

Ma nel V e nel VI libro si parla di pittori in modo diverso. Come abbiamo già visto, in 472d quando Socrate affronta il problema della realizzabilità della sua costituzione, precisa che questo aspetto non inficia, di per sé, la validità del modello: un pittore che dipingesse un uomo di perfetta bellezza senza essere in grado di dimostrare che esiste non sarebbe, per questo, meno bravo. E ancora:

...mai una polis potrà essere felice se non è disegnata da quei pittori che si valgono del paradigma divino... (500e)

Ebbene, ripresi, quei tali che, come dicevi, ci si sarebbero avventati contro con estrema violenza, riusciamo in qualche modo a persuaderli che un simile pittore di costituzioni è quello di cui facevamo loro le lodi e che ne suscitava le ire perché gli affidavamo le città? (501c)

Se i pittori del X libro si applicassero alla materia costituzionale, in quanto meri imitatori di ciò di cui gli artigiani sono artefici, si limiterebbero a rappresentare le costituzioni esistenti: sarebbero, tutt'al più, meri scienziati politici empirici. Ma i pittori del V e VI libro hanno un rapporto immediato con il «paradigma divino», e lo rappresentano direttamente, come si evince da 472d. Perché, dunque, Platone ha preferito chiamarli pittori, invece che artigiani?

Anche la risposta a questa domanda può essere dedotta dal 472d: i pittori di costituzioni non le edificano, ma si limitano a rappresentarle, pur avendo, come gli artigiani, un rapporto diretto con il modello concettuale. La costituzione teorizzata nella Repubblica deve ancora essere fatta. Ciò che ancora le manca è l'elemento politico. Platone, nonostante sia spesso accusato di essere un teorico astratto, ne è evidentemente consapevole.

Bibliografia e URL rilevanti

Platone. La Repubblica 497b-504a.

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