Tetradrakmaton

La Repubblica di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

La terza ondata: la realizzabilità del progetto

Glaucone ripropone la questione della realizzabilità del progetto, che aveva in precedenza concesso di sospendere, costringendo Socrate a una risposta molto impegnativa.

- È possibile per qualcosa essere realizzato nella prassi come è detto a parole (os légetai), o è naturale che l’agire (praxis) colga la verità meno del parlare (lexis), anche se a qualcuno non sembra? Sei d’accordo o no? -

- Lo sono –, disse.

- Allora non mi costringere, per tutto quello che abbiamo attraversato col discorso, a doverlo dimostrare completamente realizzato anche di fatto; ma se riusciamo a trovare come si potrebbe fondare una città in modo prossimo a quanto abbiamo detto, si può affermare di avere trovato la possibilità di ciò che tu richiedi (473a-b).

L’elaborazione di un paradigma e la sua realizzabilità sono trattate da Socrate come questioni differenti e reciprocamente indipendenti: un esemplare di perfetta bellezza, dipinto da un pittore, non perderebbe la sua esemplarità per il fatto che esso non è reale, o non è compiutamente realizzato, perché la validità del giudizio estetico non dipende dalla realtà del suo oggetto. Analogamente, il paradigma di una città buona fabbricato col discorso non può essere confutato dalla circostanza che non è interamente realizzato o realizzabile (472d ss.).

I termini che Socrate mette l’uno contro l’altro, non sono la teoria e la prassi – la contemplazione e l’azione – bensì la lexis e la praxis. La lexis – il parlare – coglie la verità più dell’agire. Nel III libro (392c) la parola lexis era stata impiegata in senso tecnico, a proposito delle modalità dell’espressione o del discorso dei poeti. Ora viene usata in contrapposizione alla prassi, ove ci si sarebbe aspettati un termine connesso alla teoria. Se la scelta delle parole ha un senso, l’opposizione fra lexis e praxis non delinea il contrasto fra un contemplatore solitario e apolitico, il quale passa la sue visioni o teorie a un esecutore cieco, bensì fra chi parla e chi agisce. Se fosse la prassi, senza parole, a cogliere o, più rigorosamente, ad essere la verità, ciascuno sarebbe incatenato al fatto compiuto nella sua indicibile particolarità e privatezza, e la libertà – come libertà argomentata di scegliere, progettare, discutere, proporre – sarebbe impossibile. Se per lexis, di contro, si intende l’espressione che racconta, progetta, discute, propone, e che ha bisogno di interlocutori, essa, in quanto tale, è politica. La sua politicità perdura anche qualora si eseguano, approssimativamente, le sue indicazioni. Infatti, la differenza fra quello che si dice e quello che si fa, o si riesce a fare, fa sì che il gioco della lexis non possa mai venir concluso.

In una simile prospettiva, diventa chiaro perché il modello della Repubblica viene detto realizzabile solo qualora i filosofi regnassero, o quelli che ora si dicono re e sovrani cominciassero a fare filosofia (473d ss.). Se il disegno di Platone fosse un progetto di ingegneria sociale prodotto da un asociale contemplativo, l’uso dei filosofi come esecutori sarebbe inutile, se non controproducente. Disponiamo di uno schema socio-istituzionale, di una tecnologia di produzione e manipolazione del consenso, di un piano eugenetico: per mettere in atto e successivamente amministrare tutto questo, basterebbe una schiera di funzionari di partito. Ma il Socrate della Repubblica richiede, come condizioni di possibilità dell’attuazione del suo progetto, che la dynamis (potenza) politica e l’amore per la sapienza (philosophia) concorrano, e che vengano invece esclusi coloro che ora tendono separatamente a ciascuno dei due ambiti. Questo significa che il progetto istituzionale non è autosufficiente: esso, per esistere e per sussistere, non deve essere semplicemente messo in atto e istituzionalizzato, ma ha bisogno della lexis. Ha bisogno, come viene detto successivamente in 497c-d, che nella città ci sia qualcosa il quale mantenga lo stesso logos avuto dal legislatore nel porre le leggi. Una città filosofica non è semplicemente una città fondata in modo filosofico, proprio perché in essa deve venir conservato lo stesso logos con il quale era stata costruita. Il logos è la parola o il discorso con il quale viene espresso un pensiero: mantenere il logos non è conservare pedissequamente un modello, bensì tener viva la conversazione, il pensiero e l’amore che li ha ispirati.

In altri termini, a Platone non interessa tanto produrre un ordine politico, quanto fare della filosofia una politica, anche a prezzo di assimilare ad essa la città intera. L’amore per la conoscenza è sovrapersonale, comunitario e indefinitamente aperto; in quanto tale, esso è un problema per la politica. Kant, distinguendo prudentemente fra uso pubblico e uso privato della ragione, in epoca prerivoluzionaria, e prendendo per se stesso la parola, in epoca rivoluzionaria, ha dato una soluzione moderna alla questione della politica della conoscenza. La sua distinzione permette di tener libera la conoscenza della politica di potenza, statuale, e di lasciarle lo spazio per fare la sua propria politica, comunicativa e culturale. Questa soluzione non poteva essere pensata nel mondo della polis, che intendeva la comunità politica come una comunità totale: Platone non può evitare di percorrere la strada dell’assimilazione fra filosofia e politica - 41 una strada, del resto, quasi obbligata, quando qualsiasi tipo di potere pretende di inglobare in sé la libertà del sapere.

Bibliografia e URL rilevanti

Platone. La Repubblica 471b-474b.



[ 41 ] In questo senso, Hegel, quando nota che in Platone tutti valgono soltanto in quanto allgemeine Menschen o esseri umani in generale, coglie un punto importante (Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, II, Werke in zwanzig Bänden, p. 124).

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