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La Repubblica di Platone |
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Sarà dunque nostro compito selezionare quali nature, e di qual genere, siano adatte alla custodia della città (374e).
Per fare bene il loro lavoro, i custodi dovranno essere dotati di vigore fisico, di thymos, nonché della capacità di comportarsi gentilmente con chi conoscono e aggressivamente con gli sconosciuti. Socrate dice che in questo senso devono avere uno spirito filosofico: la loro caratteristica è essere amici (philoi) di quello che conoscono, nel senso di amarlo disinteressatamente, e nemici di ciò che ignorano (375e ss.). Questo fa sì che siano amici dell’apprendere (philomathés) e dunque filosofi (376b).
Una simile affermazione sembra ignorare la differenza fra ciò che non è familiare nel senso che non appartiene alla propria comunità politica, e ciò che non è familiare nel senso che non è conosciuto. I confini delle comunità politiche sono fissi e noti, e gli alieni sono, in realtà, conosciuti come tali e messi alla porta. Invece, ciò che non è conosciuto è o dimenticato o ignoto, e affrontarlo significa riportarlo alla mente o ricondurlo a familiarità: i confini della comunità cognitiva sono dunque sempre indeterminati, sia sotto l’aspetto oggettivo, sia sotto quello soggettivo. Lo schiavo di Menone, che viene condotto a ricordare ciò che non sapeva, ne è una illustrazione efficace: risolvendo il problema geometrico che gli era stato posto, si rivela, soggettivamente, come parte di una comunità cognitiva, e, oggettivamente, come partecipe di una comune collettività di conoscenze. Il carattere ambiguo dei guardiani, il cui ruolo, se inteso politicamente, è di presidiare confini, e, se inteso cognitivamente, di superarli, illustra l’ambiguità del progetto di costruire una città col discorso.
Questa costruzione può riuscire soltanto se convince gli interlocutori, cioè solo se riesce a attirarli oggettivamente e soggettivamente, col discorso, in una comunità di conoscenza; se riesce ad indurli a professare la sapienza. Pertanto, se ricordiamo che la città è costruita nel discorso, il senso cognitivo delle immagini che vengono usate deve essere primario e prevalente. Il carattere di esperimento ideale proprio della città – oltre che il mito dell’anello di Gige – impedisce di fare appello alla realtà effettuale. Questo sembra un limite, se si intende la Repubblica come un progetto politico immediatamente realizzabile, ma diventa un punto di forza, se la Repubblica è vista come un progetto culturale.
È per questo che, prima di parlare di giustizia e di politica, si parla di pedagogia e di comunicazione della conoscenza. Il nostro modo di essere non è dato, come assumeva acriticamente Trasimaco, contraddicendo la sua stessa professione, ma viene costruito da quello che sappiamo, dal modo in cui veniamo a conoscerlo e dal modo in cui lo condividiamo o lo teniamo per noi. E, se questo è vero, il partecipare col discorso alla costruzione di una città nel discorso può essere qualcosa che ci cambia a tal punto da farci superare i termini esistenziali nei quali era stata inizialmente posta la domanda sulla giustizia.
Il thymos designava il principio della vitalità e dunque, in senso fisico, il respiro, come è attestato in Omero, e in senso translato l’animo o il cuore, come sede delle passioni – l’ira, ma anche il coraggio e l'ardore. In questo senso, una persona che ha del thymos può essere detta “animosa”, cioè dotata della capacità e della forza passionale di reagire prontamente.
La Repubblica 374d-376c.
La Repubblica di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/resp