Tetradrakmaton

La Repubblica di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

Cefalo e la prima definizione della giustizia (328c-331d)

A casa di Polemarco, Socrate comincia a conversare con l'anziano Cefalo, che ha appena finito di celebrare un sacrificio. Cefalo dice di apprezzare molto la compagnia di Socrate perché «quanto più i piaceri del corpo appassiscono, tanto più aumentano il desiderio [epithymia] e il piacere dei discorsi» (328d). Interrogato da Socrate, Cefalo aggiunge che la vecchiaia non gli pesa perché, liberandolo dai desideri, lo libera dalla schiavitù di «molti e pazzi padroni» (329d).

Cefalo, come Polemarco, è un homo oeconomicus, condannato a vivere nel regno della necessità e delle pulsioni. Ma perfino lui sperimenta l'interesse per i "discorsi" come una liberazione, di cui, tuttavia, non è autore egli stesso, bensì il corso della natura. La vecchiaia, con il suo tempo libero, offre una forma di libertà negativa nel suo senso più puro: il padrone ha mollato la presa e ha lasciato un vuoto da riempire.

Discutere è un intrattenimento piacevole, quando null'altro ci costringe. Il tempo libero dell'uomo economico, tuttavia, è soltanto uno spazio residuale, una tregua: il mondo morale e religioso di Cefalo rimane interamente dominato dalla logica economica e dalle sue certezze e incertezze. In vecchiaia, per il timore delle cose che si narrano sull'aldilà, la ricchezza aiuta a comprarsi la pace, perché permette di pagare i debiti – di sacrifici agli dei e di denaro agli uomini (331b).

Socrate prende spunto dalla narrazione di Cefalo per chiedere se la dikaiosyne, cioè la giustizia come virtù personale, si possa delimitare o definire correttamente identificandola con il dire la verità e il restituire le cose ricevute: sarebbe giusto, per esempio, restituire un coltello a un amico impazzito ed essere completamente sinceri con lui (331c)? Cefalo, in difficoltà, lascia la discussione per proseguire con i suoi sacrifici. Nel suo mondo, che è quello della cultura tradizionale, le regole non sono frutto di autodeterminazione, ma necessità cieche, nei cui confronti si deve agire nel modo più conveniente dal punto di vista individuale, senza preoccuparsi d'altro.

Bibliografia e URL rilevanti

Platone. La Repubblica 328c-331d .

Glossario

Logos

Logos in greco significa sia "discorso", sia "ragionamento": il ragionare è dunque inteso come una attività comunitaria, che si compie stando insieme con gli altri, e non da soli.

Epithymia

Epithymia è il desiderio o l'appetito in quanto fenomeno fisiologico, oggetto di una affezione e non di una scelta.

Dikaiosyne

Nel primo libro della Repubblica i dialoganti oscillano, per designare la giustizia, fra il neutro sostantivato to dìkaion e il sostantivo dikaiosyne (S.Gastaldi, «Dìkaion/dikaiosyne», in Platone, La Repubblica, traduzione e commento di M. Vegetti, Napoli, Bibliopolis, 1998, vol. I, pp. 159-169). Successivamente, si impone questo ultimo termine, che Socrate adotta in via esclusiva già nel primo libro. L'uso del più recente dikaiosyne è indice dell'attenzione socratico-platonica al nuovo senso della giustizia come virtù personale e interiore – per quanto il problema e la meta sia connettere l'aspetto interiore con quello istituzionale (J. Annas, An Introduction to Plato's Republic, Oxford, Clarendon, 1982, pp. 10-15). Per questo, dikaiosyne soppianta il più antico sostantivo dike, che designava un complesso di regole di condotta sociale, sanzionate da una autorità divina o umana, ed eventualmente personificate in una dea, ma senza riferimento alle intenzioni individuali. In bocca a Cefalo ricorre l'espressione concreta diken didònai (330d-e) – pagare il fio – proprio come nel frammento di Anassimandro (DK 12 A9, B1)

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