Tetradrakmaton

Il Protagora di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

La discussione sul metodo

Macrologia e brachilogia (334c-335c)

Protagora conclude il suo discorso fra gli applausi (334c). 34 Socrate reagisce riproponendogli la questione di metodo che aveva già introdotto come pregiudiziale all'inizio della discussione: essendo un po' smemorato, si dimentica di ciò di cui si sta parlando, e ha bisogno che il suo interlocutore gli venga incontro, dandogli risposte brevi, in modo simile a come verrebbe incontro a un sordo alzando il tono della voce (334d).

Chi legge questo passo in combinato disposto col Menone, testo nel quale Socrate fa un'analoga professione di smemoratezza, può interpretarlo in un senso ironico: i discorsi del sofista non sono memorabili perché non sono scientifici. Ma l'ironia di Socrate è complessa: egli fa valere una sua presunta debolezza, che deve essere riconosciuta dall'interlocutore, perché presuppone che il dialogo sia un'interazione collaborativa e non competitiva. Se non comunichiamo per invadere lo spazio pubblico con la nostra propaganda, ma per sottoporre a esame le nostre idee e progredire nel nostro sapere, abbiamo bisogno che chi ci ascolta possa comprenderci e interrogarci. Protagora reagisce trattando il suo confronto con Socrate come una competizione: Socrate per risposta breve intende forse una risposta più breve del necessario? Socrate gli risponde negativamente, ma il sofista non è soddisfatto: chi stabilisce la misura del discorso, lui o il suo interlocutore? Socrate gli fa notare che, in quanto esperto di retorica, non dovrebbe avere difficoltà né a fare discorsi lunghi, né a farli brevi (334e): «quindi, se ti metti a discutere (dialegesthai) con me, impiega il secondo modo, la brachilogia [discorso breve]» (335a).

Socrate, già con molti ho fatto gare di discorsi e se mi fossi comportato come tu mi domandi, discutendo come mi chiedeva il mio contraddittore, non sarei apparso migliore di nessuno, né il nome di Protagora si sarebbe diffuso fra i Greci (335a).

Perché sia possibile cooperare, occorre che entrambe le parti siano disposte a farlo, almeno concordando regole di discussione comuni, pur essendo in disaccordo sul merito. Protagora intende la discussione in senso agonistico sia nel metodo sia nel merito: per lui accettare il metodo di Socrate significherebbe subire la strategia dell'avversario che deve essere sconfitto e messo a tacere. Però, se manca la cooperazione, perché Protagora, pur avendone la capacità, rifiuta di venire incontro al suo interlocutore, non è possibile la synousia propria del dialogo. Socrate annuncia di avere qualcosa di meglio da fare che stare ad ascoltare i lunghi discorsi del sofista e si alza per andarsene (335c). Anche per competere in una gara, bisogna che le parti siano d'accordo almeno sulle sue regole e sulla volontà di partecipare: Protagora non può imporre la sua comunicazione, se la controparte rifiuta di stare al gioco.

Lo scontro fra Socrate e Protagora, cortese nei toni, è radicale nella sostanza. Socrate e Protagora divergono sul metodo e sul modo di stabilirlo: per Socrate è interattivo e dovrebbe essere concordato, per Protagora è monologico e deve essere imposto. Questa divergenza è a sua volta dovuta a un disaccordo più profondo, sullo scopo stesso della discussione: Socrate discute per esaminare se stesso e il logos, per cercare la verità e diventare migliore, Protagora per sconfiggere l'interlocutore e diventare famoso. L'intransigenza di Socrate nella sua scelta non violenta induce il sofista a gettare la maschera, mettendo in luce qualcosa che in molti ambienti accademici è educatamente celato ma disperatamente presente.

L'intervento di Callia (335d-336b)

Il padrone di casa cerca di trattenere Socrate, afferrandolo per il mantello, perché la conversazione, senza di lui, non sarebbe più la stessa (335d). Socrate, però, continua ad appellarsi alla sua debolezza: chiedergli di star dietro a Protagora è come pretendere che regga il passo del velocista Crisone di Imera o di qualche corridore di fondo o di gran fondo (335e). Perciò, se Callia desidera che la conversazione continui, deve domandare a Protagora di continuare a dare risposte brevi e pertinenti all'oggetto (336a). Trovarsi insieme per dialegesthai e parlare in assemblea (demegorein) non sono la stessa cosa (336b).

Il verbo demegorein designa il parlare in assemblea, ma può indicare anche, spregiativamente, il fare discorsi demagogici. In un dialogo, le parti sono in condizione, prima che di interloquire, di negoziare le regole del gioco; in una comunicazione di massa non interattiva, questo non è possibile: l'ascoltatore può solo accettare il suo ruolo passivo, oppure rifiutare la comunicazione in toto, come si accinge a fare Socrate.

Callia, ammiratore della sofistica, non ha gli strumenti per dirimere il contrasto tra Socrate e Protagora: come Socrate pretende di parlare come vuole, analogamente Protagora ha ragione a esigere di fare lo stesso (336b). Sostenere, relativisticamente, che entrambe le pretese sono ugualmente valide, significa però rendere il conflitto razionalmente irrisolvibile. Se Socrate legittimamente vuole discutere col proprio metodo, e Protagora, altrettanto legittimamente, vuole usare il suo, quale dei due metodi si dovrebbe adottare?

L'intervento di Alcibiade (336b-d)

Alcibiade, da politico, interpreta il dibattito esclusivamente come una competizione: Socrate ha ammesso con Protagora di essere incapace di stargli al pari nella macrologia (336b), mentre non è secondo a nessuno nel dialegesthai e nel rendere e intendere ragione (logon te dounai kai dexasthai). Protagora, parimenti, può riconoscersi più debole di Socrate nel dialegesthai. Se invece vuol continuare a sfidarlo deve accettare di discutere brachilogicamente, evitando di fare lunghi discorsi per mettere fuori combattimento le argomentazioni e sottrarsi al compito di dar ragione delle sue tesi finché la maggioranza degli ascoltatori non si è dimenticata di ciò di cui si stava parlando - anche se questo trucco non funziona con Socrate, il quale finge di essere smemorato solo per scherzo (336c-d).

Il discorso di Alcibiade - il cui interesse è orientato alla discussione politica in una democrazia diretta - mette in luce le tattiche dei due interlocutori: la macrologia di Protagora serve per occupare lo spazio della comunicazione intorpidendo le menti ed eludendo le obiezioni, mentre la professione di smemoratezza di Socrate induce l'interlocutore ad adottare le sue regole. Ma chi si vanta di essere esperto di retorica dovrebbe avere la grazia di dichiararsi sconfitto, se non è capace di giocare anche secondo le regole altrui. Chi fa politica in una città democratica deve essere capace di prevalere anche quando non è lui a dettare le regole.

Crizia e Prodico (336d-337c)

Che Socrate e Protagora non debbano competere fra loro viene detto da Crizia, futuro tiranno: Alcibiade è uno che ama vincere ma il pubblico non dovrebbe parteggiare per Socrate o per Protagora. Dovrebbe piuttosto pregare entrambi di non sciogliere la loro synousia e di concludere la conversazione (336d-e). E' un'ironia platonica che Alcibiade, il politico spregiudicato, suggerisca di adeguarsi alle regole altrui o di arrendersi, mentre Crizia, il tiranno, inviti al giudizio spassionato e alla collaborazione.

Prodico di Ceo interviene per dare ragione a Crizia, con un discorso tipicamente ricco di distinzioni fra sinonimi: il pubblico di una discussione deve ascoltare le parti assieme (koinous) ma non indifferentemente (isous), perché deve preferire il più sapiente (337a). Il confronto non deve essere un erizein, una contesa fra avversari, ma una discussione benevola fra amici. Questo incontrebbe la stima (eudokimein) sincera degli spettatori (337b) e darebbe loro la gioia che deriva dall'apprendimento e della condivisione della conoscenza intellettuale (dianoia). Anch'egli riceve un applauso (337c).

Prodico, che sembra condividere con Socrate lo spirito della ricerca della distinzione, ha capito che i dialoganti possono ben essere in disaccordo sul merito, ma devono cooperare per quanto concerne il metodo e il fine del dialogo. Che fare, però, se il dissenso è proprio sul metodo e sullo scopo della ricerca?

La soluzione di Ippia (337c-338b)

Ippia di Elide esordisce con una distinzione, tipicamente sofistica, fra nomos e physis. Nomos in greco designa tutte le norme di carattere convenzionale, che vanno dalla legge scritta, alla consuetudine, al costume. Alla convenzione si contrappone la natura o physis, che indica quello che siamo per nascita. Mentre il mito di Protagora riconosceva il valore della cultura rispetto alla natura, identificata con il titano del senno del poi, questa contrapposizione permette di rigettare l'ordine esistente come artificioso e contro natura. Per esempio nel Gorgia, in mano all'aristocratico Callicle, la distinzione fra nomos e physis serve per giustificare, antidemocraticamente, il potere come la prevaricazione assoluta propria della legge del più forte.

I presenti - dice Ippia - sono della stessa stirpe, familiari e concittadini per natura (physei) e non per convenzione (nomo). Non sono dunque costretti dal nomos, tiranno degli esseri umani, che fa loro violenza contro natura (337c-d). La comunità dei sapienti, che è per nascita, è così contrapposta - aristocraticamente - alla comunità politica, vincolata dalla convenzione. Non è dignitoso che Socrate e Protagora litighino come gente di basso rango (337e): i due interlocutori devono venirsi reciprocamente incontro, eventualmente prendendosi un arbitro, un presidente (epistates) o un pritano (338a) che controlli la misura corretta (metrion) dei discorsi di entrambi (338b).

Nella costituzione di Atene, i pritani erano i membri, sorteggiati, della Boulé, il consiglio dei cinquecento che fungeva da praesidium dell'assemblea generale dei cittadini. Misurato col metro di Ippia, il loro potere derivava dal nomos e non dalla natura. In questa prospettiva, il suggerimento di scegliere un presidente che regoli il dibattito dipinge una soluzione assai convenzionale in contraddizione con le stesse premesse del sofista. Per andare d'accordo non basta essere della stessa natura: occorrono, come insegnava il mito di Protagora, dei nomoi e delle istituzioni che li facciano rispettare. Ma questo comporta che la critica alla convenzione in nome della natura non conduca al suo superamento, bensì semplicemente - e contraddittoriamente - a convenzioni diverse.

Una questione di potere (338b-338e)

La proposta di Ippia è approvata da tutti i presenti, con l'eccezione di Socrate, il quale sostiene che eleggere un arbitro nella discussione sarebbe qualcosa di vergognoso. Socrate giustifica il suo dissenso con un argomento che, ancora una volta, tratta il metodo dell'indagine e della qualità della comunità di conoscenza che la compie come una parte integrante ed essenziale della stessa ricerca filosofica:

  1. se l'arbitro fosse inferiore agli interlocutori, non sarebbe corretto farlo presiedere;

  2. se fosse uguale, farebbe le stesse cose che fanno loro (338b) e risulterebbe superfluo;

  3. se si volesse scegliere un arbitro superiore, la cosa sarebbe impossibile perché nessuno è più sapiente di Protagora;

  4. se, infine, il pubblico eleggesse un arbitro inferiore, questa stessa imposizione lo disonorerebbe (338c).

Il presidente di cui si parla si limiterebbe a controllare i tempi degli interventi degli interlocutori. Perché Socrate, a differenza di tutti gli altri, lo considera così inaccettabile?

Per Socrate un discorso non è scientifico per i suoi contenuti, ma per il suo metodo: per questo, egli arriva ad abbandonare la conversazione se gli viene imposto un metodo che non condivide. Chi decide sul come dire le cose, decide anche sul che cosa dire. Un arbitro terzo, qualsiasi sia la sua qualità e comunque venga selezionato, assumerebbe una posizione di potere esterna che produrrebbe una interferenza sostanziale nella libertà della ricerca. Sono gli scienziati che devono decidere, fra pari, come si debba discutere, se la scienza non vuole ridursi a esercizio di potere.

Socrate, in alternativa, offre a Protagora una provvisoria inversione delle parti, dandogli il compito di fare domande e impegnandosi a rispondere brachilogicamente: questa soluzione, a differenza di quella presidenziale, si fonda sulla parità degli interlocutori e sulla condivisione delle regole. Il sofista, sia pure a malincuore, l'accetta (338d-e).



[ 34 ] Il racconto di Socrate continua a fornire particolari che insistono sulla rappresentazione del sofista nelle vesti di un poeta che dà spettacolo, piuttosto che in quelle di un uomo di scienza alla ricerca della verità.

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