![]() |
Il Menone di Platone |
![]() btfp |
I verbi archein (governare, comandare), dioikein (amministrare), egeisthai (guidare. condurre, dominare) ricorrono nel testo, in associazione più o meno esplicita con il problema della virtù.
Menone, nel suo secondo tentativo, definisce la virtù come archein verso l'esterno, su altri esseri umani; Socrate gli chiede se questa definizione debba valere anche per lo schiavo; Menone, che condivide la mentalità gerarchica tradizionale, la lascia cadere.
Quando Menone rifiuta di sottoporsi alla disciplina della dialettica, pretendendo di stabilire una qualità di una cosa senza sapere prima che cos'è, Socrate gli dice che, allo scopo di essere libero, non si cura di archein su se stesso. (86d).
Quando Socrate, nel corso del ragionamento ipotetico, vuole mostrare che la virtù può essere tale solo se accompagnata dalla scienza, la quale mette in grado di usare in modo appropriato cose soltanto potenzialmente buone, egli afferma che l'anima dotata di autocontrollo (emphron) guida (egeitai) in modo corretto, mentre l'anima che non ne è dotata (aphron) in modo errato. (88e)
Il governare verso l'esterno, di per sè, non costituisce un titolo di merito: perfino Menone, che identifica l'eccellenza col successo, è costretto ad ammetterlo - sia pure per non dover concedere che il suo schiavo, se si ribellasse e andasse al potere, sarebbe eccellente quanto lo è stato lui. La domanda di Socrate, d'altra parte, non era affatto indirizzata al potere come tale, bensì alle modalità del suo esercizio:
Ma sapere amministrare uno stato, una casa, in una parola la capacità di amministrare, non consiste nel farlo con autocontrollo e giustizia (sophronos te kai dikaios)? (73a)
I termini usati da Socrate in 88e (emphron, aphron) e in 73a (sophronos) contengono tutti la radice della parola sophrosyne - la capacità di autolimitazione e di autocontrollo che era, incidentalmente, una virtù tipica della democrazia.
Per poter parlare di controllo di sè occorre pensare il singolo non come un atomo o un individuo, indivisibile, bensì come una creatura complessa, capace di riflettere su se stessa. A questo provvede il mito dell'anamnesis: se la capacità di ragionare è pensata come qualcosa di sovrapersonale, distinto dalla individualità storica di ciascuno, ma presente in tutti coloro che sono in grado di discutere e di imparare, allora è anche possibile concepire un dominio di sé inteso come autonomia razionale.
Questo percorso, nascosto nel testo, sarebbe potuto essere un itinerario di definizione della virtù, come autodisciplina razionale. L'aristocratico Menone non segue questa strada perché concepisce il potere come qualcosa che si esercita all'esterno, sugli altri; Anito, in quanto democratico, dovrebbe apprezzare la sophrosyne, ma non è in grado di perseguire la via socratica perché, simmetricamente, intende il controllo come qualcosa di esteriore, che viene esercitato dalla collettività sul singolo. In entrambi i casi sapere e potere rimangono separati, perché non si riesce a cogliere la complessità del rapporto del soggetto con la ragione di cui partecipa.
Il Menone di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/menone