Tetradrakmaton

Il Menone di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

C. Schede bibliografiche

José Trindade Santos, «La struttura dialogica del Menone: una lettura retroattiva» 24

La lettura evolutiva dei testi platonici, il cui scopo principale è collocare ciascuna opera all'interno di un itinerario storico di pensiero o di comunicazione, impoverisce la comprensione dei singoli testi, perché induce a trascurare sia l'unità e l'autonomia dell'investigazione dialettica, sia la specificità del dialogo come medium di creazione filosofica e culturale. Una simile strategia interpretativa, per quanto sia attualmente prevalente, si espone all'accusa di essere:

  • arbitraria, perché assume ogni dialogo come il momento in cui l'autore scopre le concezioni che esso presenta, presupponendo che la composizione scritta fosse, come oggi, il modo naturale di creazione culturale nell'Atene del IV secolo
  • circolare: ciascun singolo dialogo dovrebbe illustrare un momento dell'evoluzione del pensiero platonico; ma il fatto che il pensiero platonico abbia un'evoluzione rispecchiata fedelmente dai dialoghi è, a sua volta, frutto di una assunzione non provata

Del Menone si è soliti affermare che rappresenta il superamento dell'elenchos a favore del metodo ipotetico. Il fatto che questo passaggio appaia un superamento deriva, tuttavia, solo dalle assunzioni, esterne, della lettura evoluzionistica. Se, di contro, consideriamo il dialogo nella sua struttura conclusa in se stessa, sarà possibile renderne chiara l'unità dell'investigazione dialettica.

Il Menone si può dividere in tre parti, apparentemente indipendenti:

  1. Problema dell'insegnabilità della virtù e tentativi di una sua definizione (70a-79c)
  2. Paradosso eristico; anamnesis; dialogo con lo schiavo
  3. Illustrazione del metodo ipotetico, constatazione che non esistono maestri di virtù, conversazione con Anito e autocritica di Socrate (la virtù dipende dall'opinione vera)

La prima parte non si distingue da un dialogo elenchico, sia per le dimensioni sia per la conclusione aporetica. Diversi sono solo l'inizio ex abrupto e il sostegno all'elenchos con rilevanti esempi ed esigenze dialettiche.

La seconda parte, col paradosso di Menone, il mito dell'anamnesis e l'esercizio di apprendimento non può paragonarsi a nient'altro che Platone abbia scritto; introduce l'opinione vera, topos estraneo al metodo elenchico, e funge da punto di svolta fra elenchos e ipotesi.

La terza parte riprende il tema iniziale introducendo il metodo ipotetico e applicandolo alla questione della virtù; ma si prosegue smentendo i risultati positivi con l'osservazione dei fatti; dopo un dibattito con Anito e l'esame delle opinioni di Teognide e di Gorgia, la conclusione negativa sull'insegnabilità della virtù sembra rafforzarsi; si conclude con l'autocritica di Socrate che salva le apparenze della virtù pratica, lasciando aperto il problema di quella teoretica.

L'investigazione su qualsiasi cosa comincia coll'indagine sulla sua natura; questa indagine si fa attraverso la valutazione di una risposta alla domanda "che cos'è?" questa cosa. Per questo una domanda sulla virtù equivale a un'altra sulle condizioni di possibilità della conoscenza della virtù stessa. Socrate richiede inoltre l'unità e l'unicità dell'oggetto della ricerca.

Menone protesta contro queste esigenze, che non sono giustificate. Come investigare su quello che assolutamente si ignora? Nelle condizioni offerte dall'elenchos, non è possibile né la ricerca, né l'apprendimento. O so una cosa, e dunque non mi serve discutere, o non la so, e dunque non ho bisogno di discutere.

Socrate dà una risposta a gradini:

  1. teoria dell'anamnesis: l'apprendimento è reminiscenza
  2. metodologia ipotetica e opinione vera (colloquio con lo schiavo)
  3. metodo ipotetico applicato alla virtù
  4. ma non ci sono maestri di virtù: essa deve avere un'origine divina

Socrate non è ironico, perché questa tesi viene ripetuta in Resp. VI 492 e ss. Ma è chiaro che non è una soluzione soddisfacente. Per capire il senso del dialogo occorre tentare una lettura retroattiva: come la scoperta della sufficienza pratica dell'opinione vera influisce sulla riformulazione del sapere come reminiscenza? Viceversa, come ambedue influiscono sulla nostra comprensione della virtù?

L'elenchos si deve adattare alla reminiscenza: l'aporia ha un senso positivo, perché solo il riconoscere la propria ignoranza apre la strada all'anamnesis. Il metodo ipotetico è un passo avanti, perché dall'ignoranza si passa alla ricerca del sapere.

Lo schiavo, a differenza di Menone, si trova più avanti perché non solo riesce ad articolare l'opinione vera in una risposta corretta, ma perché riconosce, preliminarmente, la propria ignoranza. La reminiscenza è l'interrogatorio con il quale le opinioni vere emergono; successivamente, si comprende di aver attinto una risposta. Questo secondo passo è la sistematizzazione delle opinioni vere, in complessi sempre più ampi. L'esame dei fatti politici conclusivo non ha rilevanza per l'anamnesis. La virtù non può essere altro che sapere. La areté per theia moira è solo una concessione, che testimonia il divorzio fra i filosofi e élite intellettuale politica ateniese: il sapere non l'insegna nessuno nella città, se non i filosofi, che Anito e Menone non conoscono. O, ancor meglio: la virtù è sapere, ma non si può insegnare, bensì solo imparare.



[ 24 ] In G. Casertano (a cura di di), La struttura del dialogo platonico, Napoli, Loffredo, 2000, pp. 35-50

Creative Commons License

Il Menone di Platone by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/menone