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Diritto d'autore e comunicazione del sapere |
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Copyright © 2007-2008 Maria Chiara Pievatolo
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05-07-2016
Nel dialogo Fedro, Platone ha riflettuto - all'inizio della filosofia occidentale - sugli strumenti della comunicazione del sapere. La sua riflessione è particolarmente interessante, perché si colloca prima della grande divisione fra umanisti e scienziati ed è quasi contemporanea alla prima rivoluzione nelle tecnologie della parola, il passaggio dall'oralità alla scrittura. Dopo l'invenzione di Gutenberg, l'età della tipografia e della produzione libraria industrializzata e centralizzata ha fatto dimenticare, con i suoi manoscritti “licenziati” per le stampe, che il problema della comunicazione del sapere riguarda in primo luogo gli autori.
Nelle culture a oralità primaria il sapere poteva esistere solo se era effettivamente condiviso, e cioè continuamente ripetuto e attualmente ricordato da una comunità di vita e di conoscenza contigua nello spazio e costante nel tempo.
La scrittura - come racconta Platone nel mito di Theuth - rende possibile separare l'informazione dalle persone, e conservarla indipendentemente da loro. Il sapere può essere visto come un oggetto: qualcosa, dunque, che può essere trasferito, venduto e comprato.
La scrittura, per Platone, può dunque avere sia effetti benefici, sia effetti dannosi:
essa rende più facile la conservazione e la trasmissione dell'informazione;
la disponibilità di informazione non aumenta, di per sé, né la memoria né la "sapienza" degli utenti, cioè le loro capacità personali di richiamare alla mente la nozione appropriata nel momento in cui occorre e di valutare e connettere in modo critico i dati conservati e trasmessi meccanicamente;
dal momento che l'informazione offerta dalla scrittura dipende da un oggetto esteriore e non da condizioni personali e interpersonali, la synousia, lo stare insieme che fondava il sapere collettivo delle culture orali e delle scuole filosofiche antiche, diventa difficile, perché tende a perdere il suo senso collaborativo e a diventare competizione
Per Platone, il sapere è tale solo nella misura in cui le persone fanno qualcosa di più che imparare informazioni a memoria, ma si mettono in grado di capirla, cioè discuterla, interpretarla, selezionarla e valutarla. I testi scritti possono offrire un aiuto mnemonico, ma non possono sostituirsi alla capacità di ragionamento delle persone. Per rendere il sapere duraturo, occorre trovare un modo per scrivere nell'anima - cioè di tener sveglia la ragione degli esseri umani.
In che modo trar profitto della forza della scrittura - la sua capacità di conservare e trasmettere informazione al di là delle barriere dello spazio e del tempo - senza cadere nell'inganno della reificazione del sapere?
La critica platonica alla scrittura ci è pervenuta tramite un testo scritto, liberamente copiato nei secoli. Platone ha evidentemente scelto di scrivere, ma nel quadro di una strategia comunicativa in cui la scrittura occupa una posizione subordinata.
Se Platone avesse adottato il testo come strumento esclusivo o principale per la conservazione e comunicazione del sapere, in quanto distinto dalla mera informazione, avrebbe dovuto tener conto che esso «circola per le mani di tutti e non sa difendersi» (Fedro, 275d-e). Per diffondere un testo nel tempo e nello spazio occorre riprodurlo: ma, se lo scrittore lo abbandona a se stesso, è facile mutilarlo o alterarlo, per ignoranza o per malizia. L'unico modo per conservare la sua integrità è il controllo della copia – ancor prima che la stampa e la pressione congiunta degli interessi dello stato alla censura e degli stampatori al monopolio conduca all'invenzione del copyright. La copia, tuttavia, non è soltanto il vettore della contraffazione, ma anche un medium essenziale per la diffusione spaziale e temporale dello scritto. Il controllo della copia avrà pertanto come conseguenza una limitazione della disseminazione del testo; sarà dunque più facile che le copie disponibili, essendo in minor numero, vadano perdute o per l'usura del tempo o per qualche catastrofe. Inoltre, una scarsa circolazione dei testi renderà esigua la comunità culturale che li conosce, così che, anche se un libro riuscisse fisicamente a sopravvivere, sarebbe comunque soggetto al rischio di diventare incomprensibile, perché nessuno più è in grado di interpretarlo.
Platone ha scelto di prendere sul serio il compito di scrivere nell'anima: si è dedicato alla creazione di una comunità culturale e ha trattato il testo scritto come un semplice ausilio mnemonico, che può produrre sapere solo se una persona capace di seguirne le tracce lo leggerà attentamente. Chi ragiona così non ha motivo di controllare la copia dei suoi scritti, che circolano liberamente, sia pure con il rischio di ricevere versioni alterate o apocrife. La continuità della tradizione culturale, dovuta alla continuità di una comunità di persone che perdura sia grazie all'istruzione diretta, sia grazie all'interpretazione di testi facilmente accessibili, assicura il perpetuarsi del sapere. Le persone sono meno durevoli della maggior parte dei supporti materiali destinati alla conservazione dell'informazione: ma sono le comunità di conoscenza, composte da persone, a far sì che l'informazione rimanga sapere. In una prospettiva più pedestre, sono le persone che copiano e transcodificano i testi, producendo una ridondanza che li mette al sicuro dell'usura del tempo e dalle catastrofi della storia.
Platone ha dunque fondato l'Accademia come germe di una comunità di conoscenza e ha lasciato liberi i suoi scritti nelle sabbie mobili del samizdat antico. Il fatto che dopo due millenni e mezzo discutiamo ancora del suo pensiero mostra che la storia gli ha dato ragione. Il successo di GNU-Linux, fondato similmente sulla comunità degli utenti e degli sviluppatori e sulla libertà del codice, non è, in questa prospettiva, una bizzarria dell'informatica. Tutte le esperienza culturali significative dell'umanità - quelle che riescono a scavalcare i secoli e le generazioni – hanno avuto modalità di disseminazione simili. Voler ridurre il sapere a proprietà privata, entro una prospettiva strettamente economicistica per la quale “a lungo termine saremo tutti morti” significa eliminare in radice la possibilità di dar origine e di prender parte ad esperienze culturali significative. Per questo motivo il regime delle proprie opere è una questione che riguarda gli autori – o, perlomeno, gli autori che ambiscono a rimanere vivi a lungo termine, quando gli altri sono tutti morti.
Diritto d'autore e comunicazione del sapere
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Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/fpa