Tetradrakmaton

Diritto d'autore e comunicazione del sapere

Bollettino telematico di filosofia politica
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La crisi del diritto d'autore

Nel corso del XIX e del XX secolo, la legislazione sul diritto d'autore si diffuse in tutti gli stati europei, 18 seguendo tre linee di sviluppo tipiche:

Allo scopo di superare il carattere statale del diritto d'autore nel 1886 fu conclusa la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche nel quale ogni stato si impegnava a tutelare il copyright riconosciuto da ciascun altro stato contraente. La Convenzione, che è stata soggetta a numerose revisioni, fissa la scandenza del diritto dell'autore a cinquant'anni dopo la sua morte. In Europa e negli USA, ai sensi dell'articolo 7.7 del trattato, tale termine è stato prolungato fino a settant'anni. Il diritto d'autore, che era nato per remunerare gli autori, tutelare i loro diritti morali e impedire la ristampa non autorizzata dei libri, si estende oggi a ogni atto creativo prodotto su un medium tangibile e anche su traduzioni ed opere derivate. Il suo prolungamento a un tempo molto posteriore alla morte dell'autore, e dunque molto al di là della prospettiva che un individuo possa rappresentarsi, indica chiaramente che esso oggi tutela non tanto gli interessi delle singole persone fisiche, bensì quelli, impersonali, delle grandi aziende che traggono lucro dal godimento del suo monopolio.

Il diritto d'autore moderno è stato costruito per emancipare l'autore dal mecenatismo, dandagli la facoltà di contrattare la stampa con un editore di sua elezione, per garantire l'editore impegnato in una attività tecnicamente complessa, costosa e rischiosa com'era la stampa, e per offrire, al di sotto dei monopoli temporanei, un dominio pubblico che esprimesse il carattere libero e comunitario della cultura.

Rispetto all'età moderna, oggi le condizioni sono molto cambiate. Grazie a internet, la pubblicazione di un testo non richiede più una costosa organizzazione industriale: gli autori, dunque, non hanno più bisogno di una mediazione industriale e imprenditoriale, a meno che non vi ritrovino un qualche effettivo valore aggiunto.

La facilità e l'economicità della copia ha reso evidente quanto, pur essendo già ovvio nella tradizione del diritto romano, veniva tenuto nascosto dal costo dei supporti fisici: che le idee sono indefinitamente condivisibili e che la cultura e la scienza devono essere publici iuris perché non sono nulla se non vengono rese pubbliche.

Lo scontro con l'attuale disciplina legislativa sul copyright è dunque diventato inevitabile, perché la struttura stessa 20 di internet rende di fatto indistinguibile la discussione dalla pubblicazione: il risultato è che la discussione risulta soggetta ai vincoli in cui, nell'età della stampa, incorrevano solo autori ed editori professionali. La questione della proprietà intellettuale non è più un problema tecnico, riservato a una minoranza di addetti ai lavori, perché coinvolge non solo la libertà della cultura e della scienza, ma anche la libertà di espressione in generale.

Lawrence Lessig: il copyright e la libertà della cultura

Secondo il giurista americano Lawrence Lessig per poter comprendere il senso della libertà di espressione e dei dispositivi che la rendono possibile, occorre rivalutare la nozione di commons. Per commons si intende un bene detenuto in comune, per il godimento da parte di una quantità di persone: è dunque liberamente accessibile (free) per queste persone, nel senso che ciascuna ne ha titolo senza dover chiedere il permesso ad altri. In un celebre articolo del 1968 Garrett Hardin sostenne che i bene comuni sono necessariamente "tragici", perché ciascuno avrà interesse a sfruttarli e nessuno si occuperà della loro conservazione. Si è successivamente mostrato che questo non è vero quando l'uso di un bene da parte di qualcuno non ne ostacola lo stesso uso da parte degli altri: quanto appartiene al mondo delle idee, per esempio, può essere impiegato indefinitamente da tutti senza che nessuno sia privato di nulla. 21 Esistono inoltre beni che, se sono resi pubblici, aumentano il loro valore: una strada pubblica vale più di una privata per chi vuole aprirci un negozio o affiggerci un manifesto, proprio come una teoria scientifica, se viene esposta a un gran numero di ingegni, ha maggior probabilità sia di essere migliorata, sia di avere applicazioni pratiche. Internet stessa, per quanto concerne il suo strato logico, cioè i protocolli e i programmi che la fanno funzionare, può essere pensata come un commons.

Lessig ritiene che l'attuale legislazione statunitense sul copyright tradisca lo spirito originario della costituzione americana: la ratio costituzionale del copyright è incentivare economicamente gli autori alla produttività. Ma è ridicolo pensare che qualcuno scriva un libro, oggi, solo perché e se ha la garanzia che qualche sconosciuto del XXII secolo ne potrà trarre guadagno. Il vero, ancorché incostituzionale, motivo dell'estensione è l'interesse al controllo e allo sfruttamento industriale dell'informazione.

Il controllo dell'informazione per il suo sfruttamento industriale è un incentivo alla creatività? Se consideriamo che ogni nuova idea si fonda sul confronto con le idee altrui e che per questo nessuna idea è veramente e completamente nuova, possiamo sospettare che il controllo proprietario, in quanto limita l'accesso, la distribuzione e l'uso di informazione, impoverisca il mondo delle idee, pur arricchendo una piccola minoranza. Le idee non si consumano ad essere pensate e divulgate; si esauriscono, piuttosto, se vengono tenute nascoste e censurate - per motivi politici o anche economici.

L'attuale legislazione sul copyright è costruita sul presupposto che la diffusione della cultura sia ancora un'impresa rischiosa e costosa, come era nell'età della stampa, e che meriti di venir tutelata con monopoli sempre più ampi. In rete, però, la diffusione della cultura avviene a costi molto bassi e in maniera tale che la fruizione e la produzione dei testi tendono a diventare indistinguibili. Questo scollamento fra la legislazione e la pratica culturale ha prodotto una situazione di grave incertezza del diritto.

Secondo Lessig, occorre che i confini entro i quali l'uso pubblico della ragione possa esercitarsi liberamente sia resi chiari. A questo scopo Lessig ha inventato, sul modello della GPL, usata per il software libero, le licenze Creative Commons. La loro formulazione permette agli autori di definire con esattezza quanto vogliono lasciare libero e quanto desiderano tenere riservato. In questo modo, gli autori che lo scelgono possono render disponibili le loro opere con vincoli meno aspri ed estesi di un copyright altrimenti imposto d'ufficio. Il fatto che queste licenze, introdotte nel 2001, siano divenute in moltissimi anni di così largo uso è una ulteriore testimonianza della crisi del copyright: i moltissimi che le adottano, infatti, sembrano convinti di poter trar maggior profitto dalle loro opere se, invece di assoggettarle ai vecchi monopoli editoriali, le lasciano circolare più liberamente.

Bibliografia

Richard Stallman. Il diritto di leggere.

Philippe Aigrain. Causa comune. Stampa alternativa. Roma . 2006-2007.

Lawrence Lessig. The future of ideas. The fate of the commons in a connected world. Random House. New York. 2001.

Lawrence Lessig. Free Culture. How Big Media Uses Technology and the Law to Lock Down Culture and Control Creativity. The Penguin Press. New York. 2004. traduzione italiana di Bernardo Parrella per l'editrice Apogeo..

M Boldrin e David K. Levine. Against Intellectual Monopoly. Cambridge U.P.. Cambridge. 2008.



[ 18 ] Una cronologia di questo sviluppo può essere letta qui; Una sintesi dello sviluppo del diritto d'autore in Francia si può leggere qui, sul sito del senato francese.

[ 19 ] A questo proposito, vale la pena ricordare la lunga controversia giudiziaria che oppose Alessandro Manzoni all'editore Felice Le Monnier.

[ 20 ] Si veda Doc Searls e David Weinberger. «Regno dei fini. Che cos'è internet e come smettere di scambiarla per qualcos'altro», Bollettino telematico di filosofia politica, 2003.

[ 21 ] Anche quando l'uso di un bene è competitivo l'opzione di privatizzarlo non è inevitabile, se si è in grado accordarsi su regole condivise per il suo impiego.

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