Tetradrakmaton

Diritto d'autore e comunicazione del sapere

Bollettino telematico di filosofia politica
btfp

L'età della stampa e l'industrializzazione dell'ìnformazione

La soluzione pensata da Platone - la libertà dei testi e la promozione di comunità di conoscenza - ben si adatta a una situazione in cui la produzione dei libri, manoscritta, non può essere più che artigianale. Come scriveva lo storico dell'antichità Moses Finley, «v'è una ragione importante per cui è corretto dire che tutti gli scritti dell'antichità erano una sorta di samizdat: 1 non perché fossero sempre, o anche abitualmente, illeciti, ma perché la loro circolazione era limitata a copie preparate manualmente e passate manualmente da persona a persona.» 2 Il nesso platonico fra la vita dei testi e la vitalità delle comunità di conoscenza che insistevano su di essi era importante ed evidente. 3

La situazione cambia dopo l'invenzione di una tecnica industriale centralizzata - la stampa - in cui, ad un investimento di capitale relativamente alto, corrisponde però la possibilità di produrre un gran numero di copie a prezzi relativamente bassi. La capacità del testo scritto di viaggiare nello spazio e nel tempo può essere, così, pienamente sfruttata. L'informazione, separata dalle persone, può ora facilmente diventare oggetto di controllo politico ed economico.

Dal privilegio librario al copyright

Secondo una vulgata assai persistente esiste una correlazione meccanioa tra il monopolio del diritto di riprodurre i testi detto diritto d'autore o copyright, 4 l'invenzione della stampa e la nascita dal capitalismo. Questa vulgata presuppone che il concetto di proprietà intellettuale, su cui si fonda il monopolio del diritto d'autore sia sempre stato indiscutibile e che fosse semplicemente in attesa della tecnologia appropriata per poter diventare economicamente sfruttabile.

In realtà, il concetto di proprietà venne in contatto col mondo delle idee solo a partire dal XVIII secolo. I poeti antichi legittimavano se stessi non come creatori, ma come ripetitori di quello che le Muse cantavano. 5 Confucio diceva «Io trasmetto ma non invento nulla; rispetto gli antichi e ho fede in loro» 6 . In Europa, nel medioevo, si diceva: Scientia donum dei est, unde vendi non potest. 7 Prima del XVIII secolo, in altre parole, era ovvio che il sapere fosse quello che gli economisti chiamano un bene pubblico, non escludibile e non rivale. 8

Sul piano giuridico, il diritto romano - che fu il diritto comune dell'Europa continentale fino all'epoca delle codificazioni - considerava oggetto di proprietà solo le cose materiali - le res quae tangi possunt 9 , che possono essere toccate. Che senso avrebbe avuto porre barriere proprietarie a entità che ciascuno può usare senza che nessuno sia privato di nulla?

La prima modernità: il regime del privilegio

Nella prima modernità la stampa era soggetta ad autorizzazioni esclusive conferite dal potere politico, dette privilegi. Il privilegio aveva ad oggetto non tanto una proprietà intellettuale, allora inconcepibile, quanto le azioni della stampa e del commercio librario. Il suo scopo era la regolamentazione e il controllo di queste azioni. 10 Il privilegio librario, in altri termini, è una forma di controllo politico sulla produzione e la diffusione di testi a stampa talmente contiguo alla censura da esserne indistinguibile. 11

In Inghilterra la corona era titolare del diritto di stampare nella sua interezza: nessuno era autorizzato alla stampa, se non tramite un privilegio speciale da essa concesso. La stampa era regolata dalla Star Chamber in virtù della prerogativa regia. 12

Nel 1557, la corona inglese concesse il monopolio della stampa alla Stationers' Company: il diritto di stampare un libro era perpetuo e poteva essere detenuto e trasferito solo dai membri della corporazione. A questo regime facevano eccezione solo coloro che ottenevano dal re una licenza di stampa diretta - come, ad esempio, l'università di Oxford, il cui privilegio fu confermato da un decreto della Star Chamber del 1586.

Il regime del privilegio resistette anche all'indebolimento del potere monarchico determinato dalla prima e dalla seconda rivoluzione inglese: quando nel 1641 fu abolita la Star Chamber, che assicurava sia le licenze di stampa sia il monopolio della Stationers' Company, i membri della corporazione presentarono il pamphlet The Humble Remonstrance of the Company of Stationers to the High Court of Parliament (1643), che stigmatizzava le Province Unite dei Paesi Bassi per la mancanza di regolamentazione che impoveriva gli stampatori e impediva loro di operare al servizio dello stato. Il Licensing Order, emanato dal Parlamento nel 1643, reintrodusse un regime di monopolio e di censura analogo a quello precedente. 13 Dopo la restaurazione del potere monarchico, il Licensing Act (1662) ribadì questa disciplina, che durò fino al 1695 - anno in cui il Licensing Act non fu più rinnovato.

Il regime protomoderno del privilegio si fondava dunque su una concessione del potere politico, di natura solitamente perpetua, finalizzata al controllo della stampa tramite un meccanismo di censura preventiva a cui trovava vantaggioso cooperare la stessa corporazione alla quale era stato conferito il monopolio sull'attività della stampa. Il privilegio, dipendendo dall'autorità di stati territorialmente limitati, aveva però forza solo entro i confini del regno il cui monarca lo concedeva.

In questo gioco, l'autore, la cui sopravvivenza dipendeva tipicamente dal patronato di qualche generoso mecenate, compariva solo come primo proprietario del manoscritto, su cui perdeva ogni diritto morale e materiale nel momento in cui lo cedeva a un membro della Stationers' Company allo scopo di farlo accedere alle stampe.

La critica di Locke al Licensing Act

Dopo il 1695, il Licensing Act non fu più rinnovato, anche a causa delle numerose critiche che gli erano state rivolte.

Fra i critici del Licensing Act figura anche John Locke, 14 che si occupò dell'atto in veste di consigliere dell’amico Edward Clarke, membro della commissione che si occupava della sua modifica. I suoi argomenti sono i seguenti:

  • Il privilegio comporta un regime di censura preventiva che dipende, di fatto, dall'arbitrio del potere politico

  • La censura preventiva rende la libertà di parola ineffettiva: «Non so per quale motivo un uomo non dovrebbe avere la libertà di stampare tutto ciò di cui parla, ed essere responsabile dell’uno così come lo è dell’altro, se, in ciascuno dei due casi, viola la legge. Mettere il bavaglio a un uomo per paura che egli dica eresie o cose sediziose non può avere altro senso se non quello che farebbe legare le mani ad un uomo per paura che userebbe violenza se fossero libere, motivo che in fin dei conti dovrebbe far imprigionare chiunque si sospetti colpevole di tradimento o di una qualche trasgressione.»

  • Il carattere perpetuo del privilegio fa sì che i membri della Stationers' Company producano, traendo profitto del loro monopolio, edizioni tanto costose quanto di cattiva qualità.

  • L'intera disciplina legislativa sulla stampa è fortemente sbilanciata a favore della Stationers' Company, ai cui interessi sacrifica sistematicamente la libertà d'impresa e di commercio, nonché la libertà della cultura.

  • Il fatto che il Licensing Act autorizzi a ispezionare la casa di chiunque per il solo sospetto che vi siano detenuti libri privi di licenza permette alla corona di fare perquisizioni a suo arbitrio, senza nessuna garanzia per il cittadino. 15

La prima legge europea sul copyright: lo Statute of Anne

Nel 1710 il parlamento britannico approvò la prima legge europea sul copyright, lo Statute of Anne. Per la prima volta, l'autore, in luogo dello stampatore, è riconosciuto come titolare originario del monopolio sulla riproduzione del proprio lavoro. Questo monopolio, però, non è più perpetuo, bensì temporaneo: il termine è di 21 anni per le opere già pubblicate al momento dell'entrata in vigore dello statuto e, per tutte le opere uscite dopo, di 14 - raddoppiabili solo con un atto esplicito di volontà dell'autore. Il termine di 14 anni era stato ripreso da quello dei brevetti sulle invenzioni stabilito dallo Statute of Monopolies del 1623: in entrambi i casi, il monopolio era inteso non come una proprietà di diritto naturale, ma come una costruzione politica.

Scaduti i termini dello Statute of Anne, i librai scozzesi cominciarono a ristampare i testi editi dai librai inglesi e a rivenderli a prezzi inferiori. I librai inglesi reagirono trascinandoli in tribunale: secondo loro, al di sotto della legge statutaria, il copyright doveva essere inteso come una forma di proprietà di common law, e dunque non temporanea, bensì perpetua. I tribunali scozzesi, che applicavano il diritto romano, rigettavano questa pretesa: la proprietà è un diritto su una cosa (ius in re) - una cosa che, nel caso del copyright, non si può riconoscere come tale, perché immateriale. I tribunali inglesi, di contro, davano ragione ai librai inglesi.

Nel 1769, nel caso Millar v. Taylor, il King's Bench presieduto da Lord Mansfield stabilì che il copyright dovesse essere considerato come una proprietà di common law. Sulla base della teoria lockeana della proprietà, si sostenne che l'autore aveva diritto a quanto aveva fatto col proprio lavoro, indipendentemente dalla circostanza che il prodotto fosse immateriale. Contro questa tesi, nella corte, si levò la sola dissenting opinion del giudice Yates, per il quale la teoria lockeana della proprietà si poteva applicare solo al manoscritto, in quanto oggetto materiale, ma non alle idee in esso contenute. L'atto della pubblicazione pone dunque l'opera - considerata sotto il profilo delle idee - in uno stato di comunione universale. Secondo Mansfield, però, oggetto di proprietà non erano le idee, ma la composizione letteraria, indubbiamente connessa col lavoro di una persona particolare.

Dal momento che i tribunali inglesi e quelli scozzesi deliberavano in modo diverso, in Inghilterra il copyright veniva trattato come perpetuo mentre in Scozia era considerato temporaneo, secondo i termini dello Statute of Anne. Soltanto con il caso Donaldson v. Beckett si arrivò a una pronuncia valida per tutti da parte del tribunale di ultima istanza del Regno Unito, la camera dei Lord, che diede ragione agli scozzesi, sancendo la nascita del pubblico dominio: dal momento che, per la natura dell'oggetto, non si poteva pensare la proprietà letteraria come una proprietà di common law, valevano esclusivamente i termini stabiliti dallo Statute of Anne. Con le parole di Lord Camden: «la scienza e l'istruzione sono per loro natura publici iuris e dovrebbero essere tanto libere e universali quanto l'aria e l'acqua»; «La conoscenza non ha valore o utilità per il possessore solitario: per essere goduta deve essere comunicata».

Alla formazione del verdetto della camera di Lord concorse anche una circostanza politica, a cui il pari del regno, in virtù del loro ceto, erano molto sensibili: il precedente regime del privilegio non dipendeva affatto dalla common law, ma dalle prerogativa regia: trasformare il copyright in un diritto soggettivo di proprietà avrebbe di fatto trasferito ai sudditi qualcosa che spettava soltanto al re. Fu così che il copyright venne inteso come una istituzione di diritto meramente positivo connessa al lavoro dell'autore in misura soltanto temporanea. Questa istituzione può essere creata soltanto dal potere politico, perché le idee sono, per la loro natura, immateriali e comuni: questo spiega anche il suo carattere temporaneo. La sola differenza rispetto al regime precedente è che il copyright è ora attribuito agli autori in quanto tali in virtù di una legge del parlamento, e non più agli stampatori in virtù di una concessione della corona fondata sulla prerogativa regia.

Il copyright nella costituzione americana

La costituzione americana, ratificata nel 1788, riprese la normativa britannica nell'interpretazione sancita dalla camera dei Lord, senza però avere più alle spalle né la corona, né la complessa storia politica e giuridica del Regno Unito. I poteri di legiferare in materia conferiti al congresso furono giustificati così: «To promote the progress of science and useful arts, by securing for limited times to authors and inventors the exclusive right to their respective writings and discoveries» (1.8). Il periodo di validità della proprietà intellettuale era limitato, perché le idee appartengono, per loro natura, al pubblico: diritti esclusivi temporanei possono essere giustificati solo limitatamente al fine di incentivare gli autori alla produzione creativa.

La prima legge americana sul copyright (1790) lo attribuiva agli autori di «mappe, carte e libri», ma solo a condizione che facessero una registrazione presso un ufficio apposito. Il copyright - come nello Statute of Anne - durava originariamente quattordici anni, ed era rinnovabile ad altri quattordici solo se l'autore, ancora vivo, ne avesse fatto esplicita richiesta. Traduzioni e opere derivate erano libere e l'onere della registrazione - ripreso, anche questo, dallo Statute of Anne - faceva sì che molte opere fossero fuori copyright semplicemente perché l'autore aveva preferito non sottoporvisi.

Jefferson espresse molto chiaramente lo spirito della costituzione in una lettera a Isaac MacPherson del 13 agosto 1813: le idee sono di proprietà esclusiva di chi le ha pensate solo finché non le rivela in pubblico. Ma, una volta rese pubbliche, possono essere possedute da tutti, senza privare di nulla il loro primo autore. «Chi riceve un'idea da me, riceve egli stesso istruzione senza diminuire la mia; come chi accende il suo lume al mio riceve luce senza oscurare me.» Per questo, le idee devono diffondersi liberamente nel mondo, per istruire e migliorare gli uomini e le invenzioni non possono essere soggette a proprietà privata.

Bibliografia



[ 1 ] Per maggiori informazioni sul fenomeno del samizdat, si veda la pagina inglese di Wikipedia.

[ 2 ] M. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, Milano, Mondadori, 1992, p. 113.

[ 3 ] Non a caso nell'antichità la censura si esercitava preferibilmente sulle persone: per esempio Socrate nella sua autodifesa (Apologia 26d-e) osserva che i testi di Anassagora, le cui teorie sono a lui attribuite come capo di imputazione, circolano liberamente nel mercato di Atene.

[ 4 ] Per quanto il copyright e il diritto d'autore siano solitamente usati alla stregua di sinonimi, e risalgano entrambi all'Europa del XVIII secolo, i due termini non sono storicamente sinonimi. Il copyright, tipico dei paesi di common law, insiste sugli aspetti economici; il diritto d'autore, tipico dei paesi di civil law, si fonda invece sui diritti morali connessi alla persona dell'autore in quanto creatore di un'opera dell'ingegno.

[ 5 ] Si veda per esempio l'incipit della Teogonia di Esiodo.

[ 6 ] Analecta,7.1

[ 7 ] La scienza è un dono di Dio e perciò non può essere venduta.

[ 8 ] Un bene è non escludibile quando è difficile o impossibile impedirne la fruizione ad altri; è non rivale quando l'uso del bene da parte di alcuni non impedisce agli altri di trarne ugualmente profitto.

[ 9 ] G. Grosso, Corso di diritto romano. Le cose, Rivista di Diritto Romano, I, 2001, p. 5.

[ 10 ] Il potenziale rivoluzionario della stampa, con la sua capacità di diffondere testi a un pubblico ampio e a costi relativamente bassi, emerge già chiaramente dal suo contributo al successo della Riforma protestante. Su questo si veda l'annotazione alla traduzione del Monito agli stampatori scritto da Lutero nel 1541.

[ 11 ] Mark Rose, Authors and Owners. The Invention of Copyright, Cambridge (Mass.), Harvard U.P., 1993, pp. 10-30.

[ 12 ] A.V. Dicey, Introduction to the Study of the Law of the Constitution, London, MacMillan, 1939, p. 260.

[ 13 ] Contro questo provvedimento, il poeta John Milton scrisse la sua celebre Aeropagitica.

[ 14 ] John Locke, La libertà di stampa. Commento al Licensing Act del 1662, 1695 (traduzione di Brunella Casalini), Bollettino telematico di filosofia politica, 2005.

[ 15 ] Gli argomenti dei critici dell'attuale regime di proprietà intellettuale (si veda per esempio quanto sostiene L. Lessig) sono molto simili alle critiche di Locke al Licensing Act, che attaccano sia il monopolio, sia i mezzi arbitrari adottati per proteggerlo.

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