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L'Eutifrone di Platone |
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L'Eutifrone appartiene al gruppo dei dialoghi platonici aporetici. Socrate e il suo interlocutore ritornano al punto di partenza, come se si fossero persi nel labirinto costruito da Dedalo, senza aver in apparenza imparato nulla di nuovo. La confutazione della prima definizione di Eutifrone, però, insegna che le storie che si raccontano non hanno, di per sé, un valore esemplare: sono solo storie. Se il lettore vuole imparare qualcosa, non deve pensare con Eutifrone. Deve pensare da sé.
Meleto, che accusa Socrate di empietà, per far valere le sue ragioni corre dalla polis come si corre dalla mamma; anche Eutifrone mescola similmente doveri civili e religiosi. Dal dialogo si scopre che non è però in grado di motivare razionalmente le scelte per le quali ha richiesto la sanzione politica e penale del tribunale di Atene.
Socrate non può discutere con il suo accusatore. Ma in questo testo discute con un suo simile, il quale, in perfetta buona fede, sostituisce alle ragioni della ragione quelle del mito e della coercizione penale.
Questa sostituzione - che rende l'insegnamento propriamente impossibile - non è inevitabile. Quando si discute delle misure degli oggetti, ci si mette d'accordo facilmente, senza litigare e diventare nemici l'uno dell'altro. Questa circostanza dipende dalla natura dell'oggetto del contendere o dal fatto che i matematici - diversamente dalla democrazia ateniese - hanno elaborato metodi di discussione che permettono di evitare il ricorso alla violenza o alla manipolazione delle emozioni?
Socrate ha messo in mano a Eutifrone due strumenti di ricerca potenti: il concetto e la definizione per genus proximum et differentiam specificam. Eutifrone, però, non riesce a dare nessuna definizione che derivi da quello che pensa. La prima definizione viene dal mito; le definizioni successive fanno riferimento all'autorità degli dei così come si esprime nelle loro preferenze.
Perché quello che è caro agli dei dovrebbe obbligarci? Se ci rappresentiamo come soggetti deboli e bisognosi, le uniche nostre motivazioni possono essere la paura - il vincolo morale proprio delle etiche della vergogna - o l'interesse, che conduce a un rapporto di do ut des con la divinità. Ma questo significa dipendere dai capricci altrui, da opinioni che se ne vanno in giro come le statue di Dedalo. E significa anche venerare divinità altrettanto deboli, e debolmente motivate: più potenti degli uomini, propense ad apprezzarne il servizio, ma incapaci di fissare norme che vadano oltre quello che capita loro di preferire.
Per poter produrre norme morali stabili non bastano gli strumenti d'indagine razionale offerti da Socrate a Eutifrone: per essere in grado di usarli pienamente, dobbiamo assumere una prospettiva che superi la nostra paura e i nostri interessi. Dobbiamo, in una parola, inventarci una coscienza.
La similitudine delle statue di Dedalo viene usata da Socrate nel dialogo per indicare degli argomenti che non rimangono stabili, perché non resistono alla confutazione. Questa stessa similitudine viene impiegata nel Menone per indicare il sapere non scientifico, cioè non incatenato con un ragionamento fondato sulla causalità. Chi sa nel senso platonico del termine deve essere in grado di spiegare perché una cosa è così e non altrimenti. Se non riesce a farlo, le sue nozioni saranno come le statue di Dedalo slegate: dimenticabili e sfuggenti.
La natura dei legami che viene teorizzata è esplicativa e tassonomica, e non meramente associativa. L'organizzazione - e quindi la rintracciabilità - delle nozioni tramite associazioni sembra lontana dalla mente di Platone. Egli, dunque, sembra esposto all'obiezione contro l'organizzazione tassonomica contenuta nel celebre articolo As we may think, scritto da uno dei precursone dei web, Vannevar Bush:
La mente umana non opera così. Funziona per associazione. Appena domina un elemento, salta istantaneamente al prossimo suggerimento dato dall'associazione di pensieri, secondo una qualche intricata rete di piste contenuta dalle cellule del cervello. Ha altre caratteristiche, naturalmente: le piste che non sono seguite frequentemente sono inclini a svanire. Gli elementi non sono del tutto permanenti; la memoria è transitoria. 14
I dialoghi di Platone, però, non sono affatto organizzati gerarchicamente, anche se contengono tassonomie - per esempio quelle dettagliatissime del Politico - o catene deduttive di ragionamento. Il loro ordine è quello, apparentemente casuale, della conversazione.
I testi platonici, tuttavia, permettono di usare anche l'associazione. La similitudine delle statue di Dedalo nell'Eutifrone e nel Menone ne è un esempio chiaro. In primo luogo, è facile da ricordare, soprattutto per chi - come il lettore antico - è familiare col mito. Chi incontra l'Eutifrone dopo aver letto il Menone dispone immediatamente degli strumenti per capire che le opinioni di Eutifrone non stanno ferme perché non sono scientifiche: l'interlocutore di Socrate fa sempre riferimento all'autorità di altri, senza riuscire a spiegare su che cosa essa si fonda. Viceversa, chi dall'Eutifrone giunge al Menone vede nel tentativo di Eutifrone di insegnare a Socrate che cosa sia l'hosion un caso particolare della più generale questione dell'insegnabilità della virtù.
I link del World Wide Web formano dei grafi orientati. Sono unidirezionali, nel senso che se viene fatto un link da una pagina di questo ipertesto a una pagina di quello sul Menone, il link stesso conduce solo da questo ipertesto alla pagina dell'altro, ma non viceversa. Di contro, le statue di Dedalo guidano la mente sia dall'Eutifrone al Menone, sia dal Menone all'Eutifrone. Questi collegamenti associativi aiutano a ricordare e a sviluppare ragionamenti e tassonomie, ma non li sostituiscono. La Repubblica, che teorizza esplicitamente la mnemotecnica del mito come strumento di educazione profilosofica, avverte anche del pericolo implicito in questo tipo di legami: le associazioni, costituite al di sotto della soglia della consapevolezza critica, possono creare pregiudizi difficili da superare, quali l'abitudine antica di connettere amoralità e divinità.
Socrate e il dialogo “ad alta interattività. "Humanitas" [Coimbra] LIII 2001, 171-181.
L'Eutifrone di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/eutifrone