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Il Carmide di Platone |
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A Carmide viene in mente un'altra definizione di sophrosyne: sophrosyne è fare ciò che è proprio (ta eautou prattein) (161b). Questa tesi, secondo Socrate, non è farina del sacco del ragazzo, ma viene da Crizia o di «qualcun altro dei sapienti». 10 Carmide replica che non importa sapere di chi sia, ma solo se sia vera o no: Socrate, naturalmente, gli dà ragione, aggiungendo, però, che una simile definizione gli sembra enigmatica (161c).
Socrate interpreta, a bella posta, il ta eautou prattein come "farsi gli affari propri" e ne applica il precetto alle technai: si deve sostenere che chi conosce e insegna l'arte della scrittura scriva e legga solo il suo nome, e insegni ai suoi allievi solo a scrivere e leggere i loro propri nomi, per non farli passare per impiccioni 11 e intemperanti? (161d). Carmide risponde negativamente.
Socrate propone altri esempi: la medicina, la tessitura, l'edilizia e ogni altra tecnica sono certo un fare (prattein) qualcosa. Ma una città sarebbe ben amministrata se la legge, vietando la divisione tecnica del lavoro, imponesse che ciascuno deve tessersi i propri vestiti e fabbricarsi le proprie scarpe da sé (161e)? Carmide, di nuovo, risponde negativamente.
Dunque, conclude Socrate, se una città ben amministrata è anche una città governata con sophrosyne, 12 si deve negare che questa virtù risponda a una simile definizione. Chi ha sostenuto questa tesi o stava proponendo un enigma (162a), oppure doveva essere uno sciocco (162b). Carmide replica maliziosamente - guardando Crizia - che invece questa persona aveva fama d'essere un gran sapiente. Quanto a lui, non si sente in grado di proporre un'interpretazione del ta eautou prattein che eluda la critica di Socrate.
Chi conosce la Repubblica non può fare a meno di sospettare che il testo alluda non solo a Crizia, ma allo stesso Socrate della Repubblica, che fonda la giustizia proprio sul principio del ta eautou prattein. Se non intendiamo il corpus platonico come una sequenza diacronica di testi, ma come una rete in cui ogni singolo nodo riceve ulteriori significati dalla connessione sincronica con ciascun altro, occorre spiegare perché il principio della giustizia della Repubblica qui - in bocca a un tiranno - si riduce a un'affermazione enigmatica, che, presa alla lettera, eliminerebbe a un tempo la società e la scienza.
Il testo del Carmide suggerisce che la chiave dell'enigma è l'interpretazione: il ta eautou prattein della Repubblica è inteso socialmente e non individualmente. "Fare ciò che è proprio" non significa occuparsi delle proprie faccende, ma dedicarsi a compiti definiti in comune entro un sistema di cooperazione valido tanto per la città quanto per l'anima.
[ 10 ] Fra gli «altri sapienti» ci potrebbe essere lo stesso Platone: il «fare ciò che è proprio» è infatti il principio della giustizia teorizzato in un testo posteriore al Carmide: il IV libro della Repubblica.
[ 11 ] Il testo usa il verbo polypragmonein, che ricorre anche nella trattazione della giustizia del IV libro della Repubblica (433a).
Il Carmide di Platone
by Maria Chiara Pievatolo is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.
Based on a work at http://btfp.sp.unipi.it/dida/carmide